L'isola di Lipari
Isole italiane (e luoghi isolati). 1926-1943 (soprattutto). Il confino non è stato inventato dal regime fascista; ha una storia più lunga e non solo italiana; per quanto riguarda il nostro paese inizia con la legge Pica del 1863 sul domicilio coatto, una misura di deportazione preventiva che poteva essere proposta dalle autorità di polizia e imposta anche senza la necessità di un processo regolare e di una condanna per un reato effettivamente previsto e commesso. La distinzione (chiave nel periodo fascista) è tra sanzione politica e sanzione comune. Il confino politico è la situazione di relegamento coatto di un oppositore politico, sinonimo di messa al bando dalla società civile e di reclusione di fatto in remote località della nazione, dove vi erano poche vie di comunicazione (e fuga). Poteva colpire le intenzioni: si basava su sospetti, non su fatti. Vi finirono in maniera sistematica e capillare sia antifascisti che fascisti dissidenti, forzatamente bloccati su poca terra in mezzo al mare o in minuscoli borghi montani spopolati e poveri, così da separarli fisicamente e moralmente dal resto del mondo e dai propri cari. Si cominciò con i deputati destituiti. Aveva una durata massima di 5 anni, rinnovabili. Nel territorio italiano, per periodi diversi, tra il 1926 ed il 1943, funzionarono centinaia di colonie di confino, un numero incerto anche perché vi furono confinamenti di singoli o pochi che non sono stati trattati da memorialistica o storiografia locale. In tutto, fra il 1929 e il 1943, dopo lunghi duri percorsi in catene, i confinati politici sono stati oltre 12.000, per la maggior parte ma non solo uomini (fra le confinate vi fu Camilla Ravera, fra le mogli che seguirono i confinati Ursula Hirschmann Colorni e Natalia Ginzburg). Un punto di svolta furono le leggi razziali del 1938 (anche per zingari e omosessuali), poi l’entrata in guerra, quando il confino fu spesso affiancato o sostituito da campi di concentramento (Esercito) o di internamento (Interno), destinandovi pure ebrei stranieri, civili di altri paesi in guerra, militari prigionieri. Infine pervicacemente continuò Salò.
Il chiaro agile volume di Anna Foa Andare per i luoghi di confino (Il Mulino, 2018) si concentra particolarmente sul confinamento proprio sulle isole, con osservazioni acute e in parte generalizzabili oltre il contesto storico carcerario del fascismo e l’identità peninsulare italiana costellata di isole. L’incipit è una costatazione cruciale: oggi le nostre isole sono divenute tutte “luoghi rinomati di villeggiatura e turismo”. Si tratta di una trasformazione in corso che riguarda l’intero Mediterraneo, altri mari e oceani, da isole carcere a mete di lusso e aree protette. C’è una pluralità di ragioni per cui ciò accade: moltissime isole sono ormai accessibili via aereo e/o elicottero, c’è una diffusione antropica capillare in quasi ogni ecosistema e sempre meno ecosistemi quasi incontaminati da altre impattanti attività umane, la libertà di viaggiare è presa in considerazione e praticata da strati sempre più ampi della popolazione mondiale. Foa aggiunge però giustamente che la scelta rispondeva per Mussolini anche a una funzione di propaganda, diceva pomposamente e furbescamente di mandare gli oppositori in villeggiatura, al mare, a prendere i bagni (un po’ come oggi qualcuno parla dei tragici disperati transiti nel Mediterraneo, dopo precedenti viaggi di pena sfruttamento morte, come di “crociere”).
Foa motiva la scelta detentiva proprio sulle isole perché in continente considerate perlopiù “terre senza calore e senza sorriso”, con maggiori garanzie di sicurezza. Le prime furono quelle nella lontana meridionale Sicilia: Favignana, Pantelleria, Ustica e Lampedusa, già sedi di colonie di coatti. All’inizio del 1927 la principale divenne Lipari, “fin dall’età romana… Anche un luogo di relegazione e di esilio”. È un punto importante (citato anche per altri casi successivi) che prima o poi sarà approfondito. Il doppio “isolamento insulare” di individui umani da parte di comunità di individui risale molto indietro nel tempo; si «deporta» nelle isole perché lì la deportazione è più sicura e penosa e da lì è più difficile fuggire indietro. L’isolamento insulare è possibile da quando si naviga; da allora le isole sono «a disposizione» per de-portarvi qualcuno. Per millenni e secoli le navi sono state mosse anche da schiavi e lavori forzati, esse stesse artificiali (galleggianti) isole-carcere. La scelta di isolare individui nelle isole (per ragioni «sociali», talora in parte anche sanitarie e psichiche) riguarda comunità di tutti gli ecosistemi marini antropizzati in tutti gli oceani e i mari. Nel Mediterraneo, per certi versi fin dall’antica Grecia si mandavano lontano (e lì sono tutte isole!) i reietti dalla comunità, fu definito “ostracismo”; poi i romani inventarono i due diversi istituti della “deportatio in insulam” e della “relegatio in insulam”: quando il carcere di epoca moderna non era stato concepito e la pena era solo vendicativa e corporale, si collocavano su isole coloro che avevano “ferito” individui o istituzioni della classe dirigente romana. Le isole sono state sempre meta di migrazione forzata interna alla (complicata) convivenza umana; la storia conosce ovunque moltissime isole dove sono stati deportati individui (non solo nella finzione cinematografica), isole più o meno grandi e lontane (anche minuscole e sperse), più o meno abitate e costruite (anche quasi deserte e senza penitenziari); c’è una storia e geografia delle isole-carcere (questione anche di toponomastica); di deportazioni, morti e fughe; di detenuti, guardie, residenti; in isole di ogni continente sono stati isolate «famose» personalità storicamente rilevanti considerate molto pericolose per il potere costituito.
