CULTURA

Giacomo Puccini: un secolo di eredità musicale e innovazione

“Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto”. Con queste parole il 25 aprile del 1926 il direttore Arturo Toscanini interrompe il terzo atto della Turandot, solo due battute dopo la morte della giovane schiava Liù, lasciando l’opera incompleta. Il Teatro alla Scala di Milano è gremito in ogni ordine di posto e il pubblico ha appena ascoltato per la prima volta l’ultima pagina di musica scritta da Giacomo Puccini prima di spegnersi. Con una diagnosi di tumore alla gola inoperabile, il musicista si era rivolto a uno specialista d’avanguardia, Louis Ledoux dell’Institut du Radium di Bruxelles, che gli aveva impiantato sette aghi di platino irradiati direttamente nel tumore. Ma un’emorragia interna se lo porta via il 29 novembre del 1924.

Angela Gheorghiu interpreta "Oh mio babbino caro" da "Gianni Schicchi"

A cent’anni dalla sua scomparsa, Puccini e le sue opere non hanno perso neanche un grammo della propria presa sul pubblico, tanto che Manon Lescaut, La Bohème, Tosca, Madama Butterfly, il Trittico e la stessa Turandot continuano a entrare nei cartelloni dei teatri di mezzo mondo e a ispirare versioni cinematografiche e televisive. Alcune delle arie, basti pensare a Nessun dorma dal terzo atto della Turandot o a Oh mio babbino caro da Gianni Schicchi, sono talmente celebri da essere parte della cultura popolare da diverse generazioni. Ma la critica e la musicologia si sono attardate a riconoscere la grandezza di Puccini, coltivandone spesso un’immagine di ultimo autore ottocentesco avverso alla modernità, per certi versi un musicista che avrebbe prolungato la vita del melodramma oltre il tempo massimo. Puccini, invece, dovrebbe essere inquadrato come uno dei “grandi protagonisti delle avanguardie musicali del primo Novecento”. Ce lo sottolinea fin dalle prime battute al telefono Filippo Del Corno, musicista e compositore, nonché autore di un recentissimo libro proprio sul maestro della Turandot e intitolato Puccini ’900. La seduzione della modernità (Edizioni Curci). Certo, “ha scelto lo strumento del melodramma per esprimersi, perché gli era congeniale”, prosegue, ma la sua proposta “non ha quasi nulla a che vedere con il teatro dell’Ottocento”.

 

Da Lucca alla conquista del mondo

Giacomo Puccini è nato il 22 dicembre del 1858 a Lucca, in una famiglia dalla lunga tradizione musicale. All’epoca, da diverse generazioni un Puccini è maestro di cappella del duomo di Lucca e quella sembra la strada che anche Giacomo dovrebbe intraprendere. Già da adolescente contribuisce all’economia di casa suonando l’organo nelle chiese cittadine, ma l’orizzonte che lo attrae va ben al di là della sua città natale. 

In una narrazione quasi eroica, sembra che un episodio decisivo sia avvenuto nel 1876, quando percorre a piedi la distanza tra Lucca e Pisa (circa cinque ore di cammino!) per poter assistere alla Aida allestita al Teatro Nuovo. All’epoca, Giuseppe Verdi non era solo il compositore italiano più famoso, ma un vero e proprio monumento nazionale, osannato e riconosciuto come oggi avviene con le star dello spettacolo. Se la folgorazione sia avvenuta con l’ascolto dell’opera di Verdi o meno, rimane il fatto che per tutta la sua vita di compositore Puccini dedica la quasi totalità delle sue fatiche all’opera.

