SOCIETÀ

L’impatto della pandemia nei quartieri di Roma

Roma si presenta sempre più come una città profondamente diseguale. La grande crisi del 2008 prima e la pandemia più recentemente non hanno fatto altro che evidenziare una tendenza in corso ormai da trent’anni. Impattano su un tessuto sociale e produttivo già debole, con forti e persistenti disuguaglianze di salute, genere, reddito, istruzione, opportunità lavorative e servizi pubblici che incidono a geometria variabile sui quartieri delle periferie romane (Lelo K., Monni S., Tomassi F., Le mappe della disuguaglianza. Una geografia sociale metropolitana, Donzelli, Roma 2019). Si possono individuare “sette Rome” con caratteristiche demografiche e socio-economiche nettamente differenti (Lelo K., Monni S., Tomassi F., Le sette Rome. La capitale delle disuguaglianze raccontata in 29 mappe, Donzelli, Roma 2021). La città storica del centro turistico, la città ricca tra Roma nord, EUR e Appia Antica, la città compatta dei quartieri residenziali intensivi, la città del disagio di case popolari e borgate ex abusive, la città dell’automobile lungo il GRA, la città-campagna che comprende tutto ciò che resta dell’Agro romano, la città degli “invisibili” estesa su tutto il territorio comunale.

L’impatto sull’occupazione romana è quello che si può immaginare dal crollo delle assunzioni (anche quelle in nero) unito al mancato rinnovo dei contratti a termine, cosicché molta forza lavoro è tornata inattiva. Le minori opportunità di occupazione hanno colpito chi già subiva forti disparità e scarse garanzie sul mercato del lavoro: le donne, gli stranieri, i giovani e i lavoratori poco qualificati, spesso assunti con contratti atipici o a tempo determinato. Secondo i dati di Roma Capitale, nella città metropolitana la perdita di occupati nei primi tre trimestri del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, è stata rilevante nell’agricoltura (-11,5%), nei trasporti e logistica (-10%), nei servizi professionali e alle imprese (-9%, con una riduzione di 26.300 lavoratori), nei servizi alla persona e nelle costruzioni (-8%), nel commercio (-7%), negli alberghi e ristorazione (-5%). Al contrario, hanno incrementato il numero di occupati la manifattura (+10%, pari a 13.200 lavoratori in più) e i servizi di informazione e comunicazione (+8%).

L’ultimo dato disponibile relativo al reddito individuale è del 2019, e registrava un valore medio a Roma di 26.758 euro, nettamente inferiore se paragonato con Milano (34.189), e distribuito in maniera molto diseguale sul territorio comunale(Fig. 1): ai Parioli e a Quirinale-Spagna-XX Settembre, nel I e II Municipio, il reddito medio era di circa 63.000 euro mentre in gran parte del VI Municipio era poco più di 18.000 euro. E la crisi sanitaria ha fatto emergere con forza il divario economico e sociale: a subirne le conseguenze sono soprattutto i più vulnerabili – precari, giovani, donne, stranieri – ma anche il ceto medio. Per molti romani è diventato difficile pagare l’affitto o il mutuo della casa, le bollette o anche semplicemente acquistare beni di prima necessità. La Caritas nel 2019 stimava già che circa il 18% dei romani – ossia un romano su cinque – era a rischio di povertà e che il 9,4% della popolazione romana era impossibilitato ad affrontare spese impreviste.

Non è quindi sorprendente che a Roma, nel periodo marzo-settembre 2020, le tre mense diocesane della Caritas abbiano distribuito 238.000 pasti a fronte dei 185.000 dell’anno precedente, quasi un terzo in più. Inoltre, 70.000 sono i buoni spesa erogati fino a giugno 2020 dal Comune di Roma, 18.000 a ottobre 2020 dalla Caritas. Ad aprile 2021 erano 49.200 le domande per il “contributo all’affitto” presentate al Comune di Roma. 8500 sono le famiglie aiutate dai giovani volontari di Nonna Roma (associazione di volontariato nata come banco del mutuo soccorso, che assiste i romani in condizioni di disagio e marginalità economica e sociale) durante il primo lockdown, e a marzo 2021 sono ancora 800 le famiglie che mensilmente ricevono i loro aiuti. Numeri impressionanti: un esercito di poveri, molti dei quali “nuovi” poveri. Sono comunque numerose le iniziative e le reti mutualistiche che si sono attivate nell’emergenza, sopperendo al ritardo e alla debolezza delle istituzioni nel fornire risposte ai bisogni.

Alla povertà materiale bisogna aggiungere la cosiddetta povertà educativa. A Roma già prima della pandemia e della didattica a distanza (Dad) la situazione non era semplice, e in alcuni quartieri il tasso di non completamento della scuola secondaria di primo grado sulla popolazione tra 15 e 52 anni raggiungeva valori particolarmente elevati, intorno al 5% ( www.mapparoma.info/mappe/mapparoma25-esclusione-sociale-quartieri-roma). In questi mesi si è acuita la percezione delle conseguenze derivanti dalla qualità abitativa, sia in termini di dimensioni che in termini di comfort: si sono fatti sentire pesantemente i vantaggi di una abitazione confortevole e spaziosa per il lavoro agile e gli svantaggi di ambienti stretti e angusti (se nei quartieri benestanti di Roma nord e nel centro storico i metri quadrati a disposizione di ogni abitante sono tra 50 e 60, nelle periferie anulari questi si riducono a 30-35, cfr. www.mapparoma.info/mappe/mapparoma15-case-di-proprieta). Da questo punto di vista si registra inoltre una corrispondenza abbastanza precisa: i quartieri in cui i metri quadrati a disposizione del singolo sono di meno coincidono con i quartieri in cui maggiori sono i problemi sociali, dove più alto è il numero dei disoccupati e più acuto il disagio delle famiglie.

