CULTURA

(In) fedeltà, intervista a Marco Missiroli

In odore di Premio Strega, Fedeltà di Marco Missiroli (Einaudi, 2019) è il romanzo di cui tutti ultimamente parlano.

Da pochissimo entrato nella scuderia dell’editore di via Biancamano (Atti osceni in luogo privato, il suo precedente successo, è invece marchiato Feltrinelli), Missiroli è una voce in grado di restituire uno sguardo sul nostro tempo, così come, in modo diverso, fanno altri “giovani” in casa Einaudi, editore che di recente sembra puntare, per la sezione italiana della sua collana più prestigiosa, i “Supercoralli”, su una nuova generazione di scrittori – hanno una quarantina d’anni – come Paolo Cognetti, Marco Balzano, Rossella Milone ecc.

A prescindere dal fatto che sia vero o no, dal fatto che il mondo occidentale “invecchi”, e a determinarlo siano le azioni di chi una volta sarebbe stato considerato forse già anziano (Javier Marias nel suo ultimo, Berta Isla, riferendosi agli anni sessanta dice: “A quei tempi tutto avveniva più in fretta e prima, diversamente da quanto oggi si crede, e i giovani si sentivano adulti molto presto, e pronti per affrontare compiti adulti, esercitandosi strada facendo e occupando il loro posto nel mondo”), ci si aspetterebbe che oggi a definire le sorti del presente potessero essere, quantomeno, i quarantenni.

Ed è di circa quarantenni di cui scrive Missiroli in Fedeltà (ma non solo, e i personaggi nel loro insieme, spiega l’autore, sono come gli organi di uno stesso corpo). Solo che il quadro complessivo non è dei più rosei. Il romanzo, che racconta le vicissitudini di una coppia apparentemente ben assortita, Carlo e Margherita, figli di benestanti ma meno benestanti a loro volta (oggi è così), e di una serie di personaggi collaterali che fanno loro da specchio evidenziandone le (in)fedeltà e le défaillance, pare mostrare in pieno lo smarrimento di una generazione.

 

Per l’autore, che abbiamo intervistato al telefono, si tratta di una sorta di isolamento, in cui i personaggi riescono a scambiarsi tra loro l’emotività, come fossero vasi comunicanti, solo attraverso l’incontro e paradossalmente mai con le parole. Questo fenomeno trova riscontro nello stile: l’autore passa volutamente dai pensieri di un personaggio a quelli di un altro senza soluzione di continuità. “A matrioska”, definisce Missiroli questo scambio silenzioso e interiore “come se un lascito si riversasse in un personaggio e poi in un altro e poi in un altro ancora, quasi senza parlare”, dice.

Tutto ciò, secondo lui, è tipicamente umano, ma trova nel suo romanzo applicazione al nostro tempo e a una specifica generazione, quella che ha assistito a disgregazioni sociali, economiche e sentimentali.

“Proprio perché [viviamo in] un’ipertrofia di comunicazione, grazie ai telefonini e a tutto il resto” spiega “a me interessava svelare quali siano le parti carsiche delle relazioni, ossia quelle non dichiarate: non sappiamo cosa si celi dietro alle coppie anche apparentemente felici. Carlo e Margherita sono una coppia salda, con una buona dose di legame (che non vuol dire, per l’appunto, di comunicazione), ma molti riescono a restare insieme pur avendo dei fantasmi nell’armadio che risalgono alle loro storie singole”.

I social nel romanzo sono sapientemente dosati, quasi non appaiono (non è di certo facile per i romanzieri di oggi confrontarsi con un’abbondanza di parole e immagini scambiate che di fatto costituiscono per loro un meta-linguaggio) eppure, spiega Missiroli, “sono cruciali nella seconda parte della storia perché proprio grazie ai social l’ossessione si solidifica: grazie a Instagram, lui [Carlo] capisce che ha ancora un’ossessione, e lei [Sofia, il suo amore fuori dal matrimonio] riesce a “tenerlo lì”. La verità è che i social network sono una parte fondamentale della disgregazione perché abituano a un consumo veloce di tutto, abituano alle nascite e ai crolli immediati”.

I social network sono una parte fondamentale della disgregazione perché abituano a un consumo veloce di tutto, abituano alle nascite e ai crolli immediati

E ancora (e può risuonare alla mente l’uso che talvolta si fa proprio dei mezzi di comunicazione contemporanei): “Siamo piuttosto infedeli per quanto riguarda le parole e siamo invece fedeli per quanto riguarda l’esteriorità”.

Infedeli, fedeli, fedeltà.

Il titolo fa riflettere, perché sembra rappresentare l’esatta antitesi di quello che il romanzo racconta, quasi un ossimoro. Circa a metà si legge: “Che parola sbagliata, amante. Che parola sbagliata, tradimento. Rispetto a cosa avrebbe tradito?” ma l’autore su questo è lapidario: “È un libro sulla fedeltà. Quella a noi stessi. Molto spesso tradendo siamo fedeli a noi stessi e […] per essere fedeli a noi stessi dobbiamo tracciare una linea di demarcazione verso l’esterno”.

Molto spesso tradendo siamo fedeli a noi stessi e per essere fedeli a noi stessi dobbiamo tracciare una linea di demarcazione verso l’esterno

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