SOCIETÀ

L’Italia, la Francia e quella volta che pensarono a un’atomica europea

La telefonata, ieri 12 febbraio, tra il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, e il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, costituisce un nuovo piccolo apice nelle relazioni ondulatore tra i due paesi cugini divisi (e uniti) dalle Alpi. «I due presidenti hanno riaffermato l'importanza per entrambi i Paesi della relazione franco-italiana, nutrita da legami storici, economici, culturali e umani eccezionali», recita una nota dell'Eliseo.

Ma c’è un altro episodio, più recente – sviluppatosi tra il 1956 e il 1958 – che invece segna un nuovo e non marginale picco nelle relazioni tra i due paesi: il progetto per realizzare la “bomba europea”. L’episodio è venuto alla luce, negli anni ’90 del secolo scorso, grazie anche a un intervento sulla rivista scientifica Sapere di Francesco Calogero, il fisico teorico romano che è stato segretario generale del Movimento Pugwash e, come tale, ha ritirato il premio Nobel per la Pace nel 1995. Sulla scorta di quell’intervento ha detto la sua anche uno dei protagonisti della vicenda, il democristiano Paolo Emilio Taviani. Infine la storia è stata ricostruita con una ricca documentazione da Paolo Cacace in un libro, L’atomica europea, pubblicato da Fazi nel 2004 con una prefazione dell’ambasciatore Sergio Romano.

L’onda nelle relazioni tra Francia e Italia presente da secoli alte vette e profonde vallate. Basti ricordare le incursioni di Napoleone che mettono termine alla millenaria indipendenza della Repubblica di Venezia, così come il sostegno decisivo che Napoleone III diede all’unità d’Italia. Più in là nel tempo: il bombardamento di Genova a opera della flotta francese nel 1684, così come l’entusiastica accoglienza che Francesco I accordò a Leonardo da Vinci, ospitandolo nel castello di Clos-Lucé, vicino ad Amboise. Proprio quest’anno celebriamo i cinquecento anni dalla morte del grande artista-scienziato che si spense proprio a Clos-Lucé nel 1519 avendo il re di Francia al suo capezzale.

Questi e infiniti altri episodi di avvicinamento e di allontanamento hanno segnato la storia dei due paesi in una maniera che è difficile da sopravvalutare. 

Vallate profondissime sono state scavate, tra Italia e Francia, anche in tempi molto recenti. E di quelle vicende conflittuali ancora portiamo il segno. Come non ricordare –  di qua come al di là delle Alpi – l’inopinata aggressione nel giugno 1940 di Mussolini al cugino ferito dall’invasione nazista? 

La vicenda, per sommi capi, andò così. C’era in quel periodo una certa tensione tra alcuni paesi dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti: ovvero tra alleati. In particolare alla Francia e alla Gran Bretagna non va giù la mancata copertura avuta da Washington nella crisi di Suez del 1956. In ambienti europei matura così l’idea che per evitare di essere vasi di coccio tra due vasi di ferro (USA e URSS) occorre dotarsi di un arsenale nucleare proprio. Indipendente da quello degli Stati Uniti.

La Francia non ne fa mistero. Ma probabilmente – come notano con una certa sufficienza gli americani – il paese transalpino non ha la forza per realizzare da solo l’ambizioso progetto. Fatto è che vengono coinvolte nell’iniziativa anche le due potenze sconfitte dieci anni prima nel Secondo conflitto mondiale, Germania e Italia. In sette diverse occasioni – nelle cosiddette “riunioni del caminetto” – si ritrovano in gran segreto i tre ministri della difesa: il francese Jacques Chaban-Delmas, il tedesco Franz Joseph Strauss e l’italiano Paolo Emilio Taviani. 

L’iniziativa è oltre il limite della legalità. Italia e Germania, potenze sconfitte, non potrebbero dotarsi dell’arma atomica. Ma, dopo due anni di discussioni, l’accordo c’è. Il progetto sarà finanziato al