SOCIETÀ

Camerun, presidenziali ad alta tensione: l’eterno Biya cerca l’ottavo mandato

Il suo primo mandato è roba d’altri tempi: era il 1982, l’anno della guerra delle Falkland, della morte di Breznev, dell'omicidio del generale Dalla Chiesa, l’anno del “mundial” vinto dall’Italia. Alla Casa Bianca c’era Jimmy Carter. E alla presidenza del Camerun saliva lui, Paul Biya: quello che oggi, a 92 anni e dopo sette mandati consecutivi, è il più anziano capo di stato in carica del mondo. E ancora non si rassegna a cedere il passo: alle prossime elezioni presidenziali, in programma il prossimo 12 ottobre, ha deciso di candidarsi ancora una volta per guidare altri sette anni, fin quando ne avrà 99 nel migliore dei casi, lo stato dell’Africa centrale. Sulla scheda elettorale gli oltre 15 milioni di votanti troveranno un numero record di sfidanti, ciascuno deciso a scalzare l’ingombrante, fragile, malato, autoritario, controverso Biya; che tuttavia, proprio grazie alla frammentazione delle forze di opposizione, incapaci di trovare un candidato comune, per divergenze e rivalità politiche evidentemente insanabili, potrebbe anche riuscire a restare in sella. Elezioni che arrivano comunque in un contesto di crescente tensione sociale: con il 23% dei camerunesi che vive al di sotto della soglia di povertà (soprattutto nelle zone rurali delle regioni settentrionali, particolarmente soggette a inondazioni e periodi prolungati di siccità), una disoccupazione in drammatico aumento (secondo il deputato Gabriel Fandja, presidente della commissione per l’istruzione all’assemblea nazionale, il dato reale arriva addirittura al 74%) e un accesso all’acqua potabile ancora profondamente insufficiente (secondo un’indagine dell’Istituto Nazionale di Statistica solo il 29% delle famiglie camerunesi ha accesso alla rete idrica pubblica, che peraltro registra una dispersione del 53% sulla rete, per guasti e allacciamenti non autorizzati), nonostante gli obiettivi ambiziosi del Piano Nazionale di Sviluppo, redatto dal governo camerunense e dall’Unicef, che prevede di raggiungere entro il 2035 l’accesso all’acqua potabile per tutti nelle aree urbane e una copertura dell’85% in quelle rurali. La Cameroon Water Utilities Corporation (Camwater), la società pubblica concessionaria del servizio di acqua potabile, ha firmato pochi giorni fa a Yaoundé un memorandum d’intesa con la società ingegneristica cinese CGCOC per l’attuazione entro il 2045 di un progetto di “riabilitazione e rafforzamento dei sistemi di approvvigionamento di acqua potabile” in 10 città del paese, da Abong-Mbang a Ndokayo (a Est) a Guidiguis (estremo Nord), da Kribi (Sud) a Mbandjock e Monatélé (Centro).

