I Centauri di Gustave Doré (Inferno, Commedia)
Era nel maggio dell’anno 1330, nel convento del Santo di Padova, quando Odorico da Pordenone, frate minorita di ritorno dall’Oriente, dettava al confratello Guglielmo da Solagna, il memoriale del suo viaggio. Partito pochi anni avanti la morte di Dante, alcuni sostengono nel 1317-1318, l’instancabile missionario tornava ricco di informazioni utili ai confratelli nella predicazione che si spandeva nelle missioni francescane fino al palazzo del gran Khan, dove Odorico aveva dimorato per tre anni.
La descrizione del viaggio di Odorico è ritenuta oggi attendibile per moltissimi aspetti e il viaggiatore non tralascia di indicare notizie legate ai commerci. Eppure, al pari di molti altri racconti di viaggiatori di terre lontane, Odorico non manca di legare quelle terre lontane all’esotico, al meraviglioso e al leggendario: imperi con le foreste dove nasce il pepe, il regno del Prete Gianni, il Veglio della Montagna, costruzioni singolari, alberi che producono farina e galline ricoperte di lana candida come la neve. Non manca nemmeno di nominare popolazioni antropofaghe, donne con zanne di cinghiale e uomini e donne con la testa di cane: i cinocefali.
Possiamo ancora attraversare quei luoghi meravigliosi osservando e leggendo le mappe del mondo di quel periodo. Riccardo di Haldingham ne firmava una tra il 1276 e 1283, dove indicava, poco sopra Gerusalemme, Babilonia con torre di Babele progettata dal gigante Nembroth, l’isola di Creta con il labirinto del Minotauro, l’isola di Delo con una sirena e il Mar Rosso e, quasi vi fanno eco, le allarmate descrizioni del Liber Monstrorum, con la salamandra, la mandragora e la fenice e, ancora, regioni abitate da coccodrilli assieme a centauri, sfingi assieme agli androgini, ai blemmi e ai trogloditi. A Nord dell’Europa e dell’Asia non mancava l’Inglese di dipingere accanto all’orso e alla tigre, parimenti reali, i grifoni in lotta contro i bianchi Arimaspi, le manticore, sciapodi e tutte le razze mostruose partorite dall’oriente mirabile nei fantasiosi viaggi di Alessandro Magno.
Cerbero di Gustave Doré (Inferno, Commedia)
Dobbiamo chiederci tuttavia quanto la presenza di questi esseri potesse essere presa per certa all’epoca di Dante e Odorico. Dell’unicorno o monocero si poteva osservare in alcune chiese il bellissimo lungo e torto corno; come associarlo allora a un smisurato dente di un cetaceo, il narvalo? Il dubbio sull’esistenza di certi esseri risale all’antichità che li ha generati: alcuni consideravano Cerbero e le Furie solo delle ridicole favole mentre altri non smettevano di portare offerte agli dèi. Mentre Plinio (23-79 d.C.) riportava ciecamente fatti curiosi della natura, Aulo Gellio (125-180 d.C.) ne provava disgusto; Luciano di Samosata (180-) ne faceva una divertita parodia e Agostino d’Ippona (354-430 d.C.), anche se scettico verso certi argomenti leggendari, affermava che se nella Scrittura c’è sempre la verità, un motivo doveva esserci se le scritture riferivano certe cose. Da qui la necessità di riportare e studiare i significati di tutti gli animali, gli alberi e i luoghi citati nella Scrittura attraverso la sapienza pagana e considerarne il significato in modo da scorgere l’invisibile attraverso cose visibili.
Eppure dall’epoca di Dante accanto alla popolarità dei racconti sulle meraviglie dell’Oriente mirabile, ai bestiari, agli erbari e ai lapidari, si sviluppa un nuovo atteggiamento legato all’empirismo; accanto alle vecchie mappe stilizzate del mondo si fanno strada i portolani che restituiscono un’immagine delle coste basate sull’osservazione e i viaggiatori. Mercanti o missionari minoriti, sono costretti a constatare che mostri e meraviglie non esistono o non sono meravigliosi: Marco Polo vede l’unicorno di persona e la riconosce come una bestia laida, vede i cinocefali e li riconosce come delle scimmie; il francescano Giovanni da Monte Corvino per quanto avesse desiderato e cercato e chiesto in Oriente del paradiso terrestre e della presenza degli esseri fantastici descritti dagli antichi è costretto ad ammettere di non trovarne traccia.
