SCIENZA E RICERCA
Einstein, la relatività e la matematica padovana: 100 anni dopo la visita all'università di Padova
Il 27 ottobre del 1921 è un giovedì. È un giorno speciale per l’università di Padova che vede il geniale fisico tedesco Albert Einstein fare il suo ingresso nell’Aula Magna di Palazzo Bo per tenere una lectio magistralis e presentare la teoria della relatività. Pochi mesi dopo avrebbe ricevuto il premio Nobel per la scoperta delle leggi dell'effetto fotoelettrico, le cui verifiche sperimentali all'epoca erano già consolidate.
A portarlo a Padova, nell’ambito di un consolidato legame con l’Italia ben ricostruito anche da un recente documentario prodotto da Rai Storia, è la volontà di rendere omaggio al matematico Gregorio Ricci Curbastro che dal 1880 insegnava all’università patavina e aveva posto le basi della teoria degli spazi curvi di ogni dimensione. Insieme al suo prodigioso allievo Tullio Levi-Civita, Ricci Curbastro aveva pubblicato nel marzo del 1900 l’articolo Méthodes de calcul différentiel absolu et leurs applications con cui i due studiosi erano arrivati a costruire una nuova grande visione globale della geometria.
Una rivoluzione che all’inizio fu accolta piuttosto freddamente dalla comunità matematica ma che nell’arco di qualche anno si rivelò essere lo strumento che Einstein aveva a lungo cercato per sviluppare la sua teoria della relatività generale. Ma c’è di più: sarà proprio Levi-Civita, a cui oggi è intitolato il dipartimento di matematica dell’università di Padova, a rilevare un errore nella prima impostazione della teoria di Einstein e a segnalarglielo immediatamente scrivendogli una lettera. E’ l’inizio di un intenso scambio epistolare che permise al fisico tedesco di effettuare le correzioni necessarie e fece nascere tra i due scienziati un rapporto di profonda stima reciproca.
Scavando nelle testimonianze e nei documenti non mancano certo gli aneddoti sul rapporto umano e scientifico che legò questi tre grandi personaggi della storia della scienza, uniti dalla genialità ma contraddistinti anche da personalità profondamente diverse. Più schiva e riservata quella di Ricci Curbastro, un “gentiluomo” come lo definisce il fisico e divulgatore Fabio Toscano nel libro che ripercorre le tappe salienti della sua vita e di quella di Einstein. Più estroversa e aperta quella di Levi-Civita il cui percorso si scontrò però pesantemente con l’introduzione delle leggi razziali: nel 1938 gli fu tolta la cattedra in quanto ebreo e gli venne addirittura impedito l’ingresso in biblioteca. Isolato dal mondo accademico italiano, con la sola eccezione dell’Accademia Pontificia, rinunciò a fuggire all’estero per poter restare vicino ai suoi allievi e nella sua morte prematura, nel 1941, è difficile non intravedere il peso della sofferenza subita. Quanto ad Einstein è noto che avesse una personalità particolarmente istrionica ma forse non tutti sanno che prima di trovare nella matematica di Ricci Curbastro la chiave in grado di trasformare le sue intuizioni in una solida teoria fisica si bloccò fino a cadere quasi in depressione. A salvarlo fu il consiglio di un amico, il matematico svizzero Marcel Grossmann che era stato suo compagno di studi all'università e che lo indirizzò al calcolo di Ricci Curbastro. Negli anni successivi, come spiega a Il Bo Live lo stesso Fabio Toscano, Einstein "incontrò comunque altri ostacoli perché la teoria e l'apparato matematico erano molto complessi, però alla fine il risultato fu felice".
Dall'altro canto le potenzialità del calcolo differenziale assoluto trovarono proprio nella teoria della relatività generale di Einstein l'occasione per emergere in tutta la loro pienezza. All'inizio infatti la complessità degli strumenti elaborati da Ricci Curbastro e da Levi Civita aveva portato la comunità matematica a ritenere che non potessero avere degli ambiti di applicazione. "Il calcolo di Ricci ebbe dei grossi problemi di accettazione prima dell'emergere della relatività generale. I matematici del tempo lo apprezzavano, si rendevano conto che era estremamente sofisticato però sembrava superfluo. Poi invece arrivò il problema tanto atteso di cui quel calcolo era la soluzione e tutto cambiò", osserva Toscano.
Negli anni successivi all'Unità d'Italia, ricostruisce poi il professor Franco Rampazzo del dipartimento di Matematica dell'università di Padova, "c'era molto entusiasmo nel portare la matematica italiana, che già aveva degli esponenti notevoli, a contatto con la dimensione europea e certamente Ricci Curbastro ha contribuito a questo progetto trascorrendo un periodo di tempo a Monaco". In Germania infatti entrò a contatto con Felix Christian Klein e con il suo programma di unificazione di tutte le conoscenza geometriche di cui afferrò le potenzialità. In seguito, con la fortunata coincidenza di avere tra i suoi studenti a Padova un giovane di grandissimo talento come Levi-Civita, Ricci Curbastro "rese partecipe il suo allievo delle idee che aveva sviluppato in Germania con Klein e insieme scrivono il calcolo differenziale assoluto, quella che è considerata la base matematica della relatività".