È un classico esempio di quanto la pandemia abbia agito divaricando ancora di più la forbice delle disuguaglianze: i lavoratori più qualificati, con un elevato livello di istruzione e un’occupazione più redditizia – o comunque chi partiva da una situazione economica migliore e quindi con una migliore posizione abitativa –, hanno anche avuto più facilità nel lavorare a distanza, e questo li ha protetti sia dal rischio di perdere il posto che da quello di contagio, oltre al fatto di aver potuto usufruire generalmente di connessioni internet più veloci. Diversamente, per i segmenti di popolazione che vivono in condizioni di marginalità fisica e sociale – i lavoratori con un basso livello di qualificazione, i precari e gli irregolari – il maggiore rischio di contagio deriva dalle difficili condizioni igieniche, dalla mancanza di spazi adeguati al distanziamento, da tipologie occupazionali spesso manuali e poco adatte al lavoro agile, dalla necessità di doversi muovere col trasporto pubblico. Naturalmente ciò non equivale ad affermare che i più agiati siano al riparo dai rischi, ma chi si trova in condizioni economiche peggiori ha meno opportunità di fronteggiare con successo la malattia e più facilmente diventa vettore di trasmissione del contagio.

E infatti le disuguaglianze socio-economiche e culturali vengono evidenziate e accentuate dalla pandemia. A fine luglio 2021 (Fig. 2) i casi totali registrati a Roma dall’inizio della pandemia erano 176.000, con un tasso di 632 ogni 10.000 abitanti. Partendo dai 12.000 di metà ottobre 2020, i casi sono cresciuti esponenzialmente nel corso della “seconda ondata” fino ai 20.000 di inizio novembre, ai 30.000 di metà novembre, ai 65.000 di fine novembre e ai 76.000 di metà dicembre. Nel corso del 2021 l’aumento è stato più lento: 89.000 a inizio gennaio, 108.000 a inizio febbraio, 123.000 a metà marzo, 145.000 a inizio aprile e 168.000 a inizio giugno.

Le zone più colpite sono proprio quelle in cui vivono le fasce più disagiate della popolazione (Fig. 3, aggiornata ad aprile). L’incidenza sulla popolazione residente è maggiore nelle zone popolari del quadrante est della città, intorno e soprattutto fuori dal GRA, dove i residenti crescono, il disagio socio-economico è maggiore, l’età media è minore e i nuclei familiari sono più numerosi. Se osserviamo i dati nelle “sette Rome”, l’area più colpita è la città del disagio, con case popolari e borgate (738 contagi ogni 10.000 residenti), seguita dalla città-campagna delle periferie lontane e rarefatte (703) e dalla città dell’automobile intorno al GRA (656). Sono invece sotto la media romana la città compatta della periferia storica (596) e la città ricca (569), mentre raggiunge il minimo la città storica del centro turistico (538).

Infine, particolarmente interessante per comprendere quello che è successo a Roma nei mesi della pandemia è il dato del reddito di cittadinanza (RdC). Una misura che in questi mesi si è trovata spesso al centro di un acceso dibattito politico, in merito sia al suo costo per il bilancio pubblico sia alla sua efficacia nell’arrivare ai destinatari che ne hanno effettivo bisogno e al suo impatto concreto sulla riduzione delle disuguaglianze. Nel comune di Roma a settembre 2020 le domande accolte erano 67.315 rispetto alle 107.402 presentate, pari al 63%, ossia 2,7 domande ogni 100 abitanti con più di 15 anni, inferiori rispetto al dato nazionale (Lelo, Monni e Tomassi 2021, pp. 98-101).

Non appare sorprendente che la maggior parte di queste domande provenga dalla città del disagio, dove riceve il RdC il 5,4% dei cittadini con più di 15 anni; seguono a grande distanza la città storica e la città-campagna con 3,1-3,2%, mentre la città compatta e la città dell’automobile registrano il 2,7-2,9%, e infine la città ricca molto meno, con solo l’1,5%. Le prime dieci aree romane per incidenza di domande accolte sono infatti periferiche e caratterizzate dalla presenza di consistenti nuclei di case popolari o borgate ex abusive. Torri e Borghesiana-Castel Verde-Ponte di Nona, dove le domande accolte di RdC sono più di 6 ogni 100 abitanti con 15 o più anni, da sole raccolgono ben il 14% del totale romano. Ciò sembra confermare l’esistenza a Roma di vere e proprie “enclaves della disuguaglianza”, con i livelli peggiori di disagio socio-economico e i risultati più preoccupanti in termini di indice di sviluppo umano. Al contrario, sono quattro le aree dove le domande risultano pari o inferiori a una ogni 100 residenti con più di 15 anni: Parioli, Pinciano-Trieste, Trionfale-Balduina ed EUR-Torrino. Vogliamo sottolineare il divario esistente tra i due estremi: a Tor Bella Monaca ci sono 7 volte le domande del RdC rispetto a Parioli: 6,2 contro 0,9 ogni 100 residenti con più di 15 anni.

Questi dati sembrano confermare quanto evidenziato da Oxfam, che ha definito il Covid-19 il virus della disuguaglianza: la causa dell’ampliamento dei divari economici, sociali, razziali e di genere preesistenti. È quello che è successo e sta ancora accadendo a Roma: la “sindemia” sta accentuando quelle diseguaglianze di carattere sociale ed economico che abbiamo evidenziato nei nostri lavori.

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