SCIENZA E RICERCA
Dai diamanti profondi informazioni sui movimenti dei supercontinenti
Negli ultimi dieci anni, grazie anche al continuo perfezionamento delle tecnologie di analisi, i diamanti si sono rivelati degli strumenti formidabili per arrivare a una migliore comprensione delle parti più inaccessibili del nostro pianeta: grazie alla loro straordinaria resistenza, non si alterano chimicamente durante i fenomeni geologici a cui vanno incontro, come le catastrofiche eruzioni vulcaniche che li portano in superficie in tempi molto rapidi, e possono veicolare informazioni che altri minerali non riescono a fornire.
In alcuni casi scientificamente fortunati i diamanti possono farci arrivare campioni diretti e inalterati del mantello terrestre, sotto forma di minerali intrappolati al loro interno: l'analisi di queste "imperfezioni", denominate inclusioni, è stata in diverse occasioni la porta di accesso a informazioni fondamentali sulla geologia del nostro pianeta. In particolare, quando arrivano sulla superficie terrestre dopo un viaggio che inizia da almeno 300 chilometri di profondità acquisiscono lo "status" di superdeep diamonds e diventano una vera e propria finestra attraverso cui indagare la composizione chimica e mineralogica dell’interno della Terra.
E' stato proprio grazie alle inclusioni contenute nei diamanti super profondi che negli ultimi anni si è riusciti a scoprire la presenza di abbondanti quantità di acqua a circa 660 chilometri di profondità, tra la zona di transizione e il mantello inferiore, a dimostrare per la prima volta a livello empirico che le placche tettoniche penetrano nel mantello talvolta seguendo percorsi non lineari e a comprendere che il mantello è molto più ossidato di quanto si pensasse in precedenza.
Fin qui abbiamo accennato brevemente a come attraverso i diamanti sia possibile "guardare" all'interno della Terra. Un nuovo studio appena pubblicato sulla rivista Nature ha adesso dato importanti risposte a un altro mistero, legato questa volta alle migrazioni dei supercontinenti e ai processi ciclici di aggregazione e derive della crosta continentale terrestre che hanno influenzato la biologia del nostro Pianeta e sono alla base dell’intera evoluzione geologica della Terra.
A condurre lo studio, guidato da Suzette Timmerman dell'università di Berna, è stato un team internazionale di scienziati di tutto il mondo, di cui fa parte anche Fabrizio Nestola del dipartimento di Geoscienze dell’università di Padova. La datazione di due diamanti superprofondi (una delle poche finora eseguite in tutto il mondo), unita alle analisi geochimiche e agli attuali modelli di movimento delle placche tettoniche, ha permesso agli autori della ricerca di ricostruire l’evoluzione temporale del supercontinente Gondwana che tra 600 e 300 milioni di anni fa incorporava Africa, Sud America, Arabia, Madagascar, India, Australia e Antartide.
Il professor Fabrizio Nestola illustra i risultati dello studio che ha ricostruito i movimenti del supercontiinente Gondwana partendo dai diamanti che hanno "viaggiato" insieme ad esso. Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar
Il ciclo dei supercontinenti
Anche se in modo estremamente lento, soprattutto se prendiamo come riferimento la vita umana, la Terra è in continua trasformazione: in momenti specifici della storia geologica i nostri attuali continenti erano uniti in "supercontinenti" e questo processo di formazione e disgregazione è contraddistinto da una ciclicità che in futuro porterà le superfici emerse della Terra a ricongiungersi come già accaduto in passato, entro un lasso di tempo che si stima possa essere tra i 200 e i 300 milioni di anni. In questo modo verrebbe quindi a formarsi una sorta di nuova Pangea, l'enorme blocco che durante il Paleozoico e il primo Mesozoico riuniva tutte le masse continentali e che con la successiva frammentazione, circa 180 milioni di anni fa, cominciò a far assumere alla Terra l'assetto che oggi la contraddistingue. Pangea è stato l'ultimo supercontinente del nostro pianeta e anche il più noto. Ma prima ancora la Terra aveva visto l'unione e la disgregazione di altre masse continentali, come Rodinia (formatosi 1.3 miliardi di anni fa e disgregatosi 750 milioni di anni fa) e Gondwana creatosi circa 600 milioni di anni fa e sfaldatosi circa 290 milioni di anni fa.
Un aiuto fondamentale per ricostruire con maggiore precisione come si siano mossi questi supercontinenti arriva oggi dai diamanti super profondi che si formano tra i 300 e i 700-800 chilometri. Sono estremamente rari rispetto a quelli che si formano nella litosfera (rappresentano appena l'1% del totale dei diamanti estratti finora) e hanno un ruolo determinante nel comprendere come il nostro Pianeta si sia trasformato nel tempo. Finora però le difficoltà nell'ottenere datazioni precise aveva rappresentato un ostacolo difficile da superare.
Immagine che mette in evidenza la posizione geografica del supercontinente Gondwana circa 500 milioni di anni fa (aree in arancione e blu nella parte bassa dell’immagine e la sua frammentazione verso Nord nell’attuale Africa e Sudamerica
I progressi nella datazione dei diamanti super profondi
"Per questa pubblicazione su Nature abbiamo datato diamanti che ci hanno permesso di ricostruire la storia geologica del supercontinente Gondwana: abbiamo scoperto che era posizionato dove oggi c’è il Polo Sud e quando si è frammentato alcune delle sue componenti si sono spostate in Brasile e in Africa. I nostri diamanti super profondi provengono dalla località brasiliana Juina e da una località africana in Guinea che si chiama Kankan", spiega il professor Fabrizio Nestola del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova, tra i maggiori esperti al mondo in questo ambito di studi e recente vincitore della prestigiosa Dana Medal 2024, assegnata dalla Mineralogical Society of America.
Il professor Nestola sottolinea che fino ad oggi si riuscivano a datare solo i diamanti litosferici, quelli che cristallizzano fino a 200 km di profondità. "In tutta la letteratura relativa a questo filone di ricerca avevamo solo quattro datazioni di diamanti super profondi. Adesso, e in questo la tecnologia ci sta aiutando, potremo finalmente datare molti altri diamanti super profondi e non a caso abbiamo appena aperto un dottorato proprio su questo tema. Vogliamo datare tutti i possibili diamanti superprofondi in giro per il mondo per capire come la Terra si è evoluta nel tempo. Questo si può fare perché i diamanti sono gli unici minerali che riescono a rimanere indistrutti e perfettamente conservati anche muovendosi per migliaia di chilometri orizzontalmente, ma anche verticalmente dove noi li prendiamo per essere studiati".
"Sappiamo che i diamanti più antichi arrivano a 3,5 miliardi di anni. I due diamanti che sono stati al centro del nostro studio hanno fino a 650 milioni di anni ed è questo che ci ha permesso di determinare l’evoluzione del Gondwana. Mettendo insieme le età dei due diamanti, le analisi geochimiche e i modelli sulla geodinamica delle placche tettoniche siamo riusciti a ricostruire l’evoluzione di questo supercontinente", conclude Fabrizio Nestola.