Il Nilo scorre per quasi 7.000 chilometri e dall’alba dei tempi costituisce la risorsa essenziale per ecosistemi, popoli ed economie. Due grandi affluenti, il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro, si incontrano a Khartun, capitale del Sudan, per proseguire tutt’uno fino al Mar Mediterraneo.
Il Nilo Bianco nasce dal Lago Vittoria, e dall’Uganda risale verso il Sudan. Il Nilo Azzurro, ha origine dall'Altopiano Etiopico, presso il lago Tana. Se il Nilo Bianco ha una portata quasi costante nel tempo, lo stesso non si può dire del Nilo Azzurro. Questo infatti è caratterizzato da un regime irregolare, alla base delle piene fluviali annuali che hanno segnato la storia dell’Egitto fin dall’antichità.
La costruzione e la messa in funzionamento di una diga - la più grande dell’Africa - ha messo in discussione questi equilibri millenari e minaccia la stabilità tra i paesi che sfruttano le acque del fiume. Si tratta della Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), un impianto idroelettrico che sorge nella regione di Benishangul-Gumuz in Etiopia, sul Nilo Azzurro, a circa 15 km a est del confine con il Sudan.
La diga è stata costruita dall’impresa italiana Webuild a partire dal 2011, anno in cui operava ancora con il nome di Salini Impregilo. La centrale idroelettrica genererà 6.450 megawatt e, come suggerito dal nome, per l’Etiopia è un simbolo di rinascita e di appropriazione legittima di un bene presente sul territorio. La diga, infatti, garantirebbe una capacità di produzione di energia più che doppia rispetto a quella disponibile oggi in un paese in cui 65 dei 110 milioni di abitanti non hanno accesso alla corrente elettrica. L’opera, di conseguenza, è ritenuta fondamentale per il percorso di rinnovamento etiope.
L’Egitto vede l’intera questione in tutt’altro modo e da anni ostacola la realizzazione della diga, indicata come la causa di una futura riduzione della portata di acqua del fiume; un evento che comporterebbe una crisi economica e sociale senza precedenti. La costruzione della diga ha provocato, in sostanza, uno sconvolgimento nei rapporti di potere che regolano la gestione del Nilo e nei quali l’Egitto ha sempre avuto un ruolo preponderante.
Accordi e disaccordi
Era l’8 novembre 1959 quando a Il Cairo venne firmato l’accordo sulla spartizione delle acque del Nilo tra la Repubblica del Sudan e la Repubblica Araba Unita, un'entità statale di breve durata originata dall'unione tra Siria ed Egitto. Secondo il documento - che teneva in considerazione la costruzione della diga di Assuan, che sarebbe cominciata l’anno successivo - la portata annuale del fiume era suddivisa in 18,5 miliardi di metri cubi per il Sudan e 55,5 miliardi per l’Egitto. Nell’accordo, l’Etiopia e gli altri paesi del bacino del Nilo non venivano nemmeno nominati.
La collocazione della GERD nel bacino del Nilo rispetto a tutte le dighe. Credit: Wheeler et al. 2016
Decenni dopo, l’Egitto continua a sostenere la validità dell’accordo del ‘59 mentre altre nazioni, Etiopia per prima, lo ritengono del tutto inadeguato alle esigenze del presente e, soprattutto, del futuro. La costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam è da considerare, quindi, come un grande strappo con il passato che asseconda necessità e rivendicazioni mentre, più “a valle”, destabilizza e preoccupa. La tensione ha toccato l’apice nei mesi scorsi, quando è circolata la notizia che l’Etiopia aveva cominciato le operazioni per il riempimento della diga.
Negoziati aridi e la corsa alla pioggia
Una diga va riempita e il serbatoio della GERD impiega tra i cinque e i quindici anni per colmarsi. Le variazioni stagionali nella portata d’acqua del Nilo Azzurro obbligano a sfruttare ogni momento utile per immagazzinare metri cubi e, in particolare, i mesi in cui la portata è maggiore: luglio, agosto, settembre e ottobre. È comprensibile la fretta, da parte del governo etiope, di giungere alla piena operatività nel più breve tempo possibile: l’energia prodotta in surplus che non potrebbe essere smistata sulla rete nazionale, sarebbe venduta ad altri paesi, come il Sudan e il Gibuti. Durante un intervento alla tv statale, il ministro delle Risorse Idriche, dell'Irrigazione e dell'Energia dell'Etiopia, Sileshi Bekele, ha annunciato l’inizio del riempimento della diga. La notizia, confermata da immagini satellitari, ha provocato lo sdegno da parte egiziana, che ha reagito con dure dichiarazioni da parte governativa e con un attacco informatico rivolto ad alcuni siti istituzionali etiopi.
“ L’Egitto teme che una drastica riduzione della portata d’acqua aggravi ulteriormente la situazione di un paese che da sempre soffre le conseguenze della scarsità idrica e di una politica di gestione del fiume non sempre all’altezza.
Il governo de Il Cairo vive la messe in funzione della diga come il furto di una risorsa considerata essenziale ed esistenziale. L’Etiopia, d’altra parte, ha dato la disponibilità a rallentare il processo di riempimento del serbatoio ma non ammette intrusioni nella consacrazione di un’opera di alto valore simbolico e sociale. Il costo della diga, infatti, è stato coperto in gran parte grazie all’emissione di titoli di credito. Si tratta di una parte di un grande progetto di rinascita nazionale, sostenuto dal basso.
I negoziati procedono; con grande difficoltà. Una dichiarazione di principi sottoscritta nel 2015 da Egitto, Etiopia e Sudan è risultata del tutto ininfluente, per usare un eufemismo. Dopo i colloqui fallimentari degli scorsi mesi, il 21 luglio i tre paesi hanno raggiunto un accordo intermedio anche grazie alla mediazione dell’Unione Africana. Al termine del breve summit, l’Egitto ha alleggerito la propria posizione, impegnandosi a proseguire il confronto sulla futura gestione delle acque del Nilo. La situazione, però, rimane sempre tesa. Poco ancora si conosce delle conseguenze della più grande diga africana sulle genti che popolano le sponde del Nilo. Le sue acque sono vitali per circa 160 milioni di persone; tutte più o meno consapevoli, oggi come nell’antichità, della profonda relazione tra la sopravvivenza, lo sviluppo e le risorse messe a disposizione dalla natura.