CULTURA
Fratelli Cervi: “Non si può essere liberi da soli”

Il 25 aprile sono 80 anni che l’Italia si è liberata dal nazifascismo. Una data importante, che ha segnato uno spartiacque nella storia di tutti noi. È proprio la Storia con la S maiuscola che ci racconta quello che poche volte è possibile dire: nei fatti accaduti 80 anni fa c’era una parte giusta e una parte sbagliata. È bene ribadirlo, è bene ricordare che cos’è stato per l’Italia, l’Europa e il mondo intero quel periodo. Per farlo è utile scoprire chi sono state le donne e gli uomini grazie ai quali siamo riusciti a liberarci. Persone che hanno fatto la Resistenza, anche a costo della loro stessa vita. Noi de Il Bo Live, il magazine online dell’unica università italiana, quella di Padova, ad aver ricevuto la medaglia d’oro al valor militare, abbiamo deciso di raggruppare tutti i nostri approfondimenti sulla Resistenza in una serie intitolata “80 anni di 25 aprile”.
Tra queste donne e questi uomini, tra queste partigiane e partigiani, vogliamo raccontare le vicende dei fratelli Cervi. Sette fratelli, contadini, partigiani, sapienti, che sono stati presi e fucilati dai fascisti. Casa Cervi oggi è un museo, un istituto, una biblioteca e un centro attivo di ricerca storiografica.
E ogni 25 aprile Casa Cervi diventa anche un punto di incontro per festeggiare la Liberazione dal nazifascismo. Noi siamo stati a Gattatico, in provincia di Reggio Emilia, proprio a Casa Cervi e quello che vedete qui sotto è il nostro tributo alla loro memoria.
La storia
Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio, Ettore. Ancora oggi se si pensa alla storia della Resistenza non possono non tornare in mente questi sette nomi. I sette nomi dei fratelli Cervi. Fucilati il 28 dicembre 1943 al Poligono di tiro di Reggio Emilia da un plotone di esecuzione fascista, il loro è quello che a tutti gli effetti potrebbe essere definito un simbolo di lotta al nazifascismo, nel vero senso della parola (dal greco “sunballo”: ovvero ciò che unisce).
“I sette fratelli uniscono tutti coloro che si impegnano a costruire un mondo migliore. [...] Dire che i Cervi sono un ‘mito’ vuol dire che la loro esperienza umana è stata valorizzata e assunta come esempio universale di comportamento, additandola per le generazioni future” scrivevano Toni Rovatti, Alessandro Santagata e Giorgio Vecchio nel libro Fratelli Cervi. La storia e la memoria (Viella, 2024).
Continuare a fare memoria della loro storia, a fare racconto, allora, di quello che è accaduto, assume significati ben diversi. Conoscere la storia dei fratelli Cervi significa conoscere la nostra storia, in uno dei suoi momenti più bui. Una storia fatta di dolore ma anche di coraggio e desiderio di giustizia. E, soprattutto, di antifascismo.



Foto di Antonio Massariolo
È il 1934. A pochi chilometri da Reggio Emilia, fra Gattatico e Campegine, si trova il podere dei Campirossi, acquistato da una famiglia contadina in estrema povertà, con debiti e tante bocche da sfamare. Il terreno è pieno di dislivelli e inadatto ad essere coltivato. “Ma i sette fratelli avevano braccia forti e idee in testa” (Italo Calvino, I sette fratelli, 1953). Decidono di trasformare quel terreno arido nella loro buona terra, da coltivare e di cui prendersi cura. Si dividono i compiti, c’è chi cura le arnie, chi si prende cura degli animali, chi coltiva il terreno. Oltre ai sette fratelli ci sono due sorelle e i genitori Alcide e Genoeffa. La madre sa leggere e scrivere: “La sera, nella stalla, lei legge a voce alta e racconta. C’è un sapere che gira a casa Cervi. Di giorno lavoravano la terra, la sera, nella stalla, studiavano”.
