Le terre dell’antico gruppo pastorale dei Karrayyu sono quelle del distretto di Fantalle, nell’area di Oromia, uno dei nove Stati regionali dell’Etiopia, a circa 200 chilometri dalla capitale Addis Abeba. Per queste comunità di pastori seminomadi gli animali sono tutto: una risorsa preziosa da cui ottenere cibo e latte, forza motrice e una fonte di reddito. Delle mandrie miste con cui i pastori praticano la transumanza cercando le aree migliori e meno colpite dalla siccità e dai cambiamenti climatici fanno parte anche bovini, pecore, capre e asini, ma è il cammello l’animale che più di ogni altro ricopre un ruolo fondamentale nella vita dei Karrayyu. Ogni pastore distingue i propri cammelli l’uno dall’altro, li chiama per nome e durante la transumanza si nutre quasi esclusivamente del loro latte appena munto che ha proprietà nutrizionali eccellenti, grazie ad una maggiore quantità di vitamine e di ferro rispetto al latte di mucca. E in questa area dell’Etiopia, Paese che con l’elezione del primo ministro Abyi Ahmed, Premio Nobel per la pace 2019, ha visto aumentare aspettative e speranze, da qualche tempo i cammelli sono diventati anche una possibilità concreta di sviluppo economico. Il percorso è stato avviato da Roba Bulga, un giovane pastore, tenace e ambizioso, che per inseguire il sogno di studiare ha abbandonato la sua terra, la sua famiglia e un matrimonio organizzato, ma poi è tornato con un bagaglio di esperienze che sta cambiando il destino di tutta la comunità. Dopo aver scoperto che al di fuori dell’Africa ci sono Paesi in cui il latte di cammella ha prezzi di mercato particolarmente favorevoli per i produttori, negli Stati Uniti costa quaranta dollari al litro, Roba Bulga ha capito che questa bevanda, il cui utilizzo fino a quel momento era limitato al consumo quotidiano degli stessi pastori, aveva tutte le caratteristiche per essere commercializzata e dare reddito. Grazie alla sua intuizione, da qualche anno i Karrayyu dopo la mungitura raggiungono quotidianamente il mercato di Addis Abeba portando bidoni di alluminio pieni di latte. I prezzi di vendita ovviamente non sono paragonabili a quelli statunitensi, ma sono comunque sufficienti a garantire i soldi necessari per le spese mediche o per l’acquisto di altri beni alimentari. E sono aumentate anche le opportunità di istruzione.
La storia di Roba Bulga ha ispirato la regista Clio Sozzani che nel 2011 ha firmato, insieme a Claudia Palazzi, il documentario “Jeans and Martò”, il cui titolo fa riferimento al tradizionale abito bianco indossato dai pastori Karrayyu. Adesso è in fase di produzione il sequel della storia, incentrato sul percorso che ha portato Roba a perfezionare la sua start up africana: si intitolerà "Milk Drop. La rivoluzione del latte di cammella" e la sua uscita, inizialmente prevista per la fine del 2020, sarà posticipata di qualche mese a causa delle difficoltà logistiche legate alla pandemia del coronavirus.
Intervista alla regista Clio Sozzani, autrice del documentario "Jeans and Martò" il cui sequel "Milk Drop. La rivoluzione del latte di cammella" è in fase di lavorazione. Servizio di Barbara Paknazar
“Ho conosciuto Roba Bulga ad Addis Abeba mentre mi trovavo nella capitale etiope per lavoro - ho lavorato per diversi anni come cooperante in Africa - e l’ho conosciuto attraverso una mia amica fotografa che mi ha accennato alla sua storia e me l’ha presentato. Quando Roba mi ha raccontato del suo passato ho deciso di cominciare a seguirlo e per tre anni l’ho praticamente pedinato, ovunque lui andasse, qualsiasi cosa facesse io ero lì con la telecamera. Quindi l’aspetto bello di questo documentario è che ho seguito tutte le fasi della sua vita mentre accadevano. Mi sono persa chiaramente la prima parte della sua fuga, quando ha lasciato il villaggio ma per il resto, nelle parti successive, mentre accadevano le cose io le filmavo", ci spiega Clio Sozzani, che si sofferma sulla tenacia con cui questo giovane ha inseguito il sogno di poter studiare. "Fin da bambino Roba aveva questo desiderio e spesso la mattina quando i genitori gli chiedevano di pascolare i cammelli nella savana lui diceva di non stare tanto bene e poi in realtà correva a scuola. Il suo sogno era diventare un uomo istruito, tanto è vero che poi a ventun anni decide di evitare di sposarsi - secondo la tradizione Karrayyu tutti i ragazzi di quell'età si devono sposare - lui decide di non farlo e scappa ad Addis Abeba. Rompe con la sua cultura, con la sua identità, con la sua famiglia e continua nell’istruzione. Era convinto che per diventare un uomo istruito fosse necessario tagliare i ponti con la sua famiglia e con il suo passato. In realtà, dopo qualche anno di studio è stato invitato a Torino da Slow Food per partecipare a Terra Madre e quando, durante la conferenza di apertura, Carlo Petrini è intervenuto spiegando al pubblico l’importanza di mantenere viva la propria cultura di origine, Roba ha considerato in modo diverso il suo passato. A quel punto è tornato in Etiopia cambiato e allo stesso tempo anche suo padre ha compreso l’importanza di avere un figlio istruito. Quindi questi due uomini che avevano finito per essere così distanti si riavvicinano e la chiusura del documentario è molto toccante".
