UNIVERSITÀ E SCUOLA

Lifelong Learning e le nuove sfide della didattica

Il libro The 60-year curriculum – New Models for Lifelong Learning in the Digital Economy, a cura di C. J. Dede e J. Richards (Harvard Graduate School of Education) esplora vari modelli riguardanti l’educazione continua. L’allungamento della vita media e il fatto che, a differenza di una generazione fa, non si riesce a prevedere quali saranno in parte i lavori tra 10 anni, spinge molti atenei prestigiosi statunitensi ad offrire corsi per studenti di ogni età in una molteplicità di offerte on site, online, e ibride.  

Nel passato, a volte anche recente, le risorse culturali erano difficilmente accessibili e il docente era, localmente, l’unico detentore della conoscenza. Le tecnologie oggi offrono infinite possibilità di arricchimento culturale. Illuminante il caso della Georgia Tech University che, non senza timori, ha avviato dal 2015 il master online in Computer science in parallelo a quello in presenza. Il programma, al quale si sono aggiunti i master in cyber security e data science raccoglie ora 12 mila studenti. Dopo un’attenta progettazione didattica che alterna Mooc (Massive Open Online Courses, con brevi video alternati a testi),  attività online gestite da docenti e tutor e momenti di socialità, non solo i risultati di apprendimento sono comparabili a quelli in presenza, ma il successo del corso ha portato un incremento del numero di studentesse e studenti nel campus per la versione on site. Inoltre, molti dei docenti, hanno imparato ed esportato i metodi innovativi dell’online e dell’active learning nei corsi frontali, data la loro efficacia. Parte di quei Mooc, come a Stanford e MIT, vengono poi utilizzati per il mercato in espansione del Longlife Learning, fidelizzando i propri studenti. L’online non è visto come un concorrente alla didattica frontale, ma uno strumento da utilizzare in abbinamento ad essa per arricchirla e rendere più flessibile in un’ottica di sostenibilità: la distanza non è creata dal mezzo ma da una didattica centrata sul docente, come quella che ci è stata tramandata dal medioevo, e non sullo studente.

Nel recente convegno eMoocs 2021, Anant Agarwal, CEO di EdX (MIT+Harvard, una delle più importanti piattaforme mondiali di Mooc con bacino di centinaia di milioni di utenti) raccontava l’esperienza di Google IT. Si tratta di un programma che consiste in blocchi di 6 mesi di corsi online certificati (principalmente MOOC dei migliori docenti di Stanford erogati dalla piattaforma Coursera) offerti principalmente a disoccupati, anche privi di diplomi scolastici, al fine di trasformarli in tecnici nell’ambito informatico, comunque in grado di lavorare in aziende dove le certificazioni acquisite hanno una validità interna. Ad un costo modesto (30$ al mese) persone che hanno perso il lavoro a causa delle tecnologie, studiano online e trovano un lavoro, probabilmente in smartworking. La London University riconosce poi a chi si iscrive ed ha acquisto il certificato erogato da Google IT una dozzina di CFU.

I sondaggi mostrano due richieste apparentemente contraddittorie degli studenti: il desiderio di un ritorno in aula, di puro online e al tempo stesso di flessibilità. La socialità, che non significa necessariamente essere stipati in 250 in un’aula strapiena, e la possibilità di apprendere con i propri ritmi e senza un vincolo di luogo e di orario.

Le parole d’ordine, scorrendo il libro e ascoltando nei convegni i protagonisti dell’educazione e del digital learning, sembrano essere: Flessibilità, Educazione sostenibile (hybrid education) e Longlife Learning.

In Italia la didattica online all’Università è spesso vista come antitetica, e non ausilio, ad una buona didattica. Ad esempio, si concede ora per necessità di pandemia lo studio anywhere, come lo streaming, difficile per il docente e di non provata efficacia, ma non si tiene in conto l’esigenza per alcuni di un apprendimento anytime; è piuttosto consueto nei consigli di dipartimento o di corso sentire sconsigliare l’uso di materiale asincrono e gli atenei sembrano in generale non investire nella modalità blended, che abbina il meglio dell’online e della presenza, attraverso una pedagogia rodata e di successo. Eppure abbiamo laureato in passato studenti non frequentanti in gran quantità, senza mai porci il problema di come facessero a studiare.

Grandi atenei e operatori mondiali si stanno attrezzando agli studenti di post pandemia offrendo un ventaglio di possibilità per una platea di studentesse e studenti in espansione; nella sola fascia 18-23 anni si prevede nei prossimi 20 anni un raddoppio di esigenza in higher education equivalente alla irrealizzabile creazione di almeno 3 grandi atenei a  settimana. Riusciremo ad utilizzare la forza della tradizione e a sfruttare le tecnologie per offrire una didattica di qualità che venga incontro alle esigenze del futuro?  

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