Dalla sua indipendenza, conquistata dalla Francia nel 1960, il Camerun ha conosciuto soltanto due presidenti della Repubblica: quello attuale Paul Biya e il suo predecessore Ahmadou Ahidjo, che nel 1984 tentò un colpo di stato per riprendersi il potere, e che dopo il fallimento fu costretto all’esilio (morì in Senegal nel 1989). E questo rende il clima dell’importanza della posta in gioco oggi. Perché è vero che il Camerun, proprio grazie alla straordinaria longevità politica del suo presidente, ha rappresentato in questi ultimi decenni uno degli esempi di maggiore stabilità in una regione stabilmente attraversata da turbolenze, violenze, colpi di stato (dal Ciad alla Repubblica democratica del Congo, alla Nigeria, per fare soltanto qualche esempio di nazioni vicine). Ma a quale prezzo? Sono in molti, ancora oggi, a considerare Paul Biya un dittatore, e il suo un regime che di democratico mantiene soltanto un’apparenza. Il partito che lo sostiene, il nazionalista Cameroon People’s Democratic Movement (CPDM) punta proprio sull’enorme esperienza di Biya, proponendo la sua candidatura come garanzia di “saggezza e temperanza”. «Voglio continuare a garantire la sicurezza e il benessere dei camerunensi, soprattutto delle donne e dei più giovani», ha dichiarato, annunciando la sua intenzione a ricandidarsi, concedendo perfino una nota di ottimismo: «Il meglio deve ancora venire». Di tutt’altro tenore la “lettura” delle opposizioni, che hanno denunciato a gran voce i rischi di un eventuale prolungamento dell’epopea di Biya: uno scenario che viene descritto come “irrealistico” o addirittura “pericoloso”, proprio perché lo stato di salute del presidente è sempre più fragile. Poi però c’è il giudizio di merito, sul suo operato. In un “ritratto” di Paul Biya, pubblicato nel 2021, il sito d’informazione Focus on Africa riassumeva così i punti salienti del suo mandato: «Dopo aver sventato il golpe del 1984 diventò autoritario. La repressione è stata spietata: centinaia di persone sono state uccise, soprattutto nel nord del paese. Nel 1980 il Camerun era il quarto produttore di cacao al mondo, aveva un tasso di crescita molto alto (13% nel 1981) ed era considerato uno stato a medio reddito. Dal 1986 è diventato un paese con molta gente povera, infrastrutture terribili e un altissimo tasso di corruzione. All’inizio degli anni ‘90, la povertà e l’autoritarismo hanno spinto la popolazione a ribellarsi. Cominciarono a scioperare e a causare la disobbedienza civile, la cosiddetta opération villes mortes. Come risultato della pressione popolare, nel 1992 Biya finse di aprirsi a un sistema multipartitico e indisse le elezioni presidenziali. I risultati ufficiali hanno visto il presidente uscente vittorioso con il 40% dei voti contro il 36% del principale candidato dell'opposizione. I brogli elettorali erano stati evidenti. Nel 1997, l'opposizione boicottò le elezioni e Biya ottenne il 92,6% dei voti. Il dittatore camerunese è stato rieletto nel 2004 con il 70,9% dei voti. L’apertura a un sistema multipartitico era solo per amore delle apparenze. In realtà, Biya creò centinaia di piccoli partiti, che controllava segretamente, con l'obiettivo di indebolire l’opposizione. La libertà di stampa è praticamente inesistente: la televisione pubblica è controllata con il pugno di ferro dagli uomini del presidente e i pochi giornali esistenti vengono spesso censurati se osano attaccare il governo. La magistratura non è un organo indipendente perché i giudici sono nominati direttamente dal presidente e gli oppositori politici sono perseguitati o arrestati».

Oppositori in galera

E chi, negli anni, ha tentato di opporsi a questo strapotere, a queste irregolarità, non ha avuto buona sorte. Nel 2018 l’opposizione aveva individuato il candidato giusto per spezzare la catena del potere di Biya: Maurice Kamto, docente di diritto e fondatore del Cameroon Renaissance Movement (MRC). Ma al termine della tornata elettorale di ottobre, tra le più controverse della storia del Camerun, Biya è risultato comunque vincitore. Kamto ha denunciato i brogli, ma pochi mesi dopo è stato arrestato, con altri 500 attivisti del suo partito. Ha anche tentato di candidarsi alle elezioni di domenica prossima, ma la commissione elettorale Elecam ha trovato il modo di respingere la sua candidatura.

