CULTURA

Hegel, il pensatore tedesco a 250 anni dalla sua nascita

"Al nome Grecia" osserva Hegel "l'uomo colto d’Europa, e specialmente il Tedesco, si sente a casa propria". "Questo perché" spiega Franco Biasutti, già docente di filosofia dell'università di Padova e ora professore emerito "è consapevole che la scienza filosofica, l’arte, e tutto ciò che soddisfa lo spirito ci è venuto da lì". In occasione dei 250 anni della nascita del massimo esponente dell'idealismo, autore di importanti opere come la Fenomenologia dello Spirito (1807), la Scienza della logica (1812-1816), l’Enciclopedia delle scienze filosofiche (1830), cercheremo di capire l'importanza che nel suo pensiero occupa la conoscenza del mondo classico e il ruolo che esso assume all'interno della concezione storico-filosofica.

Come molti altri pensatori tedeschi della sua epoca tra cui Kant, Fichte e Schelling, Hegel riceve un'educazione basata sullo studio del mondo antico, un sapere che assimila con entusiasmo e interesse. Hegel identifica nella cultura classica - e non tanto nel cristianesimo - la base della formazione dell'Europa e il patrimonio di razionalità ereditato dal mondo moderno. "Egli propone un paragone tra il mito di Anteo e il ruolo dell'antichità classica nella cultura europea" afferma Biasutti "nel senso che tutte le volte che l’Europa ha avuto bisogno di trovare forza per elaborare una propria cultura si è rivolta al mondo classico come base fondamentale da cui trarre nutrimento, proprio come il gigante Anteo rinnovava le forze attraverso il contatto con sua madre, la Terra. Troviamo segni di questa formazione non solo nella fase della giovinezza di Hegel, ma anche negli aspetti sistematici del pensiero maturo dalla logica alla filosofia della religione".

Lo studio dell’antichità classica non produsse in Hegel alcun interesse unilaterale per lo studio libresco dell'antichità, ma raggiunse il suo vero scopo, ovvero imparare a intendere gli uomini liberi: fondatori e capi di stato, poeti e pensatori. Johann Karl Rosenkranz

Le tracce di questa eredità si sono concretizzate all'interno del pensiero hegeliano in una serie di figure che hanno acquisito una profonda rilevanza storiografica e speculativa e che hanno portato a definire una nuova categoria di individuo: quello storico-universale (welthistorisches Individuum). "Alessandro Magno e Giulio Cesare per rimanere nell’antichità, non sono soltanto generali, ma anche capi di stato e il loro ruolo assume in primo luogo una valenza politica e culturale. Alessandro Magno è colui che esporta in oriente la cultura greca, mentre Cesare diffonde quella greco-romana nel nord dell’Europa. Ed è questo il loro ruolo fondamentale in quanto personalità storico-universali". I personaggi che rientrano in tale categoria compaiono in determinate epoche della storia, ovvero quelle di crisi e di trapasso. "Alessandro rappresenta infatti la fine della polis greca e la sua conseguente dissoluzione sul piano politico; allo stesso modo Cesare simboleggia il periodo di transizione in cui la res publica romana cessa di esistere lasciando spazio all'impero. L'azione di questi personaggi ha un impatto positivo sul corso della storia perché con le loro decisioni hanno impresso un cammino specifico a quello che era la storia del mondo (Weltgeschichte), condizionandone il successivo sviluppo".

Hegel però non parla solo di individui, ma anche di popoli storico-universali: "questo significa che i welthistorischen Individuen, pensati come singoli, presuppongono un determinato ambiente che li circonda, ovvero presuppongono il popolo di cui essi stessi sono espressione. Quindi la figura di Alessandro non è concepibile al di fuori dalla grecità, così come quella Cesare dalla romanitas o quella di Napoleone dalla Francia della rivoluzione".

Tra le varie definizioni di storia che Hegel ci ha lasciato, una delle più significative è quella secondo cui la storia consiste nello sviluppo della coscienza della libertà; egli suddivide così la storia in tre periodi fondamentali: mondo orientale, mondo greco-romano e mondo cristiano-germanico. Ciascuna di queste epoche fa riferimento a una situazione storico-culturale particolare, ovvero a specifici popoli che hanno operato nella storia. Il mondo orientale, in rapporto alla definizione della storia come lo sviluppo della coscienza della libertà, è l’epoca in cui uno solo è libero (il despota); nel secondo periodo solo alcuni sono liberi, perché nel mondo greco-romano esiste la schiavitù; infine nella terza fase, la libertà appartiene a tutti visto che, in base al principio del cristianesimo, ogni uomo è libero per natura. "In realtà il mondo greco-romano si scinde in due epoche distinte: il popolo greco rappresenta non solo la giovinezza dello spirito, ma anche quel momento della storia in cui la libertà è comparsa per la prima volta nella realtà storica. La grande scoperta della Grecia antica è stata la democrazia, sul cui terreno si è potuta sviluppare la stessa filosofia: quindi per Hegel la filosofia è un prodotto della vita democratica delle libere città-stato greche. La romanitas invece, dal punto di vista speculativo non ha creato nulla di nuovo rispetto ai Greci. Tuttavia, è stata la cinghia di trasmissione attraverso cui la grecità si è trasmessa fino a noi. Dunque, ragionando in termini di fenomenologia dello spirito, l'età romana rappresenta un'epoca in cui domina l’infelicità della coscienza, perché è un mondo che vive nell’ambito della scissione tra l’individuo singolo e il destino, il suo compito universale". Nonostante questo, è presente una figura della romanità che Hegel apprezza in modo incondizionato, non solo come generale, ma soprattutto come uomo politico e anche come storico: Cesare. Se infatti Cicerone non è stato in grado di cogliere l’essenza politica del periodo storico in cui si trovava a vivere, Cesare al contrario l'ha compresa appieno: "è riuscito a capire che ormai la repubblica romana come forma di governo non era più recuperabile" afferma Biasutti.

Se dunque ai tempi di Hegel la conoscenza della cultura classica e l’utilizzo di questo patrimonio ricopriva una funzione fondamentale nell'elaborazione culturale del pensiero, oggi non si può affermare la stessa cosa. "Nelle università l’insegnamento di discipline che hanno diretto riferimento con la cultura classica sono purtroppo in contrazione" conclude Biasutti "non tanto per volontà propria o per mancanza di validi ricambi, in grado di assicurare la continuità, ma perché la tendenza culturale generale non è favorevole a una ripresa degli studi classici. La perdita del senso della classicità però, è anche una perdita notevole delle possibilità di comprensione che possiamo avere della nostra realtà storica e della nostra stessa cultura. L'eredità del sapere antico, infatti, ci permette di acquisire categorie per leggere il nostro tempo e soprattutto per capire dove la nostra cultura è insufficiente a cogliere i reali, effettivi problemi".

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012