CULTURA

Il fantasma dei fatti: un romanzo "no-fiction"

Entrambi siamo giornalisti e collaboriamo a questo organo di informazione, Bruno Arpaia è anche un grande scrittore, a fine febbraio è uscito in libreria il suo ultimo romanzo, Il fantasma dei fatti, Guanda, 2020, pag. 279 euro 19. Il primo romanzo di Arpaia risale a circa trenta anni fa, si era appena trasferito da Napoli a Milano, laureato in Scienze Politiche, giornalista professionista, dal Mattino verso Repubblica. Con I forestieri (Leonardo Editore, 1990) vinse il Premio Bagutta Opera Prima nel 1991. Uscirono successivamente altri sette volumi di fiction, il penultimo nel 2016 propriamente di speculative science-fi (Qualcosa, là fuori, Guanda 2016) e vari altri volumi no fiction (conversazioni con scrittori, saggi politico-culturali), anche se l’intera produzione letteraria dell’autore ha esplorato ogni volta il confine friabile e poroso tra realtà e invenzione, tra memoria e immaginazione, tra storia e verità nella scrittura. I romanzi esaminano sempre periodi storici e temi scientifici dopo una lunga accurata documentazione, i saggi evidenziano sempre uno stile curato e espedienti narrativi finalizzati a emozionare oltre che a informare. Del resto, a fine anni novanta, Arpaia lasciò il lavoro nella redazione giornalistica per cercare di essere definibile solo come scrittore, svolgendo anche un’intensa opera di traduttore (dallo spagnolo) e altre interessanti attività di operatore culturale colto e creativo.

Dopo innumerevoli articoli e interventi, ora a febbraio 2020 arriva l’atteso nuovo romanzo, una gran bella storia! In esergo Antonio Muñoz Molina nel metodo e, soprattutto, il Leonardo Sciascia investigatore su Majorana nel merito: “Abbiamo avuto, al di là della ragione, la razionale certezza che, rispondenti o no a fatti reali e verificabili, quei… fantasmi di fatti che convergevano su uno stesso luogo non potevano non avere un significato”. L’intero testo serve ad Arpaia per trattare insieme quattro specifici fatti che riguardano la vita imprenditoriale e scientifica italiana negli anni sessanta, rispetto ai quali finora non sono stati certificati nessi completi. Che ci potessero essere nessi (e significato intrecciato) era la pacata stimolante opinione della persona che sobillò la curiosità di Arpaia in materia, Pietro Greco (Barano d’Ischia, 1955). Il romanzo alterna così due trattazioni parallele con personaggi del tutto differenti e stili non coincidenti, entrambe su quelle quattro vicende, entrambe narrate in prima persona da protagonisti diversi a decenni di distanza, entrambe con inesorabili convergenze e sincronici livelli di magistrale tensione. Da una parte un inesperto agente della Cia racconta il plausibile colloquio canadese svoltosi con il veterano Tom il Greco nel settembre 1978, in cui vengono ricostruiti tanti accertati casi storici della geopolitica internazionale dal (fattivo) punto di vista dell’intelligenceamericana (spesso divisa all’interno e con risvolti presidenziali), con doviziosa attenzione a quelli italiani (da De Lorenzo a Gelli). Dall’altra parte l’autore stesso ricostruisce l’evoluzione per quasi undici anni del tarlo contagioso trasmessogli a spasso per Chianciano in un dopocena del 27 giugno 2008 dall’amico saggista Pietro Greco (considerato già allora uno dei più autorevoli giornalisti scientifici italiani), con le proprie successive accurate ricerche documentarie e bibliografiche, in patria e all’estero, alla ricerca di testimonianze o prove e di sensati espedienti narrativi, inframezzate dalle attività personali della ricca vita relazionale o professionale (scrittore, traduttore, operatore culturale) e delle relative precarie soddisfazioni finanziarie. 

Il 3 settembre 1978 Tom K il Greco riceve cautamente nella sua casa di vacanza canadese, prossima al Grand Lake o Lac Grand in Québec, due agenti della Cia in missione, provenienti dalla sede centrale a Washington, il gelido tagliente capo George e un altro giovane addetto. Il 61enne è solo, la moglie già ripartita, pure le tre figlie tornate nelle rispettive residenze. Il mandato dei due è capire cosa Thomas dirà nei giorni successivi alla Hsca, la House Select Committee on Assassinations, la Commissione della Camera dei Rappresentanti che sta indagando ancora sugli omicidi di John Kennedy e Martin Luther King. Era stato chiamato a giugno ma si era detto indisponibile, non ha lasciato mai nulla per iscritto, devono proprio parlarci di persona. Con tenace circospezione lo interpellano sulle riflettute intenzioni e ascoltano il suo punto di vista relativo ai casi della storia americana nel mondo. La conversazione ricostruita letterariamente si svolge lungo molte ore, con intervalli per passeggiare, mangiare, fumare (pipa o altro), riflettere; dubbi, tensioni, sospensioni. Si cena greco (ovviamente), prima del Crown Royal Black. George canticchia Pete Seeger, Tom preferisce opere liriche e inni patriottici. Le manipolazioni della realtà non riguardano solo il passato, sono un elemento delle relazioni umane e del vivere sociale. A proprio rischio e pericolo. Qualcosa di vero c’è. Forse. 

