SOCIETÀ

Il decreto Speranza sui farmaci veterinari è un'occasione persa?

Secondo il 32esimo Rapporto Italia 2020 dell'Eurispes, la maggior parte delle famiglie nostrane possiede almeno un animale da compagnia. Con il lockdown in particolare c'è stato un boom di adozioni, e se nel 2019 si parlava di un 33.6%, ora questi animali dividono la vita con il 39,5% degli italiani.
Il rapporto Eurispes fornisce inoltre un altro dato: rispetto al 2015 è notevolmente aumentata la spesa mensile per i proprietari: il 44.8% di loro spende tra i 50 e i 300 euro, mentre cinque anni fa a dichiarare questa soglia era solo il 18.1% del campione.

Mantenere un animale, in effetti, può diventare una spesa impegnativa, soprattutto se dovesse soffrire di una malattia cronica: i farmaci veterinari, infatti, costano mediamente molto di più rispetto ai farmaci umani con lo stesso principio attivo. E non si parla di un leggero rincaro: il consumatore arriva a spendere 10 volte l'importo del farmaco per gli esseri umani e, soprattutto se si parla di una malattia cronica, questa può diventare una voce di spesa importante nel bilancio di una famiglia.

In questo contesto è stato accolto con favore il cosiddetto Decreto Speranza, ovvero il Decreto del Ministero della Salute 14 aprile 2021 Uso in deroga di medicinali per uso umano per animali non destinati alla produzione di alimenti. Come suggerisce il nome, il decreto, pubblicato in Gazzetta il 21 maggio, prevede la possibilità di prescrivere agli animali da compagnia gli stessi farmaci che utilizzano i padroni. È un provvedimento di equità per cui molti hanno lottato nel corso degli anni, e si stima che permetterà un risparmio che può arrivare fino al 90% in caso di animali con malattie croniche.
Il decreto, però, ha suscitato anche alcune critiche, in particolare quelle della Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani (FNOVI), che tramite un comunicato ha espresso le sue perplessità, come ha fatto del resto la Commissione Europea.
Cerchiamo di capire meglio i termini della questione con Matteo Gianesella, professore di Legislazione veterinaria e presidente del corso di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina veterinaria.

Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Barbara Paknazar

Il problema è sotto gli occhi di tutti, politici, veterinari, cittadini e associazioni: i farmaci veterinari hanno un costo troppo alto. Ma perché succede questo? "Le dinamiche che inquadrano l’immissione in commercio e la determinazione del prezzo dei medicinali umani sono molto diverse da quelle del settore veterinario ed è difficile, se non impossibile, operare un parallelismo tra i due ambiti" dichiara Gianesella. Nel caso dei farmaci umani, infatti, c'è un'attività di contrattazione iniziale dovuta anche al fatto che molti di essi sono rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale, mentre per i farmaci veterinari questa fase manca. "C'è poi - spiega Gianesella - un'altra differenza legata all'autorizzazione all'immissione in commercio: per ogni principio attivo è richiesto un iter di studio molto importante legato animale a cui è destinato, con indicazioni e posologie accuratamente sperimentate per ognuna di queste specie, tenendo conto conto dei diversi metabolismi e, di conseguenza, della differente farmacodinamica e farmacocinetica (la farmacocinetica studia gli effetti che i processi dell'organismo hanno sul farmaco, la farmacodinamica studia gli effetti biochimici e fisiologici dei farmaci sull'organismo, e il loro meccanismo d'azione). Bisogna poi tenere conto anche che abbiamo animali di taglie diverse, e se aggiungiamo i farmaci registrati per gli animali in produzione zootecnica è necessario studiare anche i tempi di sospensione, ovvero il tempo che trascorre tra l’ultima somministrazione del farmaco e l’uso alimentare dei prodotti di origine animale, per evitare che residui del farmaco passino nella carne, nel latte e nelle uova. Tutto questo incide sul prezzo finale e bisogna poi aggiungere anche le dinamiche di mercato, un mercato più modesto rispetto a quello del farmaco umano".

Anche prima del decreto, comunque, un veterinario poteva prescrivere un farmaco umano, secondo il vigente D.Lgs 193 del 2006. Nell'articolo 10 era previsto l'uso in deroga del farmaco secondo un meccanismo a cascata: "Il medico veterinario - spiega Gianesella - doveva prescrivere un farmaco veterinario registrato per quella specie animale e per quell'affezione. Solo se in commercio non c'era un farmaco registrato per quella specie e per quella patologia, il medico veterinario ne poteva prescrivere un altro previsto per un’altra specie animale o per un’altra patologia della stessa specie. Se mancava anche questo, il veterinario poteva ricorrere a un medicinale autorizzato per l’uso umano". Il costo del farmaco, insomma, non era una variabile prevista dalla legislazione precedente e se un veterinario non rispettava questo meccanismo a cascata rischiava una sanzione fino a 10.000 euro.

