SCIENZA E RICERCA

DNA ambientale per studiare e proteggere la biodiversità marina

In apertura del Decennio della scienza del mare per lo sviluppo sostenibile (2021-2030), che si propone di sostenere la ricerca e attivare azioni urgenti per proteggere gli oceani, UNESCO ha lanciato un progetto, per proteggere e preservare la biodiversità, basato sullo studio e l'utilizzo del DNA ambientale, materiale rilasciato dagli esseri viventi nell'ambiente circostante: nell'acqua, sul suolo, nell'aria. Qui, ora, ci occupiamo di acqua, dei mari del mondo, descrivendo il primo studio a livello globale sul DNA ambientale (eDNA), che si pone un importante obiettivo: determinare la vulnerabilità delle specie marine presenti nei siti Patrimonio dell'Umanità ed elaborare piani strategici per la loro conservazione. Approfondiamo l'argomento con il professor Lorenzo Zane, docente di Ecologia all'università di Padova (dipartimento di Biologia), cercando dapprima di capire cosa si intenda per DNA ambientale.

Partiamo da una considerazione: studiare la biodiversità di un'area è un'operazione molto impegnativa e dispendiosa in termini di tempo, risorse economiche e lavoro sul campo. Monitorare e campionare tutte le specie presenti in un determinato sito può risultare complesso. Si è osservato però che il DNA permane nell’ambiente sotto forma di frammenti, utili per studiare la biodiversità di un luogo e monitorare specie di interesse e rintracciarne di nuove. "Si tratta di una metodica relativamente recente che ha suscitato grande attenzione - spiega Zane -. In estrema sintesi, si chiama DNA ambientale perché si lavora con protocolli di identificazione genetica, non partendo dal DNA estratto dai tessuti del singolo animale ma da quello estratto da una matrice ambientale. Per esempio, io lavoro sulla biodiversità in ambito marino, ma la stessa cosa si può fare partendo da campioni di terreno o di aria. Prendiamo un volume d'acqua e lo filtriamo, sul filtro si depositano tutte quelle particelle, interi organismi o residui di tessuti, che normalmente vengono rilasciate dai pesci nell'ambiente. Quindi da quel filtro possiamo estrarre il DNA che utilizzeremo per svolgere una serie di identificazioni".

Montaggio: Elisa Speronello

Il progetto che vogliamo approfondire punta a misurare la vulnerabilità della biodiversità marina al cambiamento climatico e i conseguenti impatti sulla distribuzione e sui modelli di migrazione della vita marina nei siti Patrimonio Mondiale. Aiuterà a comprendere le tendenze globali e a proteggere ecosistemi eccezionali, a partire dalla Grande Barriera Corallina (Australia), primo sito Patrimonio mondiale nel 1981. I siti sono aumentati e riguardano oggi cinquanta aree del mondo. L'obiettivo è quello di monitorare anche le specie inserite nella lista rossa dall'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN). Il progetto prevede lavoro sul campo, analisi ed elaborazione dei dati che per usare le parole di Vladimir Ryabinin, vicedirettore generale e segretario esecutivo della Commissione oceanografica intergovernativa UNESCO, permetteranno di "sbloccare la conoscenza di cui abbiamo bisogno per creare l'oceano che vogliamo entro il 2030".

In linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, questo è uno dei progetti (2022-2023) attivati per sostenere la ricerca e implementare una serie di azioni urgenti da sviluppare nel corso del Decennio 2021-2030 dedicato agli oceani. "I tempi di sviluppo risultano fondamentali - precisa Zane -. quando noi studiamo la biodiversità vogliamo quantificarla, capire quante specie ci sono, per esempio, in un determinato momento e in una determinata area. Vogliamo anche assicurarci che le misure ottenute siano affidabili e stabili: in un ambiente naturale ci aspettiamo piccole variazioni, di anno in anno, nel caso di DNA ambientale, nel momento in cui viene prelevato quel campione d'acqua. Chiaramente, per avere il segnale medio serve ripetere le analisi. Per quantificare la biodiversità è essenziale avere una rete diffusa, replicata nel tempo. Inoltre, se vogliamo anche identificare dei trend, una perdita di biodiversità nel tempo o l'arrivo di specie invasive, un piano di ricerca pluriennale risulta estremamente importante".

"Una volta ottenuto il DNA è possibile caratterizzarlo attraverso diverse metodiche: le più semplici permettono di rilevare il DNA di una singola specie - continua Zane -. Esistono delle sequenze genetiche, già identificate e disponibili in laboratorio, che sappiamo corrispondere a una specie che ci interessa, e possiamo andare a cercarle nel nostro campione di DNA ambientale. Ma possiamo fare anche di più: con metodiche di ultima generazione, a sequenziamento massivo, possiamo complessivamente caratterizzare tutte le sequenze genetiche presenti nel nostro campione. A questo punto, se abbiamo a disposizione un database di riferimento, che ci dice quale sequenza corrisponde a quale organismo, possiamo fare una caratterizzazione dell'intera comunità biologica".

L'utilizzo del DNA ambientale nel monitoraggio degli oceani e nella raccolta dei dati è ancora agli inizi e i protocolli standard per il campionamento e la gestione dei dati saranno semplificati grazie a questo progetto. Per la prima volta verrà applicata una metodologia coerente in più aree marine protette, contemporaneamente, segnando la nascita di standard globali nelle pratiche di campionamento, monitoraggio e gestione dei dati, rendendo tali dati disponibili al pubblico.

Il progetto impegna anche le comunità locali, guidate da ricercatori ed esperti: i cittadini dovranno prelevare campioni d'acqua, filtrarli e fissarne l'eDNA, che verrà poi sequenziato in laboratori specializzati. Tutti i dati saranno elaborati e pubblicati dall'Ocean Biodiversity Information System (OBIS), il più grande sistema di dati open access al mondo sulla distribuzione e la diversità delle specie marine. "La porta d'accesso alla biodiversità oceanica del mondo e ai dati biogeografici e alle informazioni necessarie per affrontare le pressanti preoccupazioni degli oceani costieri e mondiali".


Altre ricerche: eDNA, Venezia, coste italiane

"Il mio percorso di ricerca inizia, sempre con l'utilizzo di marcatori genetici, ma in ambito diverso, con lo studio dell'evoluzione dei pesci antartici. Poi si sposta a livello locale con lo studio di pesci e invertebrati marini dell'alto Adriatico. Ultimamente abbiamo sentito l'esigenza di utilizzare metodiche diverse e, quindi, abbiamo sviluppato all'interno del nostro laboratorio metodiche per l'analisi del DNA e per la caratterizzazione delle comunità ittiche di invertebrati della Laguna di Venezia", racconta Lorenzo Zane. "Recentemente abbiamo esteso questo approccio, grazie a un progetto PRIN, alle aree protette lungo tutta la costa italiana, in collaborazione con il Politecnico di Milano, con la Stazione zoologica di Napoli e il CNR. Grazie al DNA ambientale riusciremo a capire quante specie ci sono e quanto stabili. Avremo campionamenti da Nord a Sud, ci sposteremo da acque più fredde ad acque più calde, per simulare, lungo questo gradiente ambientale, quello che potrebbe succedere in futuro, andando verso uno scenario di riscaldamento globale".

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