SOCIETÀ

Tanzania, proteste e cortei contro il governo autoritario

Seggi deserti e scontri in diverse città, soprattutto a Dar es Salaam, la capitale commerciale della Tanzania, con i carri armati dell’esercito a presidiare gli incroci e gli agenti di polizia a sparare lacrimogeni (e non solo) contro i dimostranti, molti dei quali giovanissimi, di quell’indomita Generazione Z che un po’ ovunque sta alzando la voce. Una reazione violenta, ma anche disperata, esasperata da parte di una popolazione ancora una volta esclusa con la forza dalla tornata elettorale che, oltre al Parlamento e ai consigli locali, avrebbe dovuto “democraticamente” eleggere il nuovo presidente dello stato dell’Africa orientale. Non è stato così: la presidente in carica Samia Suluhu Hassan, ex vicepresidente entrata in carica nel 2021 dopo la morte del suo predecessore, John Magufuli, ha di fatto eliminato dalla scena politica i suoi più temibili avversari: come Tundu Lissu, leader di Chadema (Partito per la Democrazia e il Progresso), finito in carcere con l’accusa di tradimento (che lui nega) e Luhaga Mpina, esponente di ACT-Wazalendo (Alliance for Change and Transparency), di sinistra. Il partito della presidente, il Chama Cha Mapinduzi (che tradotto dalla lingua swahili vuol dire “Partito della Rivoluzione”), d’ispirazione socialista, che governa ininterrottamente da 64 anni, vale a dire dalla conquista dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, nel 1961, ha spesso mostrato, soprattutto negli ultimi anni, la sua concezione dispotica del potere: chi critica il governo, quando va bene, viene arrestato o rapito. Vietati i raduni e i comizi delle opposizioni. Come scrive Amnesty International: «Quattro critici del governo sono stati fatti sparire con la forza e uno è stato ucciso. La polizia ha impedito ai membri dell’opposizione di tenere riunioni e altri raduni politici, sottoponendoli ad arresti di massa, detenzione arbitraria e uso illegale della forza. Ai giornalisti e ad altri è stato negato il diritto alla libertà di espressione». Poche ore prima del voto anche l’influencer e imprenditrice 26enne Jennifer Bilikwiza Jovin, nota col soprannome di Niffer, è stata arrestata durante un blitz notturno della polizia, che l’ha accusata di “incitamento alla violenza” e non meglio precisati danneggiamenti. I dimostranti hanno dato fuoco a un autobus e a una stazione di servizio nei quartieri di Kimara e Ubungo. Mentre alcuni seggi elettorali sono stati attaccati e vandalizzati nella capitale Dodoma. Danneggiati anche diversi negozi. Internet è bloccato in tutto il paese. Il governo ha schierato l’esercito anche a Dodoma e a Zanzibar, disponendo il coprifuoco a Dar es Salaam a partire dalle 18. Secondo voci non ancora ufficialmente confermate, ma assai verosimili, ci sarebbero diversi morti (2 quelli finora confermati). Fonti dell’ospedale locale Muhimbili hanno segnalato un aumento del flusso di pazienti feriti.

Non elezioni, ma una messinscena

La situazione resta tesa, mentre le notizie filtrano con estrema difficoltà, anche per la chiusura di internet. Il portale keniota d’informazione online Tuko riferisce che ai dipendenti pubblici tanzaniani è stato ordinato di lavorare da casa, mentre ai titolari delle aziende private è stato chiesto di “considerare la sicurezza” dei loro dipendenti. Ma non sarà semplice riportare sotto controllo la rabbia dei manifestanti (67 milioni di abitanti, quasi 38 milioni di elettori) che sostanzialmente accusano il governo in carica di eccessivo autoritarismo, e di aver trasformato le elezioni presidenziali in una messinscena. Associated Press riporta la dichiarazione di uno studente che, come tanti suoi coetanei, ha deciso di non andare a votare: «È una corsa con un solo cavallo». La Commissione Elettorale ha sette giorni di tempo per comunicare l’esito del voto, dunque entro mercoledì della prossima settimana: ma non c’è alcun dubbio che la presidente uscente sarà riconfermata, dal momento che tra i 16 partiti ammessi a concorrere alle elezioni nessuno ha mai ottenuto, storicamente, un risultato di rilievo. Né la presidente Samia Suluhu Hassan, né altri membri del governo che presiede hanno rilasciato dichiarazioni in merito agli scontri e al caos che sta dilagando nel paese africano.