Un uomo chiamato Thomas Hercules Karamessines risulta effettivamente come professionale dirigente dell’Agenzia. Nato a New York il 25 luglio 1917 da una famiglia di origini greche, fin dal 1942 arruolato nei servizi segreti, fu subito freddamente operativo in Grecia durante la guerra mondiale e poi la guerra civile. Presto si traferì in Italia. Tornato in patria, seguì o guidò tutte le operazioni coperte della Compagnia, sia nei casi del Vietnam e del Cile che rispetto alla cattura di Che Guevara. Probabilmente in gran parte visse così. Nel nostro paese era stato capo della stazione Cia dal 1958 al 1963, poco dopo che la fanatica anticomunista ambasciatrice Luce era tornata in patria (sua). A quel tempo il livello delle capacità scientifiche e tecnologiche del nostro paese era fra i più alti in Europa e nel mondo. Proprio durante il periodo della permanenza di Karamessines a Roma ebbero tragicamente luogo quelle quattro vicende che avrebbero ridimensionato e azzerato il grande ruolo italiano nell’elettronica, nel nucleare e nelle biotecnologie e compromesso una nostra prestigiosa autonomia energetica e politica. Vi erano in vario modo coinvolte personalità straordinarie: Enrico Mattei, Mario Tchou, Felice Ippolito, Domenico Marotta. Non è che il declino fu in parte risultato di una qualche cospirazione internazionale? Karamessines avrebbe potuto spiegarci qualcosa a riguardo (sulla base delle tante incerte tracce emerse nei decenni seguenti)? E su altri casi internazionali, sulle morti o sulle corruzioni di alcuni Presidenti Usa? Chi può dirlo? Appare coraggioso e utile che qualcuno ci abbia finalmente provato con serietà e acume, senza tesi precostituite, con tante continue domande che inevitabilmente in parte cercano ancora risposta. Quasi.

Dal 2008 al 2019 l’apprezzato scrittore Bruno Arpaia (Ottaviano, 1957) ha investigato in modo intermittente sulle biografie dei quattro italiani, sulle relative vicende politico-culturali e sul contesto istituzionale e scientifico dell’Italia di circa 60 anni fa. Un oggettivo filo comune è evidente, i soggettivi contatti restano incerti. Due morirono in modo misterioso, uno sicuramente a causa di un attentato di cui tanti potevano essere stati mandanti. A Enrico Mattei (1906-1962), fiero partigiano e spregiudicato imprenditore, inventore e presidente dell’ENI, vari nemici volevano impedire di accordarsi con gli Stati Uniti come, a sorpresa, stava riuscendo a fare. Nell’ottobre 1962 il suo aereo personale nei pressi di Bascapè (provincia di Pavia) fu fatto cadere. Quasi un anno prima era morto Mario Tchou (1924-1961), ingegnere poetico e informatico italiano, origini cinesi e trascorsi americani, elettronico di qualità che dal 1954 collaborava con Adriano Olivetti contribuendo a far diventare l’azienda leader mondiale nel settore. Ebbe un incidente d’auto e nulla lascia supporre crimini in materia, l’imprenditore di idee era stato già stroncato da un infarto a inizio 1960. Poco tempo dopo la loro scomparsa la Divisione elettronica dell’Olivetti fu venduta all’americana General Electic. Le altre due personalità subirono poi quasi nello stesso periodo arresti clamorosi, sia Felice Ippolito (1915-1997), amministratore del Comitato nazionale per l’energia nucleare a marzo 1964 per presunte irregolarità amministrative, sia Domenico Marotta (1886-1974), già direttore dell’istituto superiore di sanità, quando era in pensione ad aprile 1964, ancora una volta per presunte trascorse irregolarità amministrative. Due vicende professionali e umani gestite dal malaffare politico per ignobili ragioni, questo è ormai abbastanza certo, la questione aperta riguarda le complicità criminali e internazionali, un eventuale “significato” unitario (anche rispetto alle prime due) rispetto alla geopolitica dell’Italia dopo il fascismo e la guerra.

Arpaia aggiunge un tassello interessante e importante alla ricca vicenda umana e letteraria di grande scrittore. Quasi alla fine di quest’ultimo bel romanzo viene citato per esteso il proprio lucido articolo pubblicato su Repubblica il 25 ottobre 2014: L’inesorabile scomparsa dello scrittore medio. In realtà, a essere richiamati nella narrazione autobiografica sono molti dei suoi precedenti testi, quelli scritti in parallelo corso di contagio (l’interesse per la fisica quantistica, la cultura che si mangia, il futuro incipiente delle migrazioni forzate da lente desertificazioni e siccità sempre più intense e frequenti) e alcuni di quelli pregressi (sugli anni di piombo, su Walter Benjamin), come anche le traduzioni dallo spagnolo e i suggerimenti di cari colleghi giornalisti e scrittori (spiccano D’Avanzo e Taibo II). Né sono taciute le motivate opinioni dello stesso autore sulla Cia, sul Cile, sul nucleare, confrontando opportunamente le opzioni politiche e le verifiche scientifiche, la giovanile scelta di campo e l’evoluzione verso una matura consapevolezza critica rispetto al come e perché si sta in campo. I progressi delle ricerche sono accompagnati dalla citazione di saggi, documenti, testimonianze e ricostruzioni, per una bibliografia completa ma non burocratica, senza riassunto in appendice. Sempre di un romanzo, in fondo, si tratta, seppur di no fiction!

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