Gianni Rodari (Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980)
Gianni Rodari è sempre stato un avido lettore. All’età di 14 anni, disinteressato allo sport e alle scorribande con i compagni, minuto, schivo e particolarmente timido, si era dedicato con passione allo studio. Come ci ricorda Marcello Argilli, leggeva di tutto, “soprattutto filosofia, letteratura, storia dell’arte e delle religioni”. Nella sua formazione letteraria incontrerà molta letteratura romantica tedesca, russa e nordica. Nelle sue storie, introietterà la tradizione romantica di filosofi-artisti quali Novalis e Schiller. Apprezzerà le lezioni del futurismo di Aldo Palazzeschi e di Cesare Zavattini e condividerà con il surrealismo francese le potenzialità creative delle regole o “contraintes” formali e strutturali in letteratura, come ha argutamente ribadito Pino Boero in occasione del bel convegno Altre cento di queste favole. Incontri e riflessioni sulla figura e l'opera di Gianni Rodari a un secolo dalla nascita 1920-2020, promosso dall'Università degli studi di Catania a metà gennaio per aprire l’anno rodariano.
La sua prosa poi sarà debitrice dei mondi sotterranei, ribaltati e velocissimi, tipici della tradizione inglese legata al nonsense incarnata da Lewis Carroll e Edward Lear. In questo crocevia di intrecci letterari, tuttavia, la fiaba ha un ruolo specialissimo nella formazione del pensiero rodariano. Lo scrittore piemontese rimarrà stregato dal processo creativo di Andersen di cui ne scrive con toni davvero lusinghieri, “Andersen è lo spirito del gioco. […] La cosa che egli crea, e che non esisteva prima di lui, è la fiaba contemporanea”.
Oltre ad Andersen, comunque, Rodari si nutrirà profondamente della tradizione fiabesca popolare. L’incontro appassionato con i grandi raccoglitori di fiabe dell’Ottocento, fra cui i Grimm, Afanasjev, Pitrè, le fiabe nordiche, i miti africani e indoamericani e la tradizione fiabesca araba lascerà un segno profondo nell’elaborazione delle sue riflessioni di scrittore, giornalista e pensatore del Novecento. Le fiabe, con il loro potere di frantumare e stravolgere le consuetudini sociali e culturali, i modelli di comportamento, le gerarchie di classe e di specie, di animare oggetti e situazioni inverosimili, costituiranno una macchina propulsiva inesauribile per la creatività dello scrittore di Omegna. Vi giocherà molto. Le capovolgerà, le scomporrà, le ricostruirà, con grande godimento suo e dei suoi lettori, fino ad arrivare a mettere a punto un prontuario di tecniche di invenzione narrativa e fiabesca, La grammatica della fantasia (1973), ancora oggi molto efficace.
Non solo. Dalle fiabe Rodari trarrà molta ispirazione anche per le sue elaborazioni pedagogiche in materia di infanzia, di immaginazione e di salvaguardia dello sviluppo equilibrato e armonioso del bambino. Ed è proprio su questo aspetto che vorrei fermare la mia attenzione. Rodari considera le fiabe il più grande serbatoio di storie attraverso cui bambini e bambine possono sviluppare la loro fantasia ed educare le loro giovani mente. Per diverse ragioni. In primo luogo, la fiaba è capace di rispondere alle istanze più profonde dell’animo umano, anche quelle più fosche e inquietanti, collocandole all’interno di una cornice interpretativa accessibile ai bambini. In secondo luogo, la fiaba riesce a nutrire la fantasia e l’immaginario dei bambini, conducendoli in percorsi narrativi assai audaci e divergenti. In terzo luogo, la fiaba è in grado di spalancare al bambino le porte dell’utopia, ovvero di quel luogo fittizio fortemente rivoluzionario, che spinge l’individuo a non appiattarsi su una realtà imperfetta e ingiusta ma ad orientare il proprio pensiero verso un orizzonte di speranza e di miglioramento. Sarà lo stesso Rodari a sottolineare, a beneficio di bambini e genitori, quanto vi sia di “umanamente produttivo nella fiaba”, essa è sempre “pronta per darci una mano a immaginare il futuro che altri vorrebbero semplicemente farci subire”.