Foa dedica un capitolo alle evasioni celebri proprio dalle isole: la “fuga dal confino […] era difficile ma non impossibile. Non furono pochi quelli che la tentarono, ma pochissimi quelli che riuscirono a realizzarla”. Il 29 luglio 1929 Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti raggiunsero a nuoto il motoscafo yacht che li aspettava per l’avventuroso trasferimento da Lipari sulle coste della Tunisia (per poi raggiungere Parigi). Il rischio era essere ricatturati e passare dal confino al carcere. In alternativa furono spesso sperimentate varie forme di resistenza collettiva alle imposizioni e alle restrizioni, forme adattate ai peculiari ecosistemi naturali e sociali delle isole.
Foa illustra la particolare asprezza del regime dei confinati proprio sulle isole: la totale incertezza nell’arrivo e nella partenza di esseri e oggetti, la censura su libri e corrispondenza, l’obbligo di presentarsi all’appello più volte al giorno, l’accentuata arbitrarietà nella gestione di orari sociali e spazi comuni, l’evidente maggiore difficoltà di autonomia e fuga. E, nel contempo, sottolinea come la lontananza e le privazioni inducevano i confinati a sentirsi peggio fisicamente e “meglio con se stessi”, a capire di “essersi spesi totalmente per ciò in cui credono”, un effetto inatteso dal regime: incontrare altri sodali, pensare il nuovo (sconosciuto prima) e trasmettere pensieri nuovi. Anche questo meriterebbe approfondimento perché è una conseguenza dell’isolamento per tutte le specie e gli individui di ogni specie, ognuna a sua modo, ognuno a suo modo. Le isole hanno svolto e svolgono specifiche funzioni rispetto alla selezione naturale e all’evoluzione della biodiversità, soprattutto per le specie che non nuotano e non volano in e da quegli ecosistemi. L’«isolamento» va calibrato con la biodiversità, con mezzi o capacità di mobilità e con le distanze; l'isolamento fisico, la mobilità sul territorio, le speciazioni e le migrazioni sono stati fattori chiave dell'evoluzione. Non a caso il titolo del capitolo introduttivo è “una cella senza muri, tutta cielo e mare”, parole scritte da Carlo Rosselli a Lipari. E il volume si conclude così: “il confino e l’internamento favorivano la conoscenza del mondo dell’altro. Il regime fascista non avrebbe mai potuto immaginare che dalla relegazione di Carlo Levi sarebbe nato Cristo si è fermato a Eboli, famoso in tutto il mondo. Questo non rende migliore in confino, né giustifica il fatto che l’Italia fascista si sia, con l’entrata in guerra, riempita di campi di ogni genere dove furono rinchiusi uomini, donne, vecchi, bambini. Ma non può non interrogarci sull’eterogenesi dei fini e sulla forza travolgente del pensiero umano”.
La storica Anna Foa (Torino, 1944), a lungo docente di Storia moderna alla Sapienza di Roma (in pensione dal 2010), figlia di Vittorio Foa (1910-2008) e Lisa Giua (1923-2005), dopo essersi occupata di storia della cultura nella prima età moderna, di storia della mentalità, di storia degli ebrei, sta dedicando interesse e pubblicazioni a momenti (anche familiari) della vita italiana del Novecento. Qui racconta i luoghi del confino durante il fascismo e, attraverso loro, l’esordio detentivo di molte figure che hanno poi fatto la storia politica o intellettuale dell’Italia repubblicana, da Altiero Spinelli a Ernesto Rossi, da Leone Ginzburg a Eugenio Colorni, da Carlo Levi a Sandro Pertini, da Cesare Pavese a Lina Merlin, da Adele Bei a Cesira Fiori, da Emilio Lussu a Giuseppe Bifolchi, da Antonio Gramsci ai fratelli Rosselli. Sceglie una narrazione fluida e sintetica, un affresco di ambienti, soprattutto isole (a partire dal disegno di copertina, un cumulo di sassi deserti in mezzo al mare). I brevi capitoli prendono in esame antifascisti ed ebrei, donne e tipologie considerate marginali e pericolose (zingari, omosessuali, Testimoni di Geova), luoghi o episodi particolari, passaggi storici anche in connessione con il confino di stranieri delle colonie o dei paesi in conflitto. Non c’è intento accademico o biografico, non servono note meticolose e la breve bibliografia riguarda quanto hanno scritto alcuni dei più famosi (con l’efficace corredo di qualche bella foto), non la storia del fenomeno e l’intera vita di ciascuno. Ovviamente non ci sono i nomi di tutti i confinati e, forse, nemmeno quello di tutte le isole (Pianosa?), ma che importa? “Andare per i luoghi di confino” è una guida e uno spunto per l’oggi, accurato nei dati e nei giudizi, non per lo studio scientifico ma per la cittadinanza attiva. Andiamoci ora, sembra dirci, in quelle località, spesso meravigliose (se liberi) e ricordiamo meglio un pezzo turpe della nostra storia (illiberale), la volontà assassina e prepotente del fascismo di esiliare e soffocare ogni dissenso, di elevare l’arbitrio a regola, di distruggere identità personali e pensieri morali, di separare corpi ed ecosistemi per estirpare le radici di idee diverse. Portiamocelo in vacanza questo libro e, magari, andiamo a cercare l’edificio e la targa, le rovine e il panorama che ricordano alcuni di quei sequestri di persona.