SCIENZA E RICERCA

Gazze marine nel Mediterraneo: come mai così tante all'improvviso?

Negli ultimi 10 anni gli avvistamenti lungo le coste italiane sono stati meno di un centinaio. Addirittura nel Golfo di Napoli non si vedeva da quasi 100 anni. Eppure quest’inverno ha invaso le acque e le coste Mediterraneo, spingendosi fino in Grecia e in Turchia. Un fenomeno mai osservato prima, di cui non si conoscono ancora con certezza le cause. La protagonista di questa invasione è la gazza marina (Alca torda), un uccello marino che di norma trascorre l’inverno nell’Atlantico e che quest’anno ha fatto registrare quasi un migliaio di avvistamenti complessivi solo in Italia. Abbiamo chiesto tutti i dettagli a Rosario Balestrieri, ornitologo della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, che in questi mesi ha coordinato un lungo lavoro di monitoraggio e sensibilizzazione.

«Tutto è cominciato a metà novembre, quando una prima gazza marina ha fatto capolino in Toscana, il 17 novembre. E una seconda è spuntata nel golfo di Napoli, davanti Mergellina, il 20 novembre: è stato questo il mio primo incontro. Da quel momento gli avvistamenti si sono moltiplicati in tutto il Mediterraneo. Era chiaro che stesse succedendo qualcosa di mai osservato prima» così Rosario Balestrieri racconta a Il Bo Live l’inizio del suo lavoro. E già, perché una gazza marina non è un uccello che si vede spesso in Italia, soprattutto al sud o in Adriatico.

«Nidifica lungo le scogliere a picco sul mare in Nord Europa e Nord America, e trascorre l’inverno nell’Atlantico centrale, fino alle Canarie. In Mediterraneo, entrano circa 4.000 individui l’anno che si fermano a sud della Spagna e della Francia, spingendosi al massimo fino al Mar Ligure» continua Balestrieri. «Per questo, quando abbiamo cominciato a raccogliere segnalazioni in Toscana, Campania, Calabria e Sicilia ci siamo subito attivati diffondendo via web e social un modulo di segnalazione, inviato in primis ai soci della Lega Navale di Napoli che ci hanno aiutato con le prime osservazioni e poi nel resto d’Italia grazie ai social, che in questo frangente sono serviti come strumento di citizen science».

A conti fatti, le osservazioni ornitologiche mirate hanno apportato un 17% dei dati totali raccolti, mentre dai social (Facebook in particolare) ne sono arrivati oltre il 35%. Nei tre mesi invernali, Balestrieri è così riuscito a raccogliere oltre 450 avvistamenti in tutt’Italia (sulla piattaforma Ornitho.it se ne contano quasi 800). «Il dato più eclatante raccolto è che il 27 novembre, escludendo tutti i doppi conteggi, nei mari italiani c’erano almeno 747 gazze marine. E dico almeno, perché si tratta di un numero probabilmente sottostimato, visto che si tratta di una specie pelagica incline a stazionare anche in mare aperto» specifica Balestrieri.

Il modulo ideato permetteva a chiunque di informarsi sulla specie, riconoscerne i tratti distintivi e segnalare un avvistamento, con data e località. La gazza marina, parente dell’oramai estinta alca impenne «somiglia a un piccolo pinguino, che però è capace di volare: vola bassa sull’acqua ed è un’abile nuotatrice, che pesca acciughe e piccoli pesci in apnea fino a 120 metri di profondità. È lunga una quarantina di centimetri per un peso di circa 650 grammi… quando è in salute» sottolinea l’ornitologo.

Dopo i primi avvistamenti di gazze marine lungo le coste italiane, infatti, sono cominciate ad arrivare anche segnalazioni di esemplari morti o debilitati: trovati spiaggiati da cittadini a passeggio sul lungomare, annegati nelle reti da pesca, o per fortuna soccorsi e portati nei centri di recupero della fauna selvatica.

«In totale in tutt’Italia abbiamo contato 45-50 esemplari morti, ma è ovvio che si tratta di una sottostima: nessuno, per esempio, ha contato quelli morti in mare aperto, né c’è stato un censimento capillare. E la quasi totalità di questi individui rinvenuti era chiaramente morta di fame: pesavano 350-400 grammi, quasi la metà di quanto dovrebbero pesare. Inoltre avevano lo stomaco vuoto, indice appunto del fatto che erano a digiuno ormai da tempo» commenta Balestrieri. «Nello stomaco di molte, poi, sono state rinvenute anche plastiche e microplastiche, su cui indagheremo. Di quelle trovate nelle reti, invece, qualcuna era riuscita a ghermire qualche pesce finito in rete, ma era poi morta affogata».

L’ipotesi è che siano arrivate fin qui probabilmente per fame

Il prossimo obiettivo di Rosario Balestrieri alla Stazione Zoologica Anton Dohrn è studiare la dieta di questa popolazione di gazze che in questo inverno è arrivata in Italia e poi anche in Grecia, Albania e Turchia. «Sappiamo che è una specie molto selettiva, mangia sempre le stesse prede, acciughe e piccoli pesci: ma analizzando il contenuto stomacale stiamo provando a capire se le gazze marine che quest’anno sono arrivate Italia si sono cibate di pesci mediamente più piccoli rispetto a quelli di cui si nutrono in Atlantico. L’ipotesi infatti è che siano arrivate fin qui probabilmente per fame».

Già perché il punto cruciale su cui ancora non ci si può sbilanciare è proprio questo: come ci sono arrivate le gazze marine in Italia e fino in Turchia? Le ipotesi sono molte. «Quelle avvistate da noi, potrebbero essere le 4.000 gazze marine che normalmente entrano in Mediterraneo e restano lungo le coste spagnole che si sono spostate più a est, verso l’interno; oppure quest’anno effettivamente potrebbero essere entrate da Gibilterra molte più gazze marine del solito» spiega Balestrieri. «I motivi potrebbero essere due: questa specie è molto sensibile ai fenomeni atmosferici estremi e potrebbe aver cercato riparo da quelli sviluppatisi in Atlantico. O ancora, potrebbero non aver trovato cibo a sufficienza in Atlantico: lo abbiamo detto, sono una specie molto selettiva sul cibo, non cambiano prede. Perciò, se le acciughe si sono spostate o si sono distribuite in modo differente in funzione della temperatura superficiale di mare e oceani o di eventi meteo estremi, le gazze marine potrebbero semplicemente aver seguito le loro prede».

Probabilmente, quindi, questa invasione di gazze marine nel Mediterraneo potrebbe essere collegata anche ai cambiamenti climatici. Del resto secondo uno studio della Columbia University, «da qui al 2100, le gazze marine perderanno l’80% degli attuali siti riproduttivi. Oggi l’IUCN le classifica come specie vulnerabile, ma è chiaro quanto il destino di questa specie sia collegato alla crisi climatica. È una specie sentinella del cambiamento climatico e della salute di mare e oceani» conclude Balestrieri. «Ed è proprio per motivi come questi che dovremmo porre più attenzione allo studio degli uccelli marini pelagici».

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