Albertina Soliani è la presidente di quella che è oggi Casa Cervi. Ci racconta che per migliorare le condizioni di lavoro nei campi, la famiglia decide, nel 1939, di comprare un trattore, è il primo nella zona: “Erano contadini sapienti. E la cosa curiosa è questa: quando vanno a comprare il trattore, chi glielo vende ha un magazzino, ci sono dentro un po' di cose, fra cui un mappamondo. E i Cervi scelgono di prenderlo e di metterlo sul trattore, andavano con quello nei campi. Intanto scoppia la guerra. Loro in quegli anni avevano capito che c'era bisogno di cambiare l'agricoltura, ma specialmente c'era da cambiare la storia umana. Bisognava resistere all'oppressione nazifascista e bisognava avere la visione di un mondo nuovo solidale e in pace, di progresso, di conoscenza” puntualizza Soliani.
“ La storia della mia famiglia non è straordinaria, è la storia del popolo italiano combattente e forte Alcide Cervi
Erano cresciuti in un ambiente cattolico, ma in quella terra si respiravano gli ideali del socialismo riformista. E allora si ritrovano a pensare cose molto più grandi. Diventarono attivamente antifascisti, iniziando da gesti semplici, come portare libri ai contadini, creando una "biblioteca circolante".
Il 25 luglio 1943, giorno della caduta di Mussolini, i Cervi erano nei campi. Appresa la notizia decisero di preparare una pastasciutta per tutto il paese come gesto spontaneo di festa e libertà. Era il cibo più semplice eppure il più simbolico: "Perché l'idea è quella che se cade Mussolini, ragazzi, bisogna far festa. E la festa migliore la si fa mangiando un piatto di pasta" spiega Soliani.
Da quel giorno iniziarono ad organizzare la Resistenza e fino alla loro morte si spenderanno senza risparmio in nome della libertà e della giustizia, ospitando soldati alleati scappati dai campi di prigionia e distinguendosi come partigiani. Ma il 25 novembre 1943, un camion di fascisti circondò la casa. Quel giorno i fratelli, il padre Alcide e un loro compagno, Quarto Camurri, furono arrestati. I Cervi finiscono nel carcere di Reggio Emilia e il 28 dicembre 1943, i sette fratelli e Camurri incontreranno la morte. Solo il papà Alcide sopravvive e scoprirà solo giorni dopo che i figli sono morti. Loro non ci sono più, quello che resta è la loro memoria e il loro esempio. Celebre la frase di Alcide: “Dopo un raccolto ne viene un altro, andiamo avanti” che riporterà anche nel libro I miei sette figli (Einaudi, prima pubblicazione: 1955). Dopo quella tragedia, “Papà Cervi” non vuole abbandonare quella casa, costata “quarant’anni di fatiche” e, allora, ne diventerà il custode. È proprio a lui che è dedicata, oggi, la Casa stessa, punto d’incontro per chi vuole mantenere vivi gli ideali dell’antifascismo e la memoria della famiglia.


Foto di Antonio Massariolo
L’Istituto
Negli anni successivi alla morte dei fratelli Cervi, la casa diventerà sempre più meta di visitatori, ex partigiani, studenti, famiglie, o semplici curiosi. Alcide accoglieva tutti, proprio per questo motivo la casa comincia a trasformarsi spontaneamente in un luogo collettivo. Nasce, così, l’Istituto Alcide Cervi, costituito nel 1972 per iniziativa dell’Alleanza Nazionale dei Contadini (oggi Confederazione Italiana Agricoltori), dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, della Provincia di Reggio Emilia, e del Comune di Gattatico. La sede principale si trova proprio presso la storica Casa Cervi e all’interno si trovano: il museo, tre biblioteche (la Biblioteca Archivio “Emilio Sereni”, la Biblioteca “Il Mappamondo” e la Biblioteca Cervi) e il Parco Agroambientale.
Il Museo
Il Museo Cervi è il cuore pulsante della memoria della famiglia. Attraverso documenti, oggetti appartenuti alla famiglia stessa e un’attenta ricostruzione storiografica ci si immerge in quello che sono stati, i Cervi, e si rivive la loro storia. Il percorso museale si sviluppa attraverso gli spazi originari della casa, installazioni multimediali e testimonianze orali. È un racconto che non si chiude in se stesso, ma che invita a riflettere sul valore della libertà, sulla necessità della memoria e sull’impegno che ognuno può portare nel proprio presente.