“ La fiaba è pronta per darci una mano a immaginare il futuro che altri vorrebbero semplicemente farci subire Gianni Rodari
In sintonia con le teorie pedagogiche e psicologiche più avanzate del suo tempo, Rodari intuisce il bisogno insopprimibile di fantastico e di meraviglia dell’infanzia e inventa nuove forme narrative in grado di incanalare tale bisogno. Egli recupera le strutture più profonde della narrazione fiabesca e le reinterpreta alla luce delle nuove cornici politiche, culturali, sociali, ambientali in cui si trovano a vivere i bambini e le bambine a lui coevi. In fondo, e ritengo che questo sia uno dei suoi meriti più grandi, Rodari comprende, con largo anticipo, che le fiabe, nelle loro diverse declinazioni, possono agire da potente catalizzatore e trasformatore sociale.
Questa centralità della fiaba nella sua opera letteraria e nel suo pensiero pedagogico lo spingeranno in più occasioni, a prenderne le difese sia in dibattiti pubblici che in molti suoi scritti giornalistici. Nel suo intervento Pro e contro la fiaba del 1970 apparso sul quotidiano romano “Paese Sera”, Rodari illustra il valore che egli assegna alla fiaba all’interno del progetto educativo rivolto alle giovani generazioni, quale vitale mediatrice fra la cultura degli adulti e la cultura dell’infanzia.
In questo scritto, egli presenta al lettore una delle fiabe più truci del repertorio folcloristico, la fiaba di Pollicino, fiaba che egli non esita a definire “una ricapitolazione di temi fiabeschi”. In essa, egli fa emergere il tema del minuscolo, il numero sette, il bosco, la casa nel bosco, la strega, l’orco, gli stivali magici, la morte, la partenza e il ritorno. Essa si presenta come “un deposito stratificato di più culture, un archivio in cui il tempo ha depositato le sue pratiche, evase in spazi lontanissimi tra di loro”. La storia di Pollicino è il racconto rinnovato di un rito dissacrato che si è trasformato in fiaba grazie alla tradizione orale. Esso tramanda una parte rilevante della nostra cultura. Questo è uno dei valori di Pollicino e, più in generale della fiaba.
Sempre in questo scritto, Rodari, inoltre, ricorda che la fruizione di una fiaba, è un’esperienza d’infanzia assai complessa, soprattutto se fruita intorno ai quattro/cinque anni. Anche in questo caso, gli argomenti che Rodari porta a sostegno della lettura di fiabe sin dalla tenera età sono molteplici. Innanzitutto, la lettura di una fiaba rinsalda il rapporto genitore-figlio, creando uno spazio di grande intimità e di condivisione. In secondo luogo, la fiaba predispone il piccolo lettore ad un felice incontro con la lingua materna (sente e riconosce vocaboli, strutture, meccanismi linguistici che sarebbe difficile propinargli in modo sistematico in altro modo). In terzo luogo, la fiaba sollecita nel bambino percorsi di identificazione, intendendo con questo termine la possibilità di percepirsi “come diverso dagli altri, di riconoscere nelle persone diverse destini diversi”. Infine, la presenza del magico e del meraviglioso permette al bambino e alla bambina di mettere in movimento e di confrontarsi con una facoltà indispensabile allo sviluppo morale e intellettuale dell’uomo intero: l’immaginazione. Grazie alla fiaba, il bambino (e l’adulto che gli siede accanto) impara ad immaginare e creare mondi diversi e migliori di quello in cui gli è toccato di vivere, “la fiaba parla al bambino creatore. Lo aiuta a costruirsi una mente aperta”.
A distanza di cinquant’anni, la lezione rodariana sulla fiaba appare un invito ancora molto bello e attuale da estendere a insegnanti, genitori e soprattutto ai giovani o futuri lettori.