Dante Alighieri era un genio, e su questo ci sono pochi dubbi. Da qualche anno, però, l'ipotesi che Dante soffrisse di una malattia neurologica ha acquistato molte prove a favore, anche se non tutti gli studiosi concordano con la diagnosi finale, che molto probabilmente rimarrà un mistero.
Inizialmente si era pensato all'epilessia, sulla scorta di Cesare Lombroso, ma gli studi più recenti sono andati in un'altra direzione e hanno coinvolto varie figure professionali.
"E caddi come corpo morto cade" è infatti un verso della Divina Commedia che non ha colpito soltanto i letterati, ma anche i medici: è solo una delle magistrali espressioni del sommo poeta o dietro si nasconde qualcosa di clinico?
Naturalmente non si tratta di un singolo verso, né di una singola opera. Pensiamo a cosa scrive Dante, proprio all'inizio della Divina Commedia, per descrivere l'inizio della sua avventura: "Io non so ben ridir com'i v'intrai / tant'era pien di sonno a quel punto / che la verace via abbandonai". Certo, potrebbe riferirsi a un sogno, e il suo risveglio viene tratteggiato anche alla fine del Paradiso: "Ma perché 'l tempo fugge che t'assonna, / qui farem punto, come buon sartore, / che com'elli ha del panno fa la gonna". Di fatto, però, ci sono altri passi in cui Dante descrive il suo sonno come improvviso, ("Ruppemi l'alto sonno ne la testa / un greve truono, sì ch'io mi riscossi /come persona ch'è per forza desta; / l'occhio riposato intorno mossi" Inf, IV) e altri in cui parla di una sintomatologia particolare: le forti emozioni provocano in lui debolezza muscolare e cadute prive di altre avvisaglie. Si potrebbe obiettare che scrivesse per sentito dire, ma Giuseppe Plazzi non è di questa idea.
Responsabile del centro del sonno dell'IRCCS, Istituto delle scienze neurologiche dell'università di Bologna, il professor Plazzi nel 2013 ha pubblicato un articolo nella rivista americana Sleep Medicine, nel quale si formula un'ipotesi ben documentata: Dante avrebbe sofferto non di epilessia, ma di narcolessia.
Intervista a Giuseppe Plazzi, montaggio di Elisa Speronello
Il professor Plazzi chiarisce che una diagnosi certa non si può fare: oggi la narcolessia si può individuare, ma nel Trecento era tutto un altro paio di maniche. Di fatto sintomi come la debolezza muscolare in determinate situazioni, le allucinazioni ipnagogiche che di cui Dante soffriva, il suo difficile rapporto con il sonno e il rapido passaggio da questo alla veglia (riscontrabili non solo nella Commedia, ma anche nelle Rime e nella Vita Nova) fanno pensare proprio alla narcolessia.
Perché non l'epilessia? "Dante conosceva l'epilessia - spiega Plazzi - la descrive perfettamente anche parlando di un personaggio, Vanni Fucci. Sapeva cos'era l'epilessia, e sapeva che le cadute di cui soffriva non potevano essere epilessia, tant'è che non ha mai manifestato preoccupazione in proposito".
Purtroppo non esiste un modo per diagnosticare la narcolessia in persone morte, tantomeno secoli fa. Ci sarebbe però la possibilità di analizzare il DNA di Dante, se ne fosse rimasto a sufficienza, per individuare eventualmente dei marcatori genetici tipici di questa malattia. Le spoglie di Dante avrebbero dovuto essere riesumate quest'anno, in occasione dell'anniversario della sua morte, ma purtroppo alla fine si è scelto di non procedere.
Nel frattempo, però, anche un gruppo di ricerca zurighese con un membro italiano, Francesco Maria Galassi, ha suffragato quest'ipotesi, pubblicando un articolo su The Lancet Neurology dove si mette l'accento su un altro sintomo che sarebbe quello che compare di fronte alla lupa del primo canto dell'Inferno: "ella mi fa tremar le vene e i polsi". La lupa, insomma, fa venire la tachicardia, che rimanda al classico batticuore di fronte a un pericolo solo sognato.
Come dicevamo, per quanto riguarda la diagnosi non sarà possibile avere certezze: questo dibattito, però, rimane una buona scusa per farci rileggere Dante con occhi nuovi, pensando che, almeno in questo caso, possiamo trovare del buono anche in una patologia.