Giacomo Puccini è tra i grandi protagonisti delle avanguardie musicali del primo Novecento Filippo Del Corno

I primi passi nella musica che conta, Puccini li muove a Milano, dove studia al conservatorio e frequenta i circoli intellettuali della seconda metà dell’Ottocento, quando la città si sta imponendo come uno dei centri culturali dell’Italia unita. E al centro di questo rinnovamento c’è la Scala, uno dei teatri più importanti d’Europa, attorno al quale si muovono gli interessi di impresari, artisti, compositori e cantanti, oltre che editori musicali come Giulio Ricordi, che compra la prima opera di Puccini, Le Villi (1884). Il successo, anche con la successiva Edgar (1889) è limitato, ma Ricordi insiste, fino a quando il dramma Manon Lescaut (1893) riscuote un successo internazionale. Puccini allora diventa famoso, e con la fama arriva anche il denaro.

 

La città diventa protagonista

Uno dei tratti della modernità di Puccini si avverte pienamente in Bohème, l’opera che va in scena per la prima volta al Teatro Regio di Torino il 1° febbraio 1896. Anche Manon Lescaut ha avuto successo ed è ancora oggi rappresentata di frequente, ma la notorietà di Bohème sta su un’altra scala. Giocano un ruolo sicuramente l’ambientazione tra i bohémien parigini della metà dell’Ottocento. Nel suo libro Del Corno sottolinea come da quest’opera in poi si possa tracciare un filo che porta sulla scena una dimensione fortemente urbana: dalla Parigi di Bohème alla Roma di Tosca e alla Nagasaki di Butterfly o ancora la Parigi di Tabarro. Nel primo atto, Rodolfo, uno dei quattro amici artisti, intona la celebre Nei cieli bigi/guardo fumar dai mille/comignoli Parigi”, giocando con l’immaginario di Parigi che si sta affermando come capitale culturale e grande metropoli. Nelle scene all’aperto, come nel secondo quadro, Puccini sceglie di non isolare la vicenda che stiamo seguendo come spettatori rispetto alla vita cittadina, ma anzi “zoomare con la musica” ora su una scena ora su un’altra, in una modalità che nessun autore dell’Ottocento aveva mai nemmeno provato.

L'inizio del primo quadro di "Bohème" con il celebre motivo "Nei cieli bigi" cantato dal tenore Gianni Raimondi in una messa in scena del Teatro alla Scala di Milano del 1967 con la regie di Franco Zeffirelli e la direzione dell'orchestra di Herbert von K

Per fare tutto questo, che verrà affinato nelle opere successive, Del Corno sottolinea una particolarità delle opere di Puccini: “il suono precede la partitura”. Che vuol dire che per ogni composizione il Maestro lucchese è andato alla ricerca dell’organico d’orchestra più adatto per il suono orchestrale che aveva in mente. “C’è un episodio rivelatore”, racconta Del Corno, “che riguarda la collaborazione con Gabriele D’Annunzio”, che poi non si è mai realizzata. Il poeta avrebbe dovuto scrivere un libretto per il compositore, e tra le carte di Puccini si trovano degli “elenchi di strumenti” che dovevano indirizzare l’atmosfera musicale prima ancora che venisse scritta una nota. Per questo, nella sua carriera, Puccini non ha esitato a usare strumenti esotici, “come per esempio il cimbalom nella Butterfly”. In realtà, il cimbalom, uno strumento della tradizione dell’Europa dell’Est non ha nulla a che vedere con il Giappone dell’opera, ma “serviva a Puccini per caratterizzare il suono che voleva dall’orchestra”. 

In altri casi, invece, si inventa addirittura uno strumento nuovo, come la fonica, “impiegato solamente in cinque battute nella Fanciulla del West”, precisa Del Corno, ma essenziali per costruire un ben preciso mondo sonoro. La ricerca è stata talvolta al limite dell’ossessivo, al punto che per le campane mattutine dell’inizio del terzo atto di Tosca, Puccini ha compiuto una serie di sopralluoghi per studiare il suono delle campane della zona di castel Sant’Angelo a Roma, dove la vicenda è ambientata.