Le Arpie di Gustave Doré (Inferno, Commedia)
Se ci chiedessimo l’interesse dimostrato da Dante verso quest’ampia zoologia meravigliosa ereditata da Plinio, Solino, dai Bestiari, dalle enciclopedie medievali e dai racconti su Alessandro Magno e l’Oriente mirabile, rimarremmo delusi.
Cerbero, le Furie, Medusa, i Centauri, il Minotauro e tutto il bestiario infernale di Dante (frutto talvolta di osservazioni dirette) non deriva dalle mappe ma dalla lettura dei classici, soprattutto Virgilio, Ovidio e Lucano, e le reminiscenze desunte da questi libri dei poeti pagani vengono risignificate in chiave cristiana. Come ha mostrato efficacemente Sonia Gentili, Cerbero, mostro divoratore d’anime a guardia del girone dei golosi nella Commedia (Inf., VI, 13-17) deve all’animale descritto da Virgilio nell’Eneide (Aen., VI 421) le tre bocche minacciose e ancora, sempre da Virgilio il “ventre largo” e le mani “unghiate” che Dante riprende però dalle Arpie (Aen., III 216-217). Cerbero, nell’Inferno dantesco viene sfamato con un pungo di terra che, come avevano ben compreso Dante leggendo la Pharsalia di Lucano, è una divinità che inghiotte le anime dei dannati come la terra divora i cadaveri.
E ancora, per le Arpie e le Furie, il poeta toscano dimostra di aver compreso da Lucano e Virgilio alcune il legame di questi mostruosi esseri mutaforma legati alla morte. Come arpie compaiono nella selva delle anime dei sucidi trasformati in alberi; qui si cibano delle foglie che crescono sugli alberi tormentando i dannati (Inf., XIII, 101), nella loro forma ctonia di cagne nere inseguono invece i prodighi (Inf., XIII, 125).
Il Minotauro di Gustave Doré (Inferno, Commedia)
Del Minotauro (Inf., XII, 12-15) riprende dall’Eneide di Virgilio l’origine bestiale dell’ibrido dalla lussuriosa Pasifae (Aen. VI 24-26) aggiungendo dalle Metamorfosi (VIII 155-156;) e dall’Ars amandi (II, 24) di Ovidio l’idea di Creata come origine di mostri e della duplice natura umana e bestiale dell’essere biforme.
Dei Centauri veloci e minacciosi (Inf., XII, 16-21) la cui violenza e bestialità, ancora una volta sono riprese dal confronto con Virgilio (Aen., VI 285), Ovidio (Met., IX , 131-132).
Il caso di Gerione (Inf XVII 1-27) il simbolo della frode, è invece più complesso. Sebbene ispirato da Virgilio (Aen VI 285-289; VIII 202-204) sarebbe una creazione dantesca. Il suo corpo composito dal volto di un uomo giusto, corpo di serpente con branche “pilose” e coda velenosa coda biforcuta potrebbe attingere alcune caratteristiche sulla produzione dei Bestiari riferendosi alla Manticora. In alcuni volgarizzamenti il suo nome diviene menticora la cui etimologia viene fantasiosamente ricostruita in mente e core.
Gerione di Gustave Doré (Inferno, Commedia)
Dal XVI e XVII gli esseri esotici e mostruosi ereditati dall'antichità e posti ai confini del mondo iniziarono progressivamente a scomparire dalle carte geografiche: alcuni perché osservati per le loro reali caratteristiche, come le pantere e gli ippopotami, altri perché consegnati per sempre al mondo dell'immaginario, come i centauri e i grifoni. Ma allo scomparire di quelli, una moltitudine di nuove specie proveniente dal nuovo mondo iniziava ad affacciarsi alla curiosità scientifica degli occidentali che scopriva, come scriveva Borges, che la zoologia dei sogni è più povera di quella di Dio.