SOCIETÀ

Italia, disastri umani: il dramma del Mottarone a mente fredda

È ormai trascorso molto più di un anno dalla tragedia della funivia del Mottarone, l’incidente in Piemonte all’impianto di risalita che da Stresa, sulle rive del Lago Maggiore, conduce quasi alla vetta del Mottarone, montagna granitica delle Alpi Pennine, 1.492 metri sul livello del mare. Erano circa le 12.30 del 23 maggio 2021 quando la fune che trainava la cabina e i passeggeri del veicolo numero 3, si spezzò a pochi metri dall’arrivo nella stazione di monte, lasciandoli scivolare indietro a folle velocità per centinaia di metri fino a sbattere contro il primo pilone e poi a precipitare rovinosamente lungo il pendio. Vi morirono 14 persone: una famiglia di origine israeliana (composta da padre e madre, il loro figlio e due dei bisnonni) e nove cittadini italiani.

Come noto, sopravvisse soltanto Eitan Biran (bimbo allora di cinque anni), figlio maggiore della giovane coppia israeliana che viveva da anni a Pavia. Salvato dal padre, che col suo corpo di fatto lo protesse nella caduta, il piccolo Eitan è poi stato al centro di un contenzioso internazionale, “rapito” dal nonno materno il settembre successivo e portato segretamente in Israele, finché il giudice israeliano ha stabilito l’affido presso i nonni che vivono in Italia, consentendogli di tornare definitivamente a Pavia dallo scorso dicembre, nella città dove viveva e studiava, pur ora senza i genitori. Si può tornare a riflettere a mente fredda su alcune questioni connesse alla tragedia e ai vari tipi di incidenti.

Fu subito chiaro, già poche ore dopo, che la causa dello schianto dovesse ricollegarsi alla rottura del cavo trainante, spezzatosi di netto. Venne aperta un'inchiesta dalla procura di Verbania per accertare le responsabilità, ipotizzando omicidio colposo plurimo e lesioni colpose a causa dei “forchettoni” volutamente inseriti per bloccare il freno sulla cabina; la prima udienza del processo si è svolta il 14 luglio 2022; il 17 settembre scorso il collegio di esperti, nominato dal tribunale, ha depositato la perizia tecnica da cui emergono chiarimenti e conferme. La fune traente dell’impianto si è spezzata "a causa del degrado della fune stessa verificatosi in corrispondenza dell'innesto della fune nella testa fusa, punto più delicato della fune… La fune era appena in grado di portare uno sforzo di trazione pari a circa 10 tonnellate, corrispondenti al 20-25% del tiro nominale della fune integra… La causa della precipitazione della cabina n. 3 della funivia è stata la presenza di esclusori del sistema frenante di emergenza inseriti dal personale di servizio della funivia".

Con “esclusori” ci si riferisce, appunto, ai cosiddetti forchettoni: inserirli per disattivare i freni "è assolutamente in contrasto con le normative in quanto i freni di emergenza hanno la funzione di impedire che, a seguito della rottura della fune traente (evento contemplato dalla norma, in quanto possibile), ne consegua la precipitazione del veicolo… E infatti il veicolo 4 non è precipitato, nonostante la fune traente si sia rotta". Eppure, come si è visto guardando i filmati dell'impianto di videosorveglianza, quel 23 maggio 2021 erano disinseriti, una scelta datata almeno due settimane prima, senza che un evento così grave fosse annotato sul "registro giornale". Non un eccesso di peso o di sforzo, pertanto, piuttosto degrado e terribile sottovalutazione. Una seconda perizia di tipo informatico mostra come tra l'8 e il 23 maggio la cabina numero 3 aveva effettuato tutte le 329 corse registrate dall'impianto di videosorveglianza con i forchettoni inseriti (attivati anche nella cabina numero 4 per 223 volte); prima dell'8 maggio il sistema di videosorveglianza non ha dati in memoria.