 

Il contemporaneo irrompe in scena

C’è in particolare un altro tratto della musica di Puccini che ne testimonia la grande carica innovatrice. Si tratta di quanto i rumori e i suoni della contemporaneità entrino nelle sue opere. Puccini ha “l’idea di introdurre nella sua musica suoni che derivano dai rumori e dalla vita quotidiana dell’epoca”, sottolinea Del Corno. Gli esempi potrebbero essere tantissimi, basterebbe pensare all’uso della canzone americana dell’epoca ne La fanciulla del West, opera ambientata in America e che ha debuttato a New York. Oppure alle occasioni in cui il compositore affida all’orchestra l’imitazione di un rumore urbano. “Siamo di fronte a un compositore che è perfettamente inserito nella comunità dei più importanti compositori delle avanguardie europee dell’inizio del Novecento”, spiega Del Corno. In apertura al suo libro, per esempio, racconta di quando il 1° aprile del 1924 Puccini va a Firenze appositamente per ascoltare il Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg, compositore di vent’anni più giovane e ricordato come il fondatore della dodecafonia. La curiosità dell’autore di Tosca e Bohème era insaziabile e durante i suoi viaggi non ha mai perso occasione di ascoltare le novità delle capitali europee della musica, entrando in contatto con Johann Strauss, Alban Berg, Gustav Mahler, Igor Stravinskij.

 

Renata Tebaldi canta "Vissi d'arte" da "Tosca" a Stoccarda nel 1961.

Ma la più grande innovazione del teatro di Puccini, quella che lo rende ancora oggi capace di suscitare sentimenti ed emozioni come pochi altri, riguarda la gestione del tempo. Nel melodramma ottocentesco, il tempo delle vicende raccontate sul palco è malleabile, al servizio del racconto teatrale e musicale messo in scena. Per Puccini, soprattutto a partire da Bohème, non è così. “C’è una corrispondenza tra il tempo che vivono i personaggi e il nostro tempo di spettatori che permette un’immedesimazione profondissima”, spiega Del Corno. Le vicende raccontate da molti dei drammi di Puccini si svolgono nell’arco di poche ore e noi che vi assistiamo li viviamo in diretta, con gli stessi moti del cuore e dello spirito di Tosca, Mimì o Giorgetta.

 

Serial killer di soprano?

Proprio i personaggi femminili, quelli che sono interpretati dalle soprano, sono spesso quelli che reggono il peso emotivo più intenso delle opere. Ma finiscono quasi tutte male: disperate, uccise, suicide. Questo, per Filippo Del Corno, è un altro risarcimento che va fatto a Puccini. “È vero che Puccini era un uomo del suo tempo”, quando le donne non avevano parità di ruoli nella società. Ma è pur vero che nelle sue opere si possono rintracciare elementi che ci fanno dire “quanto però Puccini rappresentasse le donne con una complessità nuova”. Lo dimostra per esempio il rapporto tra Mimì e Musetta in Bohème, “un esempio di solidarietà femminile”, quando Musetta è disposta a fare qualsiasi cosa per dare sollievo all’amica morente. Oppure il ruolo di Minnie, la protagonista di La fanciulla del West, una donna che da sola riesce a tenere insieme una comunità di cercatori d’oro.

Ad alimentare un’immagine parzialmente misogina e retriva di Puccini hanno sicuramente contribuito due fattori. Il primo è la serie di donne con le quali ha avuto relazioni extraconiugali. Si tratta di un elemento che nella società italiana lo ha sempre messo almeno un po’ in cattiva luce. Ma soprattutto c’è l’episodio di Doria, la cameriera presunta amante all’inizio del Novecento. Nel 1908, infatti, Puccini passa molto tempo nella sua villa a Torre del Lago. Sta componendo Fanciulla quando un suo amico del posto, compagno di caccia, muore lasciando la famiglia in difficoltà. Per aiutarla, Puccini e la moglie Elvira prendono in casa come cameriera la figlia dell’amico, Doria, di appena quattordici anni. Per alcuni anni tutto fila liscio, ma quando la ragazza cresce, Elvira ne diventa gelosissima, al punto da farla cacciare di casa. La ragazza, svergognata pubblicamente, nel 1909 si suicida con del veleno. La vicenda non è mai stata del tutto chiarita. La famiglia di Doria sporge denuncia contro Elvira Puccini, ritenuta colpevole di induzione al suicidio. Le accuse vengono ritirate dopo un anno, ma in questo periodo Giacomo Puccini non fa sicuramente una bella figura. Si è sempre dichiarato innocente, e un referto autoptico dell’epoca sembrerebbe confermarlo visto che Doria era vergine al momento della morte, ma non si è nemmeno mai troppo allontanato dalle accuse della moglie alla ragazza. 

