SCIENZA E RICERCA

Indonesia: quando la politica mette il bavaglio alla scienza

Collaborazioni decennali bruscamente interrotte e piani di conservazione saltati. Ricercatori espulsi dal paese e divieti di pubblicazione dei dati. Così l’Indonesia censura il lavoro dei biologi della conservazione nel paese e mette a rischio la sopravvivenza di alcune delle specie più minacciate al mondo di estinzione. A denunciare le pressioni e le ingerenze del governo indonesiano negli ultimi anni, con una lettera aperta sulle pagine di Current Biology, è un gruppo internazionale di ricercatori che per primo ha subito il “bavaglio” governativo. E che dopo anni di denunce, avanza anche qualche proposta di risoluzione.

Per capire il contesto, l’Indonesia è un paese ricchissimo di biodiversità, sede della più grande foresta pluviale tropicale del sud-est asiatico, che cresce su oltre 17.000 isole. Ma incendi, bracconaggio e deforestazione sono una vera piaga: per esempio l’isola di Sumatra - patria di 5 tra i mammiferi più minacciati al mondo (l’orango di Tapanuli e quello di Sumatra, la tigre di Sumatra, il rinoceronte di Sumatra e l’elefante di Sumatra) - dagli anni Novanta ad oggi ha perso più dell’80% delle sue foreste per far spazio alle piantagioni di palma da olio.

Tra elefanti avvelenati e oranghi morti negli incendi, nel paese i conflitti tra uomo e fauna selvatica sono all’ordine del giorno. Qui la conservazione della natura si fa ancora in trincea, eppure «nel settembre 2022, a cinque biologi, tre dei quali hanno lavorato in Indonesia per decenni, è stato impedito di condurre ulteriori ricerche o progetti di conservazione nel paese. Il Ministero dell’Ambiente e delle Foreste indonesiano li ha accusati di operare con “intenzioni negative” per “screditare” il governo» si legge nella lettera “In Indonesia e non solo, la conservazione della natura ha bisogno di una scienza indipendente”.

Gli attriti tra i biologi della conservazione - stranieri e non - e le politiche del ministro dell’Ambiente Siti Nurbaya, però, vanno avanti già da qualche anno. Che si tratti dell’estensione degli incendi o dello status di conservazione delle numerose specie indonesiane a rischio di estinzione, di fatto la dinamica è sempre la stessa: i ricercatori presentano dati che indicano una situazione ambientale ben peggiore del quadro tratteggiato dal governo, che tenta di camuffare i dati e/o arriva a bloccare progetti di tutela e di ricerca.

È quanto accaduto praticamente a tutti gli autori della lettera, a cominciare dall’indonesiano Wulan Pusparini, biologo all’Università di Oxford che studia l’elefante di Sumatra, uno dei mammiferi più minacciati al mondo. Nel 2018, tramite analisi genetiche, Pusparini è riuscito a dimostrare che tra il 2001 e il 2015 la popolazione di elefanti che vive in un parco nazionale nel sud di Sumatra è diminuita del 75%. Ma quei dati «sono rimasti bloccati a Jakarta. Il Ministero non mi ha permesso di pubblicarli» afferma Pusparini. E anche il piano di tutela degli ultimi elefanti rimasti, prodotto nel 2020 dal Sumatran Elephant Conservation Forum, è stato ritirato perché conteneva «una dichiarazione controproducente contro il governo».

È andata ancora peggio all’ecologo francese David Gaveau, ricercatore associato del Centro per la ricerca forestale internazionale (CIFOR) di Bogor a Giava, che dopo 15 anni in Indonesia è stato espulso dal paese, come dichiarato sulle pagine di Science nel febbraio 2020. La colpa - pare - è stata quella di aver pubblicato stime sull’estensione degli incendi sostanzialmente molto maggiori di quelle riportate dal governo indonesiano: per David Gaveau, tra gennaio e ottobre 2019 sarebbero bruciati circa 1,6 milioni di ettari di foreste e torbiere in sette province indonesiane, stando alle immagini prodotte dal satellite Sentinel-2 dell’Agenzia spaziale europea. Per il Ministero dell’Ambiente e delle Foreste indonesiano (KLHK), invece, gli ettari andati in fumo tra gennaio e novembre 2019 sarebbero solo 1,2 milioni. Così come, sempre secondo il Ministero, i rinoceronti di Sumatra adulti rimasti in libertà sarebbero tra i 67 e i 75, mentre per l’IUCN - Unione internazionale per la conservazione della natura si parla di appena 30 individui.

Nonostante negli ultimi anni l’Indonesia abbia ridotto sensibilmente il tasso di deforestazione e di incendi, gli esempi di ingerenza da parte del governo, raccontati più volte su Science e non solo, sono moltissimi e toccano anche grandi organizzazioni come il WWF, Greenpeace, Amnesty. Come denunciano gli autori della lettera, «quello che sta accadendo in Indonesia è più grave di quanto si dica»: per il timore di possibili ripercussioni sui finanziamenti ottenuti capita che ai ricercatori indonesiani venga chiesto di rinunciare a inserire il proprio nome tra gli autori delle pubblicazioni. Oppure sono gli stessi ricercatori indonesiani a tirarsene fuori o a chiedere ai colleghi stranieri di non pubblicare tutti i dettagli delle ricerche condotte. Inoltre stime molto discordanti sulle popolazioni delle specie a rischio, sugli ettari bruciati e sull’impatto della deforestazione - e quindi le incertezze sulle reali emissioni di CO2 - potrebbero incrinare la collaborazione con il programma REDD+ delle Nazioni Unite per la riduzione delle emissioni da deforestazione; e potrebbero avere ripercussioni sulla sfera economica e commerciale del paese, che esporta in Europa prodotti certificati “deforestation-free”.

C’è da dire che l’Indonesia non è certo l’unico paese in cui il governo prova a “imbavagliare” – come scrivono su Current Biology – la ricerca: accade anche in Brasile e in Australia, dicono. E gruppi come l’Indonesian Caucus for Academic Freedom e la Jakarta Legal Aid Foundation si stanno organizzando per contrastare gli sforzi per mettere a tacere i ricercatori e sostenere la ricerca ambientale indipendente e gli sforzi di conservazione in Indonesia.

Tra gli accorgimenti, gli autori della lettera suggeriscono agli enti finanziatori di richiedere la trasparenza dei dati per i progetti che sostengono; suggeriscono ai ricercatori che temono ripercussioni di utilizzare siti web progettati per proteggere l’anonimato, per la condivisione dei dati, e di pubblicare su riviste scientifiche che garantiscano l’anonimato. Ma soprattutto, chiedono alle autorità indonesiane di «riporre fiducia nella scienza sottoposta a revisione paritaria. In un’era di notizie false, accogliamo con favore un dibattito costruttivo su dati aperti e trasparenti».

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012