Un atteggiamento superficiale verso i controlli di sicurezza e una consapevole resistenza alle procedure per la prevenzione dei rischi sono all’origine di molti incidenti, anche sul lavoro. Non c’entra il caso, non c’entra il fato, o meglio un qualche elemento casuale riguarda solo l’identità delle persone purtroppo coinvolte in quello specifico frangente. All’origine dei “disastri” vi sono spesso errori e colpe umane, nel caso del Mottarone spetterà al processo individuarle, differenziarle, quantificarle, in relazione alla evidente violazione delle norme che riguardano un esercizio “pubblico”, alle dimostrate carenze di manutenzione o di controllo, alle pericolose scelte di gestione tecnica e amministrativa. Ovviamente un conto è il corso della giustizia, le pene e i risarcimenti, un conto sono il ricordo commosso di tutte le vittime, la ferita aperta del dolore dei loro affetti vivi, le conseguenze da trarne sul piano culturale.

La tragedia della funivia non è in senso stretto né un incidente “domestico” (anche se riguarda quanto accade in strutture gestite privatamente) né un incidente “sul lavoro”, potrebbe essere assimilato ad altri “incidenti” nella infrastrutturazione di una comunità o dell’intero paese, nella predisposizione delle strutture della vita sociale e collettiva, dalle dighe ai cinema, dagli edifici pubblici alle ferrovie, e, sotto questo punto di vista, sia le cause che gli effetti sono analoghi a quelli più diffusi fra gli incidenti sul lavoro: chi “comanda” può tendere a risparmiare sulle spese utili a chi lavora alle sue dipendenze o a chi usufruisce dei propri servizi. Per certi versi si tratta di una tendenza drammaticamente scontata, per questo servono le norme generali e astratte della regolamentazione pubblica, per questo servono campagne di informazione e prevenzione, per questo serve affermare il diritto alla sicurezza sociale.

Di “infortunio” si parla per qualsiasi accadimento che abbia avuto conseguenze fisiche o psichiche su un individuo umano, di “incidente” per un evento negativo verificatosi durante lo svolgimento del lavoro che non necessariamente comporta un infortunio e che non necessariamente coinvolge solo i lavoratori; di “mancato infortunio” per un evento che avrebbe potuto causare un danno ma che, solo per puro caso, non ha avuto conseguenze; di “disastro” infine (anche nella terminologia internazionale) quando si supera un certo numero di morti. La tragedia del Mottarone è stato un disastro e l’incidente che lo ha provocato è avvenuto durante le ore di lavoro di un esercizio pubblico, coinvolgendo i cittadini che ne usufruivano. Non chiama in causa l’INAIL ma resta un incidente sul lavoro in senso lato, entrerà in statistiche diverse, all’interno di tristi differenti tipologie.

Nel suo discorso introduttivo dopo essere stata eletta alla guida della Corte Costituzionale, l’autorevole giuslavorista Silvana Sciarra (Trani, 1948) il 20 settembre scorso ha spiegato: "L'Italia ha un corpo di norme sulla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro molto avanzato, che è studiato come modello. Saremmo idealmente in un contesto avanzato, ma questo non ci può consolare. Ci sono errori, omissioni, a monte di questi eventi drammatici, c'è bisogno di insistere utilizzando leggi che sono già molto avanzate. C'è una scarsa attenzione nell' attuarle nel modo migliore… Sono talmente affezionata allo Statuto dei lavori che non posso immaginare che invecchi, ma in realtà invecchia. Ha già subito numerose modifiche perché i tempi cambiano, è una legge di rilevanza costituzionale ed è stata una grande svolta per il nostro Paese…”. Ne consegue l’obiettivo non tanto di cambiare tante leggi quanto soprattutto di renderne efficace l’attuazione con atti pubblici e comportamenti privati.