Un caos che diversi analisti avevano previsto. «La Tanzania non sarà più la stessa dopo queste elezioni», aveva avvisato alla vigilia del voto Deus Valentine, amministratore delegato del Center for Strategic Litigation (CSL), un’organizzazione senza scopo di lucro con sede a Dar es Salaam, che si propone di promuovere una società giusta e tollerante e una democrazia inclusiva fondata sul rispetto dello stato di diritto e della giustizia. «O stiamo entrando in un nuovo livello di impunità oppure in una nuova fase di sfida civile: ma di sicuro qualcosa sta per accadere». Eppure lo scorso aprile, nel suo messaggio per commemorare il 61° anniversario dell’Unione tra Tanganica e l’isola di Zanzibar, la presidente Hassan aveva pubblicamente ribadito l’impegno della sua amministrazione a sostenere “la legge e l’ordine” durante tutto il processo elettorale per garantire elezioni “libere ed eque”, esortando i cittadini a partecipare attivamente, sia come elettori sia come candidati. Tutto teatro, come aveva già anticipato il portale d’informazione della Tanzania The Chanzo: «Nonostante le ripetute rassicurazioni della presidente, molti attori politici e osservatori tanzaniani temono che le prossime elezioni possano non essere all’altezza degli standard democratici. Le promesse di elezioni libere ed eque sono in netto contrasto con la repressione del governo contro il Chadema, il principale partito di opposizione, con il suo presidente, Tundu Lissu, ancora detenuto nella prigione di Ukonga con l’accusa di tradimento». Lo stesso Lissu, alla vigilia delle elezioni, è riuscito quantomeno a far uscire la sua voce dal carcere dov’è rinchiuso: «Sono stato sottoposto a un trattamento disumano, in isolamento prolungato, in violazione della legge tanzaniana e contraria a qualsiasi standard internazionale per i diritti umani. Un trattamento che equivale alla tortura. La mia cella è dotata di telecamere di sorveglianza che registrano tutto ciò che faccio, anche quando faccio i miei bisogni o mi cambio i vestiti. Non ho più alcuna privacy. Non è una questione di sicurezza: è un atto deliberato volto a umiliare la mia dignità umana».

Una democrazia sfiorita

Eppure la Tanzania era un tempo indicata come esempio di democrazia stabile nell’Africa Orientale. Come scriveva appena pochi mesi fa la Friedrich Naumann Foundation For Freedom: «Il paese è stato un importante pilastro della democrazia per alcuni stati vicini. I padri fondatori, Mwalimu Julius Kambarage Nyerere e Mzee Abeid Karume, sono spesso descritti come prodotti della saggezza, dell’umanità, della generosità e dei valori educativi del loro tempo». Ora sembra che quel tempo sia tramontato, con una crescente e costante (e in alcuni casi violenta) riduzione dello spazio civico. La storia conta sempre fino a un certo punto: molto, se non tutto, dipende dagli interpreti di oggi. E la temuta repressione delle proteste in corso in queste ore (ne capiremo tra qualche giorno la portata reale) non farà che aumentare la distanza tra l’opinione pubblica e le istituzioni statali, con il rischio di arrivare a una frattura che non sarà sanabile con le regole democratiche. Il quotidiano The African Mirror è netto nel suo giudizio, titolando il resoconto degli scontri odierni con il titolo: «Il giorno in cui la democrazia è morta: la rivolta dei giovani della Tanzania contro 64 anni di governo monopartitico».

L’attuale crisi avrà di certo ripercussioni anche da un punto di vista economico. Ed è un peccato, perché gli indicatori sono tutt’altro che negativi: Pil in crescita (+6%), riduzione dell’inflazione (poco sopra il 3%), aumento della ricchezza pro-capite. Una delle economie in più rapida crescita dell’Africa orientale, nonostante il 60% dei tanzaniani sia impiegato nel settore agricolo. Il potenziale strategico della Tanzania è chiaro: ha abbondanti risorse naturali (dal caffè all’oro e ai diamanti) ed è una porta d’accesso ai principali mercati interni. Ma, come spiega il centro studi internazionale Chatham House, in un report pubblicato proprio pochi giorni fa, rischia di diventare “un’occasione persa”: «Si prevede che la popolazione della Tanzania sarà raddoppiata nel 2050, il che lo renderebbe uno dei paesi più grandi del mondo. Il governo sottolinea giustamente il ruolo storico della Tanzania nei movimenti di liberazione africani, le sue risorse naturali e il crescente peso economico. Ma i leader della Tanzania dovrebbero anche chiedersi se continuare a negare al suo popolo una vera scelta democratica non stia ostacolando la realizzazione del paese nel suo vero potenziale».

© 2025 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012