UNIVERSITÀ E SCUOLA

La lingua italiana sui social: verso un’ecologia della comunicazione

Sentiamo spesso dire che l’uso dei social network porta a un impoverimento della lingua italiana: frasi brevi, anglicismi, emoticon e slang del parlato. Ma sarà vero? Gli studenti di Comunicazione ne hanno parlato con Vera Gheno, sociolinguista, per anni social media manager del profilo Twitter dell’Accademia della Crusca, invitata a tenere un seminario all’interno dell’insegnamento di Tecniche di scrittura tenuto dalla professoressa Chiara Di Benedetto: un’occasione per guardare ai cambiamenti della lingua italiana sotto la spinta digitale e riflettere sull’importanza della correttezza grammaticale anche nei social network, soprattutto quando si tratta di rappresentare se stessi.

Quello che si vede sui social non è una catastrofe di dimensioni bibliche, ma solo lo specchio di quello che accade fuori, nella lingua di tutti i giorni

dice Gheno, che di parole se ne intende. Nei suoi seminari e incontri, cerca di tranquillizzare la comune convinzione che i social rovinino l’italiano. Certamente la maggiore diffusione dei social ha influenzato il modo di parlare e di scrivere, ma questo cambiamento era già in atto”. Da sempre infatti le lingue evolvono sotto l’influsso della società che cambia. Uso di device dalle piccole dimensioni, una lettura sempre meno dedicata e fugace, con minore concentrazione che affida buona parte della comprensione al titolo, spesso clickbait e per niente informativo, un contatto con i testi continuamente minacciato che comporta una selezione distratta delle fonti, non sempre autorevoli: sono tanti i fattori che deve affrontare un testo oggi per sopravvivere e soprattutto per essere letto. E va da sé che cambiano anche le caratteristiche della scrittura che, soprattutto sui social network, si fa sempre più frammentata. 

D’altro lato c’è anche il forte aspetto di relazione che un social media manager deve possedere, la voglia di stare a contatto con le persone. Al centro della comunicazione sui social c’è quindi l’interazione che si crea con chi pone domande o richieste e la capacità di scegliere come interagire, anche per correggere notizie false. Tuttavia, a volte accade di non ricevere interrogativi, ma meri insulti. In questi casi, se tolto l’insulto non c’è nulla che realmente viene chiesto, lei preferisce “lasciar correre”, utilizzando la tecnica dell’aikidō – come ama definirla Vera Gheno con il disturbatore schiacciato dalla propria ira testuale. E a forza di tweet e presenza social anche l’Accademia della Crusca, “da proverbiale è diventata tangibile, alla portata di tutti”, avvicinandosi moltissimo ai cittadini eportando così anche a una riflessione sulla lingua e, auspicabilmente, a una maggiore coscienza. 

Una cosa interessante che Vera Gheno riporta è che la percentuale di errori nei tweet è aumentata non tanto seguendo una crescita lenta e costante negli anni, ma piuttosto accelerando improvvisamente quando i social sono diventati di dominio pubblico, consentendo quindi a chiunque di postare un proprio contenuto: tutti siamo diventati “scrittori”, indipendente dalla competenza linguistica, e ciò ha cambiato notevolmente il quadro testuale intorno a noi. Per non parlare poi di immagini, emoticon e emoji, spesso deputati a trasferire una sorta di emotività in questo “scritto-parlato” che leggiamo sui social. 

E ancora si è parlato di neologismi e della loro formazione, strettamente collegata alla convinzione che la lingua sia un’entità superiore e stabile, invece a fare e trasformare la lingua sono i parlanti ogni giorno: per capirci,  un neologismo entra nel vocabolario soltanto se usato da un ampio gruppo di parlanti, per un lungo arco di tempo e possibilmente in contesti diversi. Nessuna istituzione ha il potere di approvare un termine appena coniato o un’espressione che si diffonde per un breve periodo. Come ha sottolineato Gheno, persino l’Accademia della Crusca “descrive, ma non prescrive”, interviene per fare chiarezza maa tenere le redini della lingua è chi la usa. Forse è questo quel che più di tutto rimane di questi mesi di corso di scrittura: la presa di coscienza della nostra responsabilità come parlanti (e scriventi) nei confronti della lingua italiana.

E possiamo rilassarci anche di fronte alle parole provenienti da altre lingue, soprattutto dall’inglese! L’atteggiamento nei confronti dei forestierismi è ambivalente: chi li vede come una minaccia all’italiano e chi ne abusa per darsi un tono. Sotto molti aspetti gli anglicismi hanno arricchito il nostro vocabolario di termini associati a concetti altrimenti non esprimibili con un paio di parole, come spoilerare, molto amato nel linguaggio social, ma anche si pensi a tutti quei cibi etnici ormai diventati stabili nei nostri menu, come il kebab. Ben diverso il caso però di parole straniere che hanno una corrispondenza italiana: “luogo”, “posizione” o “sede” possono tranquillamnete continuare a esistere al posto di location, così come la “ragion per cui” o “motivazione” al posto di reason why.

Ed è così che chiudiamo questi mesi di insegnamento e questo seminario forti di una “ecologia della comunicazione” che si basa sul dubbio, la riflessione e il silenzio. Avere dubbi rispetto a tutto quello che si legge, riflettere prima di condividere un contenuto, con la consapevolezza che una volta pubblicato rimarrà per sempre online, tacere quando non si è realmente competenti. Questa la ricetta che dovrebbero seguire tutti quotidianamente in rete per una comunicazione e informazione più accorta. E per chi fa comunicazione questa è una responsabilità. 

Rachele Della Vecchia, Matteo Rigoni, Lisa Simeoni 

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