Pochi giorni fa, il 9 ottobre 2022, è stata “celebrata” la settantaduesima Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro. Sono 677 gli incidenti mortali sul lavoro denunciati in Italia nei primi 8 mesi dell’anno, con una media di quasi tre vittime al giorno, rispetto allo stesso periodo gennaio-agosto del 2021, quando le vittime furono 772 (pur se la lettura differenziata degli effetti mortali della pandemia potrebbe rendere meno distanti i dati). Ogni giorno il triste bilancio si aggiorna con nuove vittime e nuove sofferenze. Complessivamente gli infortuni denunciati in Italia nel periodo gennaio-agosto sono 484.561 (+38,7%) rispetto ai 349.449 dei primi otto mesi del 2021. Le malattie professionali denunciate sono state 39.367 (+7,9%) nei primi 8 mesi del 2022 rispetto ai 36.496 dello stesso periodo del 2021 (per il passato qui).

Ci sarebbe bisogno di maggiori spese delle aziende nell’addestramento e nella formazione di tutti i lavoratori e degli stessi datori di lavoro, di un finanziamento statale o regionale condizionato agli investimenti nella salute e nella sicurezza, di una lotta efficace al caporalato e allo sfruttamento (soprattutto in agricoltura e in edilizia), di una più celere repressione amministrativa (e giudiziaria), di un sistema di vigilanza capace di coinvolgere ogni profilo professionale, con la dovuta particolare attenzione agli impianti a più alto rischio, alle malattie professionali e alle pratiche di scuola lavoro con studenti. Ora, dal 17 ottobre partirà una settimana di mobilitazione unitaria per “fermare la strage quotidiana sul lavoro”, che si concluderà sabato 22 ottobre con la manifestazione di Cgil Cisl e Uil in piazza Santi Apostoli a Roma. Bene: per ridurre e prevenire gli incidenti sul lavoro non è utile muoversi come se fosse un’emergenza contingente successiva a un singolo terribile episodio. Vi sono riflessioni e interventi di sistema da valutare prima e meglio rispetto ai lutti e ai clamori degli episodi.

I dati degli ultimi dieci anni segnalano un progressivo lento calo. Guardando ancora più indietro, a tutti i decenni scorsi e all’intero periodo del dopoguerra, si vede abbastanza bene che le riforme normative degli anni Sessanta e Settanta hanno avuto qualche effetto positivo, pur non immediato (come quasi sempre, nel caso di leggi di principi e indirizzi); da quasi cinquant’anni a questa parte non si vede più la curva crescente delle denunce per infortunio sul lavoro evidenti durante l’accelerato caotico sviluppo economico ed edilizio degli anni Cinquanta; il calo è iniziato anche prima per le vere e proprie “morti bianche” sul lavoro. Ovviamente, i dati statistici vanno sempre presi con cautela e criticità; anche oggi si ritiene che siano in parte sottostimati. Osservatori indipendenti hanno spesso segnalato che le denunce coprono solo dinamiche regolari e comportamenti coerenti, come spesso possano sfuggire incidenti e morti fra i lavoratori in nero, quanto in alcune realtà pesi l’esistenza di una porzione di infortuni letali non accertati dall’INAIL

Dopo l’inizio del 2020 molto ha certo pesato la dinamica della pandemia da Covid-19, il ricorso frequente a minori lavori all’aperto, spostamenti, autotrasporti e a maggiori chiusure, stanzialità, smart working. Quando nel 2019 si fece il punto sul secondo decennio del millennio si erano contati circa 17 mila morti complessivi nei dieci anni, comunque molto più di 1000 l’anno, anch’essi probabilmente in parte conseguenza della maggiore precarietà, instabilità e flessibilità delle normative sopraggiunte e delle nuove condizioni contrattuali di lavoro. Non vi è un rapporto immediato e automatico fra il comma di una legge, di un decreto o di un contratto e la data, la località, l’ampiezza dell’incidente. Per i parenti e gli amici si tratta di un lutto e di un’emergenza; per la società si tratta di un meccanismo produttivo che non si è imposto sicuro, di qualcosa che non si è prevenuto bene. Qui torna la similitudine con la tragedia “umana” del Mottarone e con gli incidenti analoghi subiti da cittadini e lavoratori per singoli specifici comportamenti individuali scorretti.

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