Nell'articolo The death of languages, pubblicato online su Aeon, l'autrice Rebecca Roache si interroga sul futuro delle lingue minoritarie del mondo, sul rischio d'estinzione di lingue parlate da meno della metà degli abitanti di un Paese o di una regione. Roache, docente di Filosofia al Royal Holloway dell'università di Londra, scrive: "I racconti sull'estinzione delle lingue sono invariabilmente tragici. Ma perché, esattamente?", e rintraccia il destino dell'Aka-Bo, lingua originaria delle Isole Andamane, nel Golfo del Bengala, scomparsa nel 2010 con la morte di Boa Senior, sua ultima custode.
Da qui la riflessione: "Parte della nostra tristezza quando una lingua muore non ha nulla a che fare con la lingua stessa. Le lingue maggioritarie non sono accompagnate da storie tragiche e quindi non suscitano emozioni allo stesso modo. Non sorprende che la preoccupazione per le lingue minoritarie sia spesso liquidata come sentimentale [...] Le lingue maggioritarie tendono a essere valutate utili e capaci di facilitare il progresso, mentre le lingue minoritarie sono considerate come ostacoli al progresso e il valore attribuito loro è visto come principalmente sentimentale".
Roache precisa: "Il valore delle lingue minoritarie non è puramente sentimentale. Le lingue sono scientificamente interessanti. Ci sono interi campi di studio dedicati a loro per tracciare la loro storia, i rapporti con altre lingue, i rapporti con le culture in cui esistono e così via. Comprendere le lingue ci aiuta anche a capire il nostro modo di pensare […] Consideriamo il valore sentimentale inferiore rispetto, per esempio, all’utilità pratica, sebbene spesso siamo felici di assecondare i reciproci attaccamenti sentimentali quando non ci causano disagi. Il sentimentalismo dei genitori per i disegni dei loro figli non infastidisce gli altri, ma spesso lo fa il sentimentalismo per le lingue minoritarie, poiché queste richiedono sforzi e risorse per essere sostenute. Ciò spiega perché, per alcuni, le lingue minoritarie non meritino di essere salvate". Ma quando parliamo di valore affettivo, ecco che il punto di vista si sposta anche sulla questione culturale, su tutto quello che una lingua scomparendo porta via con sé.
Montaggio: Elisa Speronello
Matteo Santipolo, docente di Didattica delle lingue moderne all'università di Padova, approfondisce l'argomento su Il Bo Live: "Il concetto di lingua minoritaria è abbastanza complesso e va analizzato da diverse prospettive: potremmo definire una lingua minoritaria quella parlata da un gruppo di persone in un contesto in cui la maggioranza della popolazione ne parla un'altra. Poi, all'interno di questa definizione, esistono lingue minoritarie isolate e altre che potremmo definire delle penisole, pensiamo al tedesco in Alto Adige, propagazione del tedesco che si parla oltre confine. Non è detto che una lingua sia minoritaria in senso assoluto, perché altrove potrebbe essere anche maggioritaria".
"Il 97% della popolazione mondiale parla appena il 4% delle lingue conosciute. Significa che il restante 3% delle persone del mondo parlano il 96% delle lingue esistenti: sono queste le lingue a rischio estinzione - spiega Santipolo -. Secondo i dati UNESCO l'Asia è il continente dove si parlano più lingue. il 90% delle lingue parlate in Asia sarà rimpiazzato da una 'lingua dominante' entro la fine del 21esimo secolo. L'Atlante delle lingue in pericolo, Atlas of the World’s Languages in Danger, rivela che il 40% delle lingue che sono attualmente parlate nel mondo sono a rischio di estinzione mentre il 4% è già scomparso negli ultimi 70 anni".
Per ogni lingua presa in esame, l'Atlante UNESCO (consultabile online) segnala diversi livelli di rischio: da sicuro si passa a vulnerabile (i bambini parlano la lingua, ma il suo uso è ristretto ad alcuni contesti, ad esempio, si usa solo in casa), decisamente in pericolo (i bambini non imparano la lingua come madrelingua in casa), in grave pericolo (la lingua è parlata dalle generazioni più vecchie: i genitori la capiscono ma non la insegnano ai bambini), in pericolo critico (la lingua è parlata solo dalle generazioni più anziane, con poca frequenza ed errori), infine, estinta (non ci sono parlanti sopravvissuti).