Il professor Franco Rampazzo ripercorre le tappe salienti dello sviluppo della teoria della relatività generale di Einstein e il ruolo di Ricci Curbastro e Levi-Civita. Servizio di Barbara Paknazar
Una grande intuizione a cui mancavano gli strumenti matematici per essere espressa
"La storia della costruzione della relatività generale - che è continuamente corroborata, confermata da osservazioni ed esperimenti ed è a tutt’oggi uno dei cardini della fisica, dell’astronomia, della cosmologia - ha davvero un sapore romanzesco. Pensiamo sempre ad Einstein come la personificazione del genio ma quando nel 1912 iniziò a cercare di costruire questa teoria in maniera rigorosa con la matematica si bloccò", ricorda il fisico e divulgatore Fabio Toscano.
Indirizzato, su consiglio di Marcel Grossmann, al calcolo di Ricci Curbastro Albert Einstein riuscì a superare il momento di grande crisi che stava attraversando. "Quando aveva iniziato a lavorare alla sua teoria più importante, quella della relatività generale, era riuscito a cogliere il nocciolo fisico dei problemi che doveva affrontare ma affermò che gli mancavano le parole per esprimere i propri pensieri. Tradotto: gli mancavano gli strumenti matematici per organizzare una vera e propria teoria fisica. Questi strumenti poi li trovò, già estremamente efficienti e già pronti grazie all’opera di Ricci Curbastro".
Per questo motivo Einstein sentiva di avere un forte debito di riconoscenza nei confronti del matematico lughese e desiderava conoscerlo personalmente. "Qualche giorno prima del 27 ottobre, tra il 22 e il 26 ottobre del 1929, Einstein tenne tre conferenze all’università di Bologna. Furono estremamente seguite anche dalla stampa italiana ma Ricci Curbastro non potè venire a seguirle a causa di un impegno famigliare a Roma. L’assenza di Ricci Curbastro fu un dispiacere per Einstein che per questo motivo decise di tenere una quarta conferenza italiana, non prevista in precedenza, proprio all’università di Padova con lo scopo di riuscire a incontrarlo personalmente", ricorda Fabio Toscano.
"Il calcolo di Ricci Curbastro oggi viene chiamato tensoriale ma all’epoca lo stesso autore lo denominò calcolo differenziale assoluto. Era talmente potente e generale che non si erano trovati degli sbocchi applicativi che lo rendessero necessario", aggiunge Toscano.
“ Il calcolo di Ricci Curbastro era una sorta di soluzione in attesa di un problema al quale fosse realmente necessaria. Questo problema arrivò proprio con la relatività di Einstein e le cose cambiarono Fabio Toscano
Einstein inizia quindi a studiare il lavoro di Ricci Curbastro e Levi-Civita e nel 1913 pubblica, insieme a Marcel Grossmann, l'articolo Entwurf einer verallgemeinerten Relativitätstheorie und einer Theorie der Gravitation (“Schizzo di una teoria della Relatività generale e della Gravitazione”). La stesura della relatività generale non è però ancora arrivata a compimento e nella prima formulazione conteneva delle imperfezioni che avrebbero potuto pregiudicare il risultato finale.
Le osservazioni di Levi-Civita e l'inizio di un intenso scambio epistolare
Intanto Levi-Civita era stato nominato professore straordinario di meccanica razionale a Padova già nel 1897 quando aveva appena 24 anni. Come ricorda in questo articolo la professoressa Luisa Fiorot "è proprio da Padova che Tullio scrive ad Einstein nel 1915, per informarlo che nel suo ultimo lavoro c’è un errore". Levi-Civita aveva letto l'Entwurf su richiesta di un altro fisico molto stimato, il tedesco Max Abraham che tra il 1909 e il 1915 insegnò Meccanica razionale in quello che sarebbe diventato il Politecnico di Milano. "Abraham sosteneva che tutte le cose che stava facendo Einstein sarebbero stata la rovina della fisica" e si era rivolto a Levi-Civita affinché prendesse le sue parti. Ma Levi-Civita legge e capisce che Einstein ha abbastanza ragione", ricorda Rampazzo.
E, come ha scritto qualche tempo fa sul nostro giornale il professor Franco Cardin, Levi-Civita colse in quelle pagine "una totale reinterpretazione fisica (si potrebbe oggi dire, semantica) della teoria geometrica che lui stesso aveva elaborato assieme con Ricci-Curbastro". Si accolse però di un errore d'impostazione e inviò subito una lettera ad Einstein per comunicarglielo. Il tempismo fu perfetto visto che entro qualche mese il fisico tedesco avrebbe pubblicato il suo paper e grazie alle osservazioni di Levi-Civita potè elaborare la versione corretta delle equazioni gravitazionali.
