SCIENZA E RICERCA

In fondo al mar, le microplastiche

Il problema dell’inquinamento dovuto alla plastica e ai suoi derivati è oggi molto popolare. Le microplastiche, cioè le fibre e i frammenti plastici più piccoli di 1 millimetro, possono essere fabbricate come tali o derivare dalla degradazione di rifiuti più grandi, compresi i tessuti sintetici. Molti studi hanno evidenziato come le microplastiche siano presenti anche nei luoghi più remoti della terra, dalle vette innevate delle montagne alle profondità marine. Ma qual è il destino dei rifiuti plastici che non vengono smaltiti o riciclati correttamente e che, prima o poi, confluiranno nei mari e negli oceani? Una loro piccola frazione è visibile agli occhi di tutti sulla superficie, nelle famose isole di plastica galleggiante che si formano e concentrano per l’azione delle correnti non solo negli oceani, ma anche nel Mar Mediterraneo (come spiegato da Suaria nel 2016). E tutto il resto? Andrà a depositarsi semplicemente sul fondo in corrispondenza di tali “isole”?

Uno studio di Kane e colleghi, recentemente pubblicato su Science, affronta il destino delle microplastiche nelle profondità del Mar Tirreno e i suoi risultati vengono commentati da Mohrig, nella stessa pubblicazione, sottolineando un chiaro parallelismo tra le dinamiche agenti nell’ambiente marino profondo e quelle che governano l’ambiente superficiale marino e terrestre. Contrariamente a quanto si pensava, Kane e colleghi dimostrano che le microplastiche non precipitano solo verticalmente in colonna d’acqua in modo passivo, ma si concentrano in maniera localizzata sui fondali marini a livello di depositi profondi di sedimenti (contourite drifts), che quindi rappresentano dei serbatoi o hotspots di microplastiche.

Lo studio evidenzia come la degradazione, il trasporto, l’accumulo e la potenziale risospensione delle microplastiche siano regolati dagli stessi processi che guidano il trasporto e il deposito dei sedimenti più fini, ovvero le correnti marine profonde (le correnti termoaline). Variazioni nell’intensità di queste correnti, nel tempo e nello spazio, influenzeranno il trasporto e l’accumulo dei sedimenti così come il trasporto e l’accumulo delle microplastiche. L’idrodinamismo marino che determina gli itinerari di trasporto, i siti di deposizione e la potenziale rimobilizzazione di sedimenti e microplastiche interagisce strettamente, a sua volta, con la topografia del fondale. Di conseguenza, Mohrig richiama l’attenzione sul fatto che per prevedere in maniera accurata il destino delle microplastiche nelle profondità marine è necessario avere dati ad alta risoluzione della batimetria e della topografia sottomarina. Tuttavia, simili dati mancano ancora a livello globale e quelli disponibili hanno una risoluzione inferiore a quella che caratterizza il modello digitale di elevazione dell’intera superficie di Marte.

Kane e coautori accennano inoltre al ruolo cruciale delle correnti marine profonde nel trasporto di nutrienti e ossigeno, che condizionano la localizzazione degli hotspots di biodiversità nelle acque più profonde. Tuttavia, come gli autori hanno dimostrato, le stesse correnti profonde sono anche i principali vettori di arricchimento dei fondali marini in microplastiche, che potrebbero essere più disponibili proprio in corrispondenza di tali hotspots e dove il loro trasferimento nella rete trofica potrebbe essere più probabile. Questa sovrapposizione tra hotspots di biodiversità marina e di microplastiche si somma a quanto era stato già messo in luce da uno studio globale, coordinato da Derek Tittensor nel 2010, che riportava la presenza di un maggior numero di specie marine, sia costiere che oceaniche, là dove l’impatto cumulativo delle attività umane era maggiore.

Le concentrazioni di microplastiche riportate nello studio di Kane nel Mar Tirreno sono le più alte finora registrate nei fondali marini profondi, inclusi canyon sottomarini e fosse oceaniche.

Questi risultati evidenziano che, nonostante siano necessari dei provvedimenti per ridurre l’immissione di rifiuti plastici nell’ambiente, i mari e gli oceani continueranno a serbare le prove inconfutabili della nostra cattiva gestione dei rifiuti e, come sottolineato da Mohrig, i primi depositi di microplastiche potrebbero servire da testimonianza paleoambientale e da riferimento per l’inizio di quella che è stata definita l’epoca geologica attuale, l’Antropocene.

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