In Italia l’Istat ha condotto un’indagine, pubblicata nel 2017, dalla quale emerge che solo il 45,9% degli italiani parla prevalentemente italiano in famiglia. Il 32,2% del campione lo alterna al dialetto, mentre è solo il 14% usa esclusivamente il dialetto. "Questo fa pensare che lo stato di salute dei dialetti sia meno grave di quanto spesso si sente dire. Certo è che i dialetti parlati oggi sono molto diversi da quelli parlati 150 anni fa, si sono per molti aspetti avvicinati all'italiano, ma questo rientra nel normale processo di cambiamento linguistico". E, sempre a proposito di dialetti, non dobbiamo confonderli con le lingue minoritarie: "Ci sono alcune regioni italiane - spiega Santipolo - in cui i dialetti sono addirittura maggioritari rispetto all'italiano, o comunque con una stessa quantità di parlanti o un numero consistente: penso al sardo, parlato da almeno un milione di persone, che non possiamo definire minoritario. C'è anche da dire che il sardo è una di quelle lingue tutelate dalla Legge n. 482 del 1999, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche".
"In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princípi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo” (Legge n. 482 del 1999)
Proprio perché non risulta sempre facile porre un confine netto tra dialetti e lingue non è dunque semplice riuscire a definire il numero preciso delle lingue parlate nel mondo: "Le stime ne segnalano settemila ma i dati più recenti, forniti da Ethnologue nel 2020, ci dicono che entro il 2100 circa tremila lingue attualmente in uso dovrebbero estinguersi: la media è di 25 lingue all'anno, dato da prendere comunque con cautela. I criteri secondo cui si può realmente capire se una lingua sia in via d'estinzione riguardano il numero di locutori in vita, l'età media dei locutori nativi e/o fluenti e la percentuale della generazione più giovane che acquisisce un uso fluente della lingua e la utilizza nella vita quotidiana [...] Anche il non uso ufficiale può contribuire a determinarne il declino e la scomparsa".
Una domanda, dunque, sorge spontanea: ha senso provare a salvare queste lingue a rischio estinzione? "Quando sono vive, le lingue vanno considerate esseri viventi e quindi ha senso pensare, anche per loro, a un vero e proprio ciclo vitale: nascono, crescono, si diffondono e poi muoiono. Questo da un punto vista 'biologico'. Va però fatta una ulteriore riflessione: la diffusione e la successiva estinzione di una lingua comporta una perdita di valori che quella lingua è in grado di trasmettere, e che altre lingue non sono in grado di fare. Va dunque presa in considerazione anche la questione etico-culturale: ogni lingua è un unicum, non solo in termini strutturali ma anche, e direi soprattutto, in termini culturali. Ogni lingua è veicolo di una diversa visione del mondo, la cosiddetta Weltanschauung. Quindi quando una lingua muore, muore anche una precisa visione del mondo. Perciò, a mio parere, le lingue andrebbero salvate e valorizzate proprio in questa prospettiva: ciascuna lingua è un patrimonio di valori e significati e talvolta, in termini più strettamente linguistici, di strutture, di fenomeni linguistici che possono essere fonologici, sintattici, morfologici di enorme ricchezza. Quindi ha senso provare a promuoverle, con la consapevolezza che non sempre ci si può riuscire: nella storia ci sono stati casi in cui questa operazione è riuscita benissimo, penso all'ebraico, ma ci sono stati casi meno fortunati e altri in cui è stato fatto un tentativo di resuscitare lingue morte, come alcune lingue celtiche parlate in Gran Bretagna: il cornico, per esempio, non ha parlanti nativi ma si sta cercando di rivitalizzarlo. Se questi tentativi andranno a buon fine non è dato sapere, dipenderà molto da quel che faranno le generazioni a cui queste lingue vengono affidate. Non è attraverso una educazione di tipo scolastico che si può pensare di ripromuovere: l'unico modo per mantenere viva una lingua è che questa venga effettivamente utilizzata da chi la parla e sia perciò strumento di comunicazione nella quotidianità e nei contesti ufficiali".
Per approfondire:
Da anni il Living Tongues Institute lavora per salvare le lingue in via d'estinzione e garantirne la sopravvivenza per le generazioni future.
Nel 1999 la Conferenza generale dell’UNESCO ha approvato la Giornata Internazionale della Lingua Madre, con l’obiettivo di preservare la diversità culturale e linguistica.
L'Enciclopedia dell'Italiano dell'Istituto Treccani rappresenta la presenza delle minoranze linguistiche in Italia.