SOCIETÀ

La disinformazione nell'era della conoscenza

La possibilità di conoscere, in generale, non è mai stata a portata di mano come oggi, eppure, forse non è mai stata così problematica. Infatti, nonostante abbiamo sperimentato nella storia fasi di oscurantismo nei confronti della ragione, oggi la conoscenza è in pericolo non tanto per un potere più o meno occulto che voglia celarla (non sarebbe una novità), ma per una sempre più diffusa ostilità da parte delle persone verso il sapere consolidato dall’uso della ragione, in particolare della scienza.

Il problema della disinformazione, la presa che hanno le teorie complottiste sulla popolazione, la ritrosia a riconoscere e confidare in fonti accreditate di conoscenza, sono oggi problemi di una tale portata da aver spinto organi internazionali a prendere provvedimenti. A giugno 2020 è stato istituito dalla Commissione europea un apposito osservatorio: EDMO. L’obiettivo è contrastare le false informazioni che dilagano sul web e allo stesso tempo potenziare la capacità dei cittadini di orientarsi tra le notizie. Si tratta di una missione fondamentale per le sorti della nostra vita come collettività. Se siamo tanto orgogliosi di distinguerci dal resto degli esseri viventi per l’uso della ragione e per le incredibili conquiste che essa ci ha permesso di conseguire, non possiamo permettere che la crisi della ragione metta a rischio le sfide che la nostra presenza sul pianeta mette in campo. Innanzitutto, come è possibile che la ragione sia in crisi, nonostante un maggiore livello di istruzione delle persone e l’ampia disponibilità di informazioni? L’ampia disponibilità di informazioni, in realtà, si è strutturata in una specie di supermercato virtuale dove il consumatore che legge o ascolta fa uso della propria libertà, ma anche della propria ignoranza, per scegliere il prodotto informativo più incline ai propri gusti. Non manca neanche una certa presunzione nel confidare nell’idea ingenua che basti un titolo di studio universitario qualunque per renderci esperti in tutto. Così come siamo liberi di acquistare cibo spazzatura e intossicarci, allo stesso modo possiamo inquinare la nostra mente con notizie deliranti, errate, controproducenti. E diffonderle.

L’idea che ci sia una competenza, a seconda dell’ambito di conoscenza in questione, che alcuni esperti e certe fonti possono avere a dispetto di altri, è qualcosa che sempre più persone disconoscono. Si parte dal più blando mancato riconoscimento di attendibilità (di una fonte o di un parere) alla più grave (e difficile da rimediare) adesione al complottismo. Che cosa succede nella testa di queste persone? Quali rischi comporta l’allontanamento dalla ragione? La diffidenza e lo scetticismo in primis, in seconda battuta l’ostilità aperta e il rifiuto verso la conoscenza autorevole, in ogni campo, minano le basi della nostra società. Se la popolazione diffida in massa dei vaccini, è a rischio la salute collettiva. Se la gente vede nelle istituzioni dei complotti, è a rischio la democrazia. Se il surriscaldamento globale è un’invenzione di scienziati corrotti, è definitivamente a rischio il nostro pianeta. Sono solo alcuni esempi, ma ci fanno capire che occorre urgentemente andare a vedere cosa accade nella testa di chi, sempre più spesso, si oppone all’uso ragionevole degli strumenti a disposizione per costruire una conoscenza il più possibile complessa. Infatti, se la realtà si fa sempre più complessa, le relazioni tra i più diversi elementi diventano sempre più intricate e le conseguenze si spalmano in tempi lunghi per la nostra capacità di osservazione, inoltre, dall’interazione delle parti di un sistema emergono proprietà che prima non c’erano; allora è evidente che non possiamo assolutamente semplificare la nostra conoscenza. A questo allarme non bisogna rispondere improvvisandosi sapienti conoscitori del mondo se non lo si è (e nessuno lo è mai abbastanza). Spesso, rifiutare la versione ufficiale di una spiegazione è un modo per sentirsi controcorrente e furbi, per sancire un’autonomia di sapere che in realtà non si possiede.