Il Decreto Speranza in teoria mette l'accento proprio sul costo del farmaco. "Nel decreto - conferma Gianesella - ci sono sei situazioni specifiche in cui è concesso l'uso di un farmaco per uso umano anche tenendo conto del costo delle cure. Va chiarito, però, che il Decreto non cancella il meccanismo a cascata, quindi la scelta terapeutica del medico veterinario deve sempre, in prima istanza, cadere sul medicinale veterinario di elezione; nel caso in cui sia disponibile un farmaco ad uso umano contenente l’identico principio attivo, ferme restando tutte le indicazioni e limitazioni del Decreto Speranza, il medico veterinario potrà prescrivere il prodotto più conveniente. Resta inteso che la scelta del medicinale deve essere fatta caso per caso, valutando le circostanze tipiche e particolari che si presentano, e inoltre la scelta del medicinale deve tenere conto dell’effettiva patologia da curare: non si sceglie il principio attivo in base alla convenienza economica, ma in base alla sua efficacia nel trattamento dell’affezione di cui soffre l’animale. In sintesi, il costo delle cure diventa uno dei fattori su cui impostare la scelta terapeutica, ma non è il fattore determinante. La sola condizione del medesimo principio attivo non è quindi sufficiente a consentire la prescrizione del medicinale ad uso umano al posto di quello veterinario".

In quest'ottica, diventa ancora più centrale il ruolo del medico veterinario, che risente di un decreto poco cristallino nella sua attuazione, come rilevato anche dalla FNOVI. Se da una parte si lascia inalterato il meccanismo a cascata, dall'altra si mette l'accento sulla miglior convenienza economica e a fare le spese di questa difficoltà di interpretazione sarà sempre il medico veterinario che, come dice Gianesella, "è l’unico responsabile a farsi carico dei rischi e degli oneri derivanti da un testo poco chiaro".
Non stiamo parlando, inoltre, di una vera e propria liberalizzazione come si potrebbe pensare, soprattutto per quanto riguarda gli antimicrobici: prima di prescrivere farmaci ad uso umano deve essere svolto un antibiogramma, e comunque non possono essere prescritti farmaci che rischiano di facilitare la resistenza agli antibiotici. Se però sono chiarissimi i casi in cui non può essere prescritto un farmaco umano, non è altrettanto chiaro quando questo possa invece essere fatto.

Oltre a queste questioni che la FNOVI non ha mancato di rilevare, ci sono anche le perplessità della Commissione Europea: "Il minor costo di un medicinale - precisa Gianesella - non è previsto dalla direttiva comunitaria, che prevede invece il meccanismo a cascata di cui ho parlato prima. Di conseguenza in queste settimane la Commissione Europea non ha mancato nel manifestare le proprie perplessità, chiedendo spiegazioni al ministero della Salute italiano; non sappiamo ancora se si dichiarerà soddisfatta delle risposte ricevute o se aprirà una procedura d'infrazione". Ma non basta: "Va considerato - aggiunge Gianesella - un ulteriore aspetto, tutt’altro che banale: dal 28 gennaio 2022 entrerà in vigore un nuovo regolamento europeo, il 6/2019, sul farmaco veterinario, direttamente attuativo su tutti i paesi della comunità europea; questo regolamento disciplinerà anche l’uso in deroga del farmaco, mantenendo pressoché inalterato l’impianto a oggi esistente, non considerando la possibilità di utilizzo del farmaco umano a seconda del minor costo; di conseguenza, il tanto discusso decreto Speranza, entrato in vigore il 21 maggio 2021, durerà al massimo 8 mesi, poi verrà abrogato dal nuovo regolamento europeo".

Non c'è quindi speranza per risparmiare sulle cure veterinarie? Non con questo decreto, a quanto pare. Però ci sono altre azioni che si possono intraprendere, come conferma Gianesella: " Gli strumenti per cercare di ridurre la spesa connessa al farmaco dovrebbero essere altri, per esempio si potrebbe rendere più snella la procedura di autorizzazione e immissione in commercio dei farmaci veterinari e rendere maggiormente disponibili i generici a minor costo, rendendoli riconoscibili come tali. Un'altra opzione potrebbe essere quella di disciplinare lo sconfezionamento del farmaco veterinario anche in funzione antispreco e per evitare il fai da te da parte del proprietario. La FNOVI si è anche battuta per agire sulla fiscalità, diminuendo l’IVA connessa alle prestazioni medico veterinarie per gli animali d’affezione, gravate da una aliquota del 22% come fossero un bene di lusso, non prestazioni per la tutela della salute degli animali stessi e della comunità intera. Parallelamente si potrebbe aumentare la quota di spesa detraibile per le spese veterinarie".

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