SCIENZA E RICERCA

Da Interstellar agli albori della Galassia

Big Bang, oltre tredici miliardi di anni fa.

Le immense nubi di gas che permeano l’Universo primordiale fanno accendere le prime stelle dando origine a primitivi agglomerati stellari: nascono le concentrazioni sferiche composte da centinaia di migliaia di stelle, dette ammassi globulari – globular clusters –, sopravvissute fino ai giorni nostri. Sebbene la loro origine sia ancora ignota, è ormai assodato che le stelle appartenenti agli ammassi globulari siano nate appena poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang.

Ma è possibile conoscere la composizione chimica delle nubi primordiali?

Se lo è chiesto un gruppo di astronome e astronomi di Italia, Australia e Stati Uniti: i risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society nell’articolo dal titolo Constraining the original composition of the gas forming first-generation stars in globular clusters e portano la firma di Maria Vittoria Legnardi, una giovane dottoranda del dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova che a soli 24 anni ha rivestito il ruolo di leader del team internazionale. L’abbiamo intervistata per chiederle come ha vissuto questa prima esperienza da team leader di un gruppo di ricerca su un progetto così importante.

Come ti è venuta l’idea di questa ricerca? Da cosa sei partita?

Si tratta del progetto della mia tesi magistrale: mi sono laureata a luglio dell’anno scorso e quindi ho cominciato a lavorarci all’inizio del 2021. Il progetto consiste nel far luce sulle nubi di formazione degli ammassi stellari globulari, ossia questi oggetti composti da milioni di stelle che risalgono a miliardi di anni fa e che sono alcuni degli oggetti più antichi della nostra galassia. Nella nostra ricerca abbiamo rilevato delle variazioni nel contenuto di metalli che caratterizza le stelle di prima generazione: poiché la composizione chimica di queste stelle riflette direttamente la chimica delle nubi da cui si sono formate, questo implica che anche le nubi fossero chimicamente disomogenee, contrariamente a quello che ci si aspettasse. Grazie alle straordinarie immagini ottenute dal telescopio spaziale Hubble abbiamo ricostruito le cosiddette mappe cromosomiche di circa il 25% degli ammassi globulari conosciuti: si tratta di mappe in cui i colori delle stelle vengono combinati tra loro in modo tale da creare dei super-colori indicativi del contenuto di alcuni elementi chimici. Sebbene sia pressoché impossibile ottenere informazioni dirette sulla composizione chimica delle nubi primordiali, in questa ricerca abbiamo sviluppato una tecnica innovativa basata sulle stelle di prima generazione per poter far luce sugli ambienti di formazione degli ammassi. Essendosi formate direttamente dal gas primordiale, infatti, queste stelle conservano memoria della composizione chimica delle nubi primordiali da cui si sono formati gli ammassi globulari agli albori dell’Universo. Le immagini di Hubble sono state fondamentali poiché hanno una risoluzione migliore e sono molto nitide: grazie ad esse abbiamo potuto studiare in dettaglio le regioni centrali degli ammassi, dove la densità di stelle è estremamente elevata. In sintesi, lo scopo del progetto era quello di far luce sulla composizione chimica di queste nubi e sugli eventi che riguardano l’universo primordiale pochi milioni di anni dopo il Big Bang.

Vista la tua giovane età, ci sono stati problemi di “autorevolezza” con i tuoi colleghi del gruppo di ricerca? Hai incontrato delle difficoltà lungo il percorso?

Assolutamente no, ho trovato un gruppo di ricerca estremamente disponibile e aperto. Il clima che si respira tra di noi non è il solito clima universitario “rigido” che vede studenti e docenti su due piani diversi. È un ambiente più familiare, ci possiamo dire tutto e ora che ho cominciato a lavorare con loro a tempo pieno devo dire che mi sto trovando benissimo. Un luogo disteso e collaborativo aiuta a lavorare meglio: per essere il mio primo lavoro “serio” di ricerca direi che è filato tutto liscio e anzi, è stato molto stimolante poter cominciare la mia carriera con un argomento del genere.

E per quanto riguarda i tuoi colleghi australiani e statunitensi? Hai notato differenze?

Il team internazionale è subentrato nella seconda parte della ricerca, abbiamo chiesto aiuto a loro per la parte di scrittura dell’articolo e per consigli ulteriori sul nostro progetto. Ho trovato sempre molta disponibilità per qualsiasi cosa, anche da parte di personalità importanti dell’astrofisica. Questo mi ha sorpreso molto, anche perché io sono alle prime armi e quindi pensavo di non trovare così tanto interesse verso un lavoro nuovo: per me è stato davvero molto stimolante, come prima esperienza di ricerca non potevo chiedere di meglio.

Riguardo al tuo percorso di studi la domanda sorge spontanea: com’è nata questa passione per l’astrofisica? La coltivi da quando sei piccola o è più recente?

In realtà è nata abbastanza recentemente, verso gli ultimi anni delle superiori, nello specifico quando ho guardato il film Interstellar al cinema: mi sono resa conto di volerci capire di più e quindi dopo il liceo scientifico mi sono iscritta alla laurea triennale in Astronomia qui a Padova.

I primi mesi di università sono stati piuttosto duri per me: ho sentito molto il passaggio dalle superiori e dopo il primo mese di lezioni mi sono addirittura informata per cambiare corso di studi! Per fortuna le persone a me vicine, in particolare i miei genitori, mi hanno supportato e spronato a non mollare e ammetto – almeno per quanto riguarda la mia esperienza –, che il percorso è stato “in discesa”: il primo anno è stato molto complesso perché di astronomia non si fa quasi nulla, si studiano prevalentemente fisica e matematica.

Alla fine comunque è andata bene e dopo la triennale mi sono iscritta alla laurea magistrale in Astrophysics and Cosmology, sempre qui a Padova, proprio nell’anno in cui è nato questo corso di studi: c’era una grande partecipazione straniera e quindi il clima internazionale che si respirava è sempre stato molto stimolante, sebbene abbia frequentato metà del mio percorso online a causa della pandemia.

Cosa consiglieresti a una ragazza o a un ragazzo che, come te, si trova in difficoltà durante il percorso di studi?

Circondarsi di persone che ti supportino è sicuramente importante: uscire dal liceo e affrontare un mondo totalmente nuovo, senza conoscere nessuno, spaventa molto. Sembra forse un po’ banale, ma bisogna tener duro: se si supera lo “shock” del passaggio tra le superiori e l’università si è già sulla buona strada e, soprattutto, anche davanti a difficoltà importanti non è detto che non si possa completare gli studi brillantemente.

A che punto è il mondo dell’astrofisica con la parità di genere?

C’è ancora una forte prevalenza di uomini, soprattutto tra il personale docente. A livello di studenti, invece, penso che la situazione stia cambiando e si stia andando verso una maggior parità di presenze di uomini e donne. Speriamo che questo trend continui.

Cosa farai adesso?

In realtà non mi sono mai fermata: appena pubblicata questa ricerca io e il mio gruppo ne abbiamo iniziata subito un’altra. Mi piacerebbe continuare su questa strada e pubblicare altri studi importanti perché la ricerca mi piace molto.

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