Quello che c’è, molto frequentemente, alla base di questa saccente pretesa di autonomia, è una celata vulnerabilità dell’individuo, che risponde alla complessità con una visione semplicistica, fantasiosa e fuorviante. Gestire l’incertezza e la fragilità dell’essere umani è un compito che gravoso per tutti, ma possiamo scegliere tra la strada della ragione e quella della fede cieca, spesso ostinata, a una teoria controcorrente, spesso riconducibile a una matrice complottistica. I social media aiutano moltissimo a dare visibilità a chi intende cavalcare lo smarrimento e la sfiducia nelle istituzioni, governative, scientifiche o di altro tipo. Essere “contro il sistema” potrebbe essere, di per sé, un modo per esercitare un pensiero alternativo, un diritto di critica, una visione di cambiamento, ma quando questa “posizione contro” ricade nelle maglie del pensiero complottista o, più semplicemente, simpatizzante dell’avversione all’uso coerente della ragione, perde la sua qualità come alternativa e diventa più che altro una fede. L’ostilità al sapere fondato sull’uso coerente della ragione, la quale può anche smentire la sua tesi di partenza, ma si avvale di un metodo chiaro e trasparente, ci porta lontano dalla possibilità di costruire, come collettività, una visione complessa all’altezza del mondo che abitiamo. Affidare la colpa di alcuni fatti importanti a una grande lobby o a personalità misteriose ricche e potenti in grado di affliggere apocalittiche conseguenze all’umanità (e il Covid-19 sarebbe una di queste) distoglie l’attenzione dalla ricerca delle cause reali di un fatto.

Non solo, proclamare l’esistenza di immaginari complotti distoglie l’attenzione da quelli realmente esistenti. L’uso di spiegazioni spettacolari, l’assenza di prove convertita essa stessa a prova, l’incoerenza, l’integrazione di ogni possibile contraddizione come dimostrazione di validità del complotto, sono alcuni degli elementi standard dei complottismi. È facile da chiunque farsi attrarre, anche solo incuriosire, per questo sarebbe utile che fossimo tutti più addestrati a riconoscere, nelle fonti che consultiamo e nei pareri che ascoltiamo, gli indizi per proteggerci dalla credulità. Questo non è un invito a conformarsi alla massa, ma a esercitare un pensiero critico sano, che sappia discernere fonti e pareri, attraverso un continuo esercizio, dove è inevitabile anche sbagliare. È tremendamente urgente correre agli armamenti della nostra ragione, per sua natura sempre in bilico sul precipizio dell’irrazionalità. Occorre, tuttavia, prendersi cura anche dell’irrazionalità, perché nella visione complessa possiamo trovare un posto sicuro anche per la parte più fragile della nostra psiche, quella vulnerabile alle paure e alle spiegazioni fantasiose a cui possiamo prestare il fianco. Si tratta di una missione importante perché i dati (e la conseguente istituzione dell’EDMO) ci dicono che, in particolare dagli Stati Uniti., arrivano venti di complottismo molto preoccupanti, come quello noto come QAnon.

L’Europa è stata la culla della democrazia e dell’Illuminismo, dobbiamo ora più che mai fare ricorso alla nostra tradizione consolidata dell’uso della ragione per affrontare l’invasione che potremmo subire, non tanto dai confini territoriali, ma dai nostri smartphone e pc. Dipenderà molto da come attraverso essi accediamo al supermercato globale delle informazioni e da come ci comportiamo in quanto consumatori di dati. Il primo passo è mostrare un po’ più umiltà verso le proprie conoscenze, un sano ma non cieco esercizio del dubbio e una perseverante apertura alla ricerca, consapevoli che la conoscenza non è una destinazione, ma un viaggio che non possiamo compiere da soli. Meglio se ben accompagnati.

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