La scandalo all’epoca è enorme, perché Puccini è già una celebrità e perché la storia coinvolge un classico scontro tra due classi, quella del ricco compositore e dell’umile famiglia di origine di Doria. Il caso deve aver almeno in parte nascosto invece quale fosse una vera amante di Puccini, Giulia Manfredi, cugina di Doria e incontrata dietro il bancone di un’osteria della zona: sarebbe la musa ispiratrice della Minnie di Fanciulla. Alla vicenda, emersa solamente in anni recenti, è stato anche dedicato un film, Puccini e la fanciulla, diretto da Paolo Benvenuti. 

 

L’eredità 

L’ultima domanda per Filippo Dal Corno è se Puccini abbia avuto eredi. La risposta è quasi secca, “non in Italia”. A conferma della dimensione internazionale dell’autore, sembra che nonostante il successo delle sue opere, Puccini abbia lasciato un segno più profondo in compositori di altri paesi. Uno è sicuramente Dmitrij Šostakovič, grande compositore russo sovietico, che ne è sempre stato un grande ammiratore. “Un altro è sicuramente Benjamin Britten”, continua Del Corno, “autore che come Puccini si è dedicato prevalentemente al teatro”. Ma se vogliamo pensare a periodi più vicini a noi, è “John Adams, con il suo teatro, l’autore più vicino a Puccini”, sentenzia Del Corno. Adams, americano, è diventato celebre nel mondo musicale a metà degli anni Ottanta del secolo scorso con l’opera Nixon in China, che racconta il viaggio che nel 1972 fece il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon per incontrare Mao Tse-tung.

Carol Neblett e Placido Domingo in un estratto da "La fanciulla del west" andata in scena a Covent Garden (Londra) nel 1983.

L’altra grande eredità è quella degli autori di musica per il cinema. Lo stesso Puccini non ha mai lavorato o pensato di trasporre per il cinema alcune delle sue musiche. Però il suo stile di composizione è stato fonte di ispirazione per diversi autori che hanno scritto colonne sonore. Ma c’è anche un amore del cinema per le opere di Puccini. Di Bohème si contano almeno quattro versioni che sono adattamenti diretti, compresa quella del 1963 diretta da Franco Zeffirelli e una del 1988 di Luigi Comencini. Per Tosca ci sono almeno tre versioni cinematografiche, compresa quella del 1973 diretta da Luigi Magni e molto contestata. La scelta per la pellicola con protagonisti Gigi Proietti e Monica Vitti, infatti, fu trasformata in commedia grottesca, con i brani musicali sostituti da canzoni in romanesco con titoli come Mi madre è morta tisica e Nun je da’ retta Roma

Nel mondo, il 2025 sarà un anno di grandi produzioni teatrali dedicate a Giacomo Puccini, con molte delle sue opere maggiori in cartellone. Il Teatro dell’Opera di Roma propone una Tosca con la ricostruzione dell’allestimento storico del 1900; a Bologna, il Comunale propone una Fanciulla del West come il San Carlo di Napoli, che però aggiunge anche una Tosca. Tosca che è prevista anche nella stagione della Scala di Milano ed è appena stata rappresentata anche alla Royal Opera House di Londra, mentre a Parigi, all’Opéra Bastille è andata in scena da poco una Madama Butterfly. Come si può vedere l’amore per il compositore è ancora molto forte ed è ragionevole pensare che non si affievolirà nei prossimi anni: troppa, ancora, la forza di questa musica di suscitare emozioni forti e universali.

 

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