SOCIETÀ

Il decennio che non c’è

Ancora una volta ci sono cascati tutti, o quasi, i mass media. Basta che intravedano un anno che finisce con 0 (zero) e dimenticano la matematica e il calendario. Signori miei, quello che sta per finire, il 2019, non è l’ultimo anno del secondo decennio del XXI secolo dell’era cristiana. È solo il penultimo anno degli anni ’10. E quello che sta per entrare, il 2020, non è il primo anno del terzo decennio, ma lui sì è l’ultimo del secondo decennio.

Potremmo sbrigarcela con questa breve noterella e chiuderla lì, ricordando che l’era cristiana non nasce con l’anno 0 (zero), ma con l’anno 1. E, dunque, il primo e ogni altro decennio si chiude col 10 o con un multiplo di 10; e si apre con l’1: il 2001, il 2011, il 2021.

E tuttavia verremmo richiamare alla mente dei nostri lettori la reazioni di un grande biologo e storico della biologia, Stephen Jay Gould, che all’errore macroscopico da parte dei media e non solo dei media di considerare l’anno 2000 l’ultimo di un secolo e di un millennio oppose un coltissimo libro: Il millennio che non c’è.

Noi, ovviamente, con dovuta modestia prendiamo le sue tesi a dimostrazione di “un decennio che non c’è”.

Eleviamo pure gli allegri calici il prossimo Capodanno e brindiamo al tondo e simmetrico 2020. Ma non prendiamoci troppo sul serio. Quello che vedremo entrare e che festeggeremo, allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre, non sarà un anno affatto speciale. Non per motivi di calendario, almeno.

È per darci questo consiglio di buon senso (a proposito del ben più rotondo ma meno simmetrico 2000) che Stephen Jay Gould, paleontologo, biologo evoluzionista, esperto di “tempo profondo” e gran comunicatore della scienza, pensò venti anni fa di scrivere un intero libro, pubblicato in italiano da Il Saggiatore. Il libro, molto erudito, si intitola, come abbiamo detto, Il millennio che non c’è. Il suo progetto dichiarato era di far da «guida per scettici a una scadenza arbitraria». Il suo progetto implicito era di stimolarci a essere previdenti: ed è, dunque, di estrema attualità. Perché è utile più che mai oggi conservare un minimo di spirito critico nell’era del consumismo di massa, anche quando celebriamo le sue barocche e pur tuttavia ineludibili liturgie.

L’ammonimento di Gould si basa sulla successione di tre (documentate) considerazioni. La prima è che quando eleveremo il calice per celebrare l’arrivo del nuovo decennio (il terzo del XXI secolo, secondo molti media) commetteremo un banale errore di calcolo. In realtà il primo secondo del prossimo primo gennaio, scandirà l’arrivo dell’ultimo anno del secondo decennio. Il motivo è molto semplice,

ci siamo peritati di anticiparlo già: il nostro calendario inizia con l’anno 1. Ora un decennio, che come tutti sanno ma alcuni scordano, è composto da 10 anni e dunque finisce allo scadere dell’anno 10. E il secondo decennio del XXI secolo, dunque, finisce il 31 dicembre dell’anno 2020. È chiaro che stiamo utilizzando la semplice dimostrazione di Gould aggiornata a oggi, lui nel 1999 parlava dell’equivoco relativo alla fine del millennio.

Insomma, stiamo per festeggiare l’arrivo del terzo decennio del XXI secolo proprio come venti anni fa celebravamo l’arrivo del terzo millennio con un buon anno di anticipo. L’errore è banale. Persino imbarazzante. Ma tant’è, nell’era della tanto decantata precisione digitale abbiamo smarrito la capacità di far di conto.

Insomma, proprio mentre gli orologi elettronici sono precisi al millesimo di secondo e più, noi siamo approssimati a livello di decenni, secoli e persino millenni.

Ma, lasciamo la parola a Gould: anche se non tenessimo conto di questo errore di aritmetica elementare, non avremmo davvero motivi per conferire uno statuto speciale all’anno millenario (lui) e decennale (noi). Per il semplice motivo che la scelta del calendario non si basa su alcun dato naturale oggettivo, ma è una mera convenzione. Tant’è che la gran parte degli abitanti del pianeta vivrà, alla fatidica mezzanotte del 31 dicembre del nostro 2019, in un altro anno. Gli islamici nel 1397, i copti nel 1736, gli induisti nel 1943, i cinesi (quelli che seguono l’antico calendario lunare), nel 4718, gli ebrei nel 5781. E i cristiani delle isole Ebridi Esterne, che non hanno mai accettato la riforma del calendario decretata nel 1582 da Papa Gregorio XIII, staranno ancora aspettando il Natale 20199, lì al largo della Scozia.

Insomma, brindiamo pure al tondo e simmetrico 2020. Ma ricordiamoci che per tanti coinquilini del pianeta Terra questi nostri brindisi non significano nulla.

Ma, continua Gould, anche se tutti i governi del pianeta decidessero di emulare il Lenin del 1917 e il Mao Tse Tung del 1949 e di adottare la datazione “papista”, il fatto di trovarci in un anno scritto con uno zero finale non avrebbe comunque nulla di veramente speciale, così come nulla di speciale aveva l’anno con tre zeri finali, il 2000.      

Sia perché l’evento non ha alcun reale significato religioso (se uno va a fare le pulci ai calcoli di Dionigi il Piccolo, l’autore della riforma cristiana del calendario, scopre che in realtà Gesù non è nato il 1 gennaio dell’anno 1, ma il 25 dicembre dell’anno 4 avanti Cristo – scusate il paradosso Gesù sarebbe nato 4 anni prima del Cristo, ma la contraddizione non è frutto di un miracolo ma di ciò che noi convenzionalmente definiamo “prima di Cristo” che nulla a che fare con il reale tempo “prima di Cristo).

Sia perché l’evento non ha alcun significato fisico oggettivo. Il nostro universo conosce molti tempi, ciclici e lineari. E ci propone una miriade di calendari naturali possibili. Nessuno di questi attribuisce agli anni con tre zeri o anche alla divisione per dieci un significato particolare. Il nostro anno solare non dura 100 o 1000 giorni, ma 365,2422 giorni. Quello lunare (dodici rivoluzioni complete della Luna intorno alla Terra) dura 354,36706 giorni. Nei cieli e sulla Terra nulla si ripete con una ciclicità in perfetta base decimale. Di conseguenza ogni nostro calendario in base decimale è una costruzione artificiale. Una convenzione. E, come tale, del tutto arbitraria.

         Fin qui, Stephen Jay Gould.

Certo, la sensazione è di aver esagerato nel richiamare la sua dotta disquisizione sugli errori relativi all’arrivo dell’anno 2000 nel tentativo di correggere qualche errore blu commesso in prossimità dell’anno 2020. Abbiamo la sensazione di aver esagerato non solo e non tanto per una maldestra ostentazione di erudizione (siamo saliti sulle spalle di un gigante, in fondo: Stephen Jay Gould), quanto per una speranza che si dimostra sistematicamente infondata: quella che a fine anno conserviamo la lucidità per far bene di conto e per leggere bene il calendario.

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