Quindi, dietro questa patina di apparente tranquillità, è evidente che in Camerun stia ribollendo la rabbia di una società civile che sembra pronta a esplodere. Durante le udienze pre-elettorali al Consiglio Costituzionale, chiamato a decidere quali fossero le candidature presidenziali ammissibili, ci sono stati scontri e disordini, con lancio di lacrimogeni e decine di manifestanti arrestati. Un nutrito gruppo di personalità politiche locali, assieme a organizzazioni di insegnanti e cittadini volontari, si sta mobilitando per monitorare i circa 30mila seggi elettorali, proprio per paura di brogli nelle urne e poi nella compilazione dei risultati elettorali. Il 2 settembre scorso perfino l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha firmato una nota ufficiale per esprimere le sue preoccupazioni: «Le crescenti restrizioni allo spazio civico e democratico in Camerun in vista delle elezioni presidenziali di ottobre sollevano timori sul fatto che gli elettori possano esprimere liberamente la loro volontà», ha scritto Türk, esortando il governo camerunense ad agire rapidamente “per garantire un ambiente favorevole a elezioni libere, trasparenti, inclusive e autentiche: purtroppo sembra che questo non sia il caso del Camerun». L’Istituto Analisi Relazioni Internazionali (IARI) ha così definito, pochi mesi fa, la situazione del Camerun: «Una nazione sull’orlo del collasso, dove conflitti interni, instabilità politica e interessi internazionali si intrecciano silenziosamente, preparando un’esplosione che pochi vedono arrivare».

Scontri e violenze nelle regioni anglofone

I principali timori si concentrano nelle regioni anglofone del Camerun, nel nord-ovest e nel sud-ovest del paese, che inizialmente chiedevano una forma di autonomia amministrativa, ma che il governo di Yaoundé non vuole assolutamente concedere, rispondendo con una repressione sempre più violenta. La guerra civile, in corso dal 2016 tra forze governative e movimenti separatisti, ha già provocato migliaia di morti: tremila soltanto nel 2025, secondo le cifre fornite dall’International Crisis Group. I gruppi armati delle regioni anglofone chiedono la totale secessione dal Camerun, prospettando la formazione dello stato indipendente di Ambazonia. All’inizio di settembre, in due distinte imboscate, sono stati uccisi 13 soldati camerunensi. È assai probabile che in quelle regioni, come nell’estremo nord in mano ai combattenti islamici nigeriani, i gruppi armati possano ostacolare, o bloccare del tutto, le operazioni di voto. 

L’opposizione è divisa, per motivi politici, religiosi, ma soprattutto etnici (da un lato il gruppo dei bamileke, dall’altro i bulu-beti, francofoni, cui appartiene anche il presidente Biya). Al punto che i principali sfidanti dell’anziano presidente sono due suoi ex funzionari di governo: Issa Tchiroma Bakary, ex ministro del lavoro, e Bello Bouba Maigari, che Biya nominò suo primo ministro quando prese il potere, nel 1982 (incarico breve, fu sostituito dopo nove mesi), poi ministro del Turismo. C’è anche una donna tra i candidati: Tomaino Ndam Njoya, sindaco di Foumban, leader dell’Union Démocratique du Cameroun, che pochi giorni fa ha accusato il governo e l’Elecam (l’organismo governativo preposto all’organizzazione delle elezioni) di aver organizzato “manovre fraudolente” per alterare il risultato del voto. Quasi tutti i candidati dell’opposizione, anche se in forme al momento poco conciliabili, sostengono la riforma dello stato in un sistema federale, che potrebbe in teoria attenuare le tensioni etniche e linguistiche. Anche se alla base resta il tema della corruzione (il Camerun è al 140° posto su 180 nell’annuale classifica stilata da Transparency International), dei favoritismi, delle povertà ignorate, dei diritti civili umiliati. Il clima resta teso: e le porte della politica restano drammaticamente chiuse per i più giovani, in un paese dove l’80% della popolazione (28 milioni) ha meno di 40 anni. Come rileva l’International Crisis Group: «Il ballottaggio del 2025 potrebbe incanalare l’esasperazione di una generazione nei confronti di un establishment politico che li ha messi da parte per troppo tempo».

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