Le biblioteche
“Il libro qui è il filo conduttore del riscatto e del percorso della storia di emancipazione della famiglia.” A parlare è Morena Vannini, responsabile di due (Biblioteca "Il Mappamondo" e "Biblioteca Cervi") delle tre biblioteche presenti oggi a Casa Cervi. Spiega che la cultura qui viene messa al primo posto. Le biblioteche sono ricche e molto diverse l’una dall’altra: la prima, “Il Mappamondo” si ispira allo storico mappamondo sistemato con cura, tanti anni prima, sopra a quel trattore con cui i Cervi andavano in campagna e lavoravano la terra. Un simbolo di apertura verso idee più grandi. Come spiega Vannini, questa biblioteca è dedicata alle ragazze e ai ragazzi e conta diversi percorsi tematici, dalla storia della Costituzione a quella contemporanea. Localizzata in quello che un tempo era il fienile, rappresenta oggi il deposito di memorie, fatiche, sapere e vita vissuta: “Il mappamondo è sinonimo di bussola, di apertura, di sguardo, di conoscenza, di affermazione. E questa biblioteca per i bambini e le bambine, per i giovani, non poteva che chiamarsi proprio così. Ma mi occupo anche di un’altra biblioteca. Si tratta della “Biblioteca Cervi”, che ha una storia molto particolare. Nasce in coincidenza con la fondazione dell’Istituto Alcide Cervi, con un piccolo corpus, un piccolo nucleo, fatto di tutti quei libri che sono frutto di scambi, di donazioni che avvengono tra le persone, i visitatori o le istituzioni che arrivano a Casa Cervi” spiega Vannini.
La Biblioteca Archivio "Emilio Sereni” è, invece, dedicata ad un'importante figura della cultura e della politica italiana del Novecento. Grande studioso del paesaggio agrario non solo italiano ma internazionale, fu anche antifascista, resistente ed uno dei padri Costituenti. Il motivo principale della costruzione di questo spazio è stato accogliere il vastissimo fondo librario che Sereni donò all’Istituto già nel 1976. Il suo lascito è imponente: oltre 22.000 volumi, molti dei quali in lingue straniere. Accanto alla biblioteca, vi è un archivio personale ricchissimo, che comprende anche un schedario tematico di oltre 300.000 schede. Sereni è anche autore del celebre saggio Storia del paesaggio agrario italiano, pubblicato per la prima volta nel 1961, considerato un’opera fondamentale, ancora oggi ristampata e tradotta in numerose lingue.
Chi si occupa quotidianamente di rendere accessibile il materiale unico contenuto all’interno della biblioteca archivio sono Chiara Visentin, la sua responsabile scientifica, e Caterina Bavosi, archivista. "È come studiare la storia del pianeta. Emilio Sereni è stato un grande uomo, coraggioso, visionario e ciò che ci ha lasciato è una somma di sapere che gestiamo con passione. Perché davvero qui non si smette mai di imparare".

Foto di Antonio Massariolo
Casa Cervi è testimonianza viva di una storia fatta di coraggio, sapere e libertà. È un luogo dove il passato vive ed è in continua comunicazione con il presente. Come ricorda la presidente Soliani: "Se qualcuno ha seminato per noi significa che ha avuto fiducia nel futuro e questo sta nella Resistenza che continua, nella democrazia che continua, cioè il prendersi cura. Se qualcuno non l'ha fatto, ci troviamo noi impoveriti e se non lo facciamo noi, cosa pensiamo di consegnare al futuro? Quindi come la terra ogni anno dà il suo raccolto, se tu la coltivi, anche lo spirito, l'anima delle persone, la comunità, la politica, se tu la coltivi, ti dà respiro lungo per i prossimi decenni. E noi sappiamo che ce n'è un bisogno estremo oggi, in Italia, in Europa, in America, in Russia, nel mondo intero".