"Queste lettere sono una delle parti più esaltanti della storia della scienza e dei rapporti della matematica con la fisica", osserva Franco Rampazzo. Quelle ricevute da Levi-Civita, ricorda il docente, sono ora conservate al museo della cultura ebraica dell’università di Gerusalemme e sono state citate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella quando prese parte all'inaugurazione del 796° anno accademico dell’università di Padova. Di quelle scritte da Levi-Civita ne è invece rimasta solo una: è quindi probabile che Einstein non fosse ordinato come l'amico.
"Tra i due c’era anche una vicinanza generazionale dato che erano quasi coetanei mentre Ricci era quasi 20 anni più anziano dei due. In Levi Civita Einstein trovò un collaboratore eccezionale e anche un critico molto severo", afferma Fabio Toscano parlando del rapporto che si era instaurato tra i due. E aggiunge: "Einstein ha sempre riconosciuto il suo debito nei confronti sia di Ricci che di LC. Si disse che una volta quando gli fu chiesto cosa amasse di più dell’Italia rispose spaghetti e Levi-Civita". E, ricorda poi Rampazzo, Einstein non fece mistero di apprezzare profondamente le abilità matematiche dello studioso padovano. "Ammiro il Suo metodo di calcolo. Deve essere bello cavalcare sul cavallo della vera matematica attraverso questi campi, mentre uno come me deve accontentarsi di procedere a piedi", confessa Einstein a Levi-Civita in una lettera nel 1917.
Mentre Einstein e Ricci Curbastro si incontrarono di persona solo a Padova il 27 ottobre del 1921, Einstein e Levi-Civita si incontrarono più volte. "La prima a Bologna nei giorni precedenti alla conferenza di Padova. Poi ebbero modo di vedersi in altre occasioni, anche a Princeton quando Einstein si era trasferito negli Stati Uniti per scappare dalla follia nazista. Continuarono a sentirsi per lettera fino alla fine dei loro giorni", spiega Toscano.
Levi-Civita e la nozione di parallelismo
"La nozione per cui Levi-Civita è noto in tutto il mondo è quella di parallelismo, una nozione che permetterà alla teoria della relatività di essere espressa con i termini giusti e darà inizio alla teoria delle connessioni, una branca della matematica che è ancora vivissima", entra nel dettaglio il professor Rampazzo. Nella video intervista che vi proponiamo il docente del dipartimento di Matematica illustra alla lavagna (a partire dal minuto 18'00'') come Levi-Civita "avesse capito molto bene che il discorso del parallelismo è legato a qualcosa che noi diamo per buono come naturale ma che è una proprietà di quello spazio, una proprietà che ci dice cosa sono delle parallele".
"Tutti noi con la nostra mentalità geometrica, dovuta all’esperienza reale, ma anche formalizzata dalla geometria classica dei greci, abbiamo alcune nozioni in testa e sono quelle che poi sono state ben codificate con gli assiomi della geometria" ricorda Rampazzo riferendosi in primo luogo alla convinzione che due rette parallele non si incontreranno mai. Ma in una sfera, intesa non come oggetto immerso nel nostro spazio ma come universo, le cose cambiano.
"Lo spazio-tempo di Einstein ha tre coordinate per lo spazio e una per il tempo. Levi-Civita capisce che per esprimere bene l’idea fisica di Einstein bisogna dare allo spazio-tempo quadrimensionale un certo tipo di struttura che dice quali sono le parallele perché alla fine le parallele in un certo senso saranno i moti di questo spazio e a seconda delle prerogative di questo spazio cambia la curvatura sulla base delle masse che ci sono dentro. Questo spazio ha una certa curvatura che implica un certo comportamento delle parallele. E' l'impostazione che dà alla teoria della relatività generale rigorose basi matematiche rigorose per essere espressa", approfondisce Rampazzo.
La teoria della relatività deve quindi davvero molto al calcolo di Ricci Curbastro e alla nozione di parallelismo sviluppata da Levi-Civita. Il matematico padovano, ricorda sempre Rampazzo "pur essendo straordinario a livello astratto amava il confronto con le applicazioni. Aveva interessi molto vari, dalla geometria algebrica alla geometria differenziale, la fisica matematica ed era stato addirittura coinvolto in progetti ingegneristici come quando fece i calcoli per il posizionamento del cavo del telegrafo nell’oceano per mettere in collegamento Europa e Stati Uniti".
La vita di Levi-Civita finisce però tragicamente. Nel 1938 ricevette una lettera dall'università La Sapienza di Roma, ateneo in cui era stato chiamato a insegnare per chiara fama dal 1919. Una missiva di sole tre righe per informarlo che da quel momento la sua attività sarebbe terminata, in quanto ebreo. Fu inoltre espulso dall’Unione matematica italiana che arrivò a censurarne i contributi scientifici e anche l'ateneo patavino non prese le distanze dalle conseguenze delle leggi razziali. "Padova è nota per aver ospitato i più bei 17 anni di Galileo Galilei, ma abbiamo un personaggio del XX secolo che è a quel livello di taratura e di cui dobbiamo essere orgogliosi. Siamo stati felici di intitolargli il nostro dipartimento", conclude il professor Franco Rampazzo.