SOCIETÀ

Italiani popolo di 'signori': per quanto ancora?

Una società che consuma più di quanto produce, dove anzi il consumo ha preso il posto del lavoro come valore. È il ritratto impietoso, a tratti inquietante, che esce dalla lettura de La società signorile di massa (La nave di Teseo 2019), l’ultimo volume di Luca Ricolfi, ospitato il 14 gennaio dal Dipartimento di Scienze statistiche. Un libro che, uscito alla fine del 2019, nelle ultime settimane sta catalizzando il dibattito non solo nel mondo culturale e accademico.

Secondo il sociologo torinese, intervistato da Il Bo Live, si può parlare di società signorile di massa quando ricorrono tre condizioni: “Innanzitutto, da un punto di vista statistico, quando le persone che non lavorano sono di più di quelle che lavorano – spiega Ricolfi –. In secondo luogo deve trattarsi di una società opulenta, in cui la maggioranza dei non lavoratori abbia comunque l'accesso al surplus prodotto dal sistema economico. Una terza importantissima condizione è che questa situazione, che di per sé potrebbe essere molto gradevole positiva, si accompagni a una stagnazione dell'economia”.

Guarda l'intervista a Luca Ricolfi

I cambiamenti sociali degli ultimi anni hanno insomma reso possibile in Italia una tipologia di società mai osservata prima, dove il privilegio di vivere senza lavorare non è più riservato, come nell’ancien regime, a pochi nobili e al clero, ma coinvolge addirittura la maggioranza della popolazione: addirittura il 52,2% dei cittadini italiani residenti. Una situazione che però comporta lo sfruttamento di una parte sempre più esigua di lavoratori, al 60% persone immigrate, secondo modalità che per l’autore assumono le caratteristiche di una vera e propria ‘infrastruttura paraschiavistica’.

Un’immagine, quella di una società comunque ricca, difficile da conciliare la narrazione offerta dai media, che registrano costantemente l’ampliarsi dell’area dell’emarginazione e del disagio. “Resta il fatto che la maggioranza degli italiani accede a consumi che in letteratura vengono considerati opulenti – continua Ricolfi –. Il reddito medio è pari a circa quattro volte il livello di sussistenza, e questo significa poter ad esempio possedere una o più automobili, la casa di proprietà, fare vacanze lunghe. Al di là di queste condizioni di relativo benessere c'è poi la pletora enorme di consumi superflui; l’esempio che più mi ha colpito è il gioco d'azzardo; ogni anno, limitandosi al gioco legale, spendiamo circa 110 miliardi di euro: il costo dell’intera sanità pubblica”.

Già negli anni ’60 in Italia i non lavoratori hanno superato i cittadini attivi

La situazione attuale ha radici lontane: già negli anni ’60 in Italia i non lavoratori hanno superato i cittadini attivi, e ancora oggi secondo l’Ocse l’Italia è il Paese avanzato con minor di occupazione, seconda solo alla Grecia: il 45% dei residenti contro il 51% della Francia, il 60% degli Stati Uniti, il 61% del Regno Unito e addirittura il 68% della Svezia. Oggi a sostenere ancora i consumi è rimasta soprattutto la ricchezza accumulata nei decenni precedenti. Mentre infatti con la crisi del 2008 in Italia il reddito è crollato, la ricchezza si attesta ancora – secondo i dati riportati dal libro – poco sotto i 400.000 euro a famiglia, concentrata soprattutto a livello immobiliare. Preoccupa però la stagnazione della produttività, che in Italia è al palo da 20 anni.

Quanto può durare una società in cui si consuma senza produrre in maniera sufficiente? “Se non si fa nulla, come io ritengo estremamente probabile, ancora qualche anno – conclude Ricolfi –. Il nostro PIL continuerà a fluttuare, poi comincerà a decrescere leggermente, magari di un 0,5-1% all'anno. Grosso modo penso che per una decina di anni il quadro non cambierà drasticamente ma poi ce ne accorgeremo, a meno che una crisi finanziaria non ci metta prima in una situazione di tipo greco. Tra vent'anni però avremo sicuramente dei problemi”. Una prospettiva niente affatto tranquillizzante ma che sembra corroborata dai dati, con un debito pubblico ormai stabilmente assestato oltre i 130 punti percentuali e provvedimenti che, come ‘quota 100’ e reddito di cittadinanza, non sembrano andare nella direzione di ridare produttività al sistema. Ma Ricolfi non vuole consolare né illudere, nella speranza che la presa di coscienza, ancorché brusca, possa essere il primo passo verso il cambiamento: “Rischiamo di un fenomeno che chiamo di ‘argentinizzazione lenta’: come l'Argentina andiamo verso il default, ma abbastanza lentamente da non accorgercene”.

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