Dopo la laurea conseguita ad Addis Abeba, Roba ha perfezionato i suoi studi all’università del gusto di Pollenzo grazie ad un master che gli è stato proposto e sponsorizzato da Slow Food e il latte di cammella oggi è uno dei Presìdi tutelati dall'associazione internazionale. "Durante i suoi studi legati alla nutrizione - prosegue la regista Clio Sozzani - ha scoperto che il latte di cammella ha delle proprietà molto interessanti: è meno grasso del latte di mucca, ha una quantità superiore di vitamina C, ha più ferro ed è consigliato anche agli intolleranti al lattosio e ai diabetici. Quindi ha ottime potenzialità anche dal punto di vista commerciale. Per questo motivo Roba ha pensato che per i Karrayyu, che avevano consumato latte di cammella per secoli, fosse arrivato il momento di cominciare anche a venderlo. E quindi, insieme ad altri abitanti del villaggio, ha avviato delle cooperative di pastori che raccolgono il latte e lo trasportano fino ad Addis Abeba che dista circa 200 km dal loro villaggio. Il latte viene trasportato due volte al giorno, quindi effettivamente questa commercializzazione ha permesso ai Karrayyu di svilupparsi. E mi piace sottolineare che non è un progetto di cooperazione imposto dall’alto, ma un piano di sviluppo che nasce dalla loro comunità e sta funzionando molto bene".
Il successo di questo progetto, con i volumi di vendita che arrivano fino a mille litri di latte al giorno, ha permesso anche di evitare il rischio che l'identità dei Karrayyu finisse per perdersi, visto che il governo aveva intenzione di trasformarli in agricoltori stanziali. "I pastori sono spesso considerati come degli occupanti di terra che non portano nessun servizio alla società e all’economia del paese. Attraverso la commercializzazione del latte di cammella invece adesso offrono un servizio e quindi il rischio di essere sedentarizzati e diventare agricoltori stanziali è venuto meno", spiega Clio Sozzani.
Nel 2017 Roba Bulga ha vinto una scholarship, una borsa di studio per andare a studiare negli Stati Uniti alla Brandeis University di Boston e ha lasciato nuovamente il villaggio. Sulle opportunità che si stanno aprendo grazie a queste esperienze internazionali, ma anche sui nuovi risvolti familiari e affettivi, si concentrerà il sequel del primo documentario. "Come in Jeans and Martò - ci racconta Clio Sozzani - il padre di Roba teme che suo figlio non tornerà mai più. In realtà anche dagli Stati Uniti sta portando avanti il suo progetto, prendendo contatti con diverse realtà che lavorano con i cammelli e si occupano di distribuzione di latte di cammello perché ha scoperto che anche lì questo latte è molto apprezzato. Il valore economico chiaramente è molto diverso: negli Stati Uniti costa circa 40 dollari al litro, contro il dollaro che viene pagato in Etiopia. Nella sua esperienza statunitense ha incontrato molte persone che lavorano nel settore e ha iniziato a fare delle presentazioni pubbliche anche per raccogliere finanziamenti. In questo modo è riuscito a potenziare la sua start up africana “Nomad Dairy” e a ottenere i fondi con cui i Karrayyu hanno potuto acquistare un frigorifero per il camioncino con cui viaggiano verso la capitale per vendere il latte, superando così il problema della refrigerazione durante il trasporto. Quotidianamente infatti i Karrayyu hanno un problema di food waste che arriva al 40%, il che significa una perdita economica giornaliera di 450 dollari. Attualmente Roba è ancora negli Stati Uniti ed è stato assunto da un’azienda che si occupa di commercializzazione di caffè. Siccome ha saputo che a Dubai il latte di cammella, oltre ad essere utilizzato per la produzione di cioccolato e cosmetici, è anche richiesto da diversi bar che offrono il “cammelcino”, un cappuccino fatto con il caffè e con il latte di cammella, adesso sta pensando di lanciare qualcosa di simile anche in Etiopia, unendo questi due prodotti importanti per il territorio africano".
Per finire abbiamo chiesto a Clio Sozzani di svelarci qualche aneddoto sulla sua esperienza all’interno del villaggio dei Karrayyu. “Sono persone molto riservate e senza la presenza di Roba probabilmente non saremmo mai riusciti a entrare nella loro comunità. Però una volta conosciuti sono estremamente ospitali e una loro specialità è il caffè con il sale: quindi ci hanno offerto due tazze belle piene di caffè con il sale che noi abbiamo dovuto bere! E poi l’aspetto bello è che con queste persone, che all’inizio senti molto lontane perché parlano una lingua diversa, hanno una cultura totalmente diversa, però alla fine cresce un affetto che va oltre la comunicazione verbale. Soprattutto con il padre di Roba che è una persona speciale, il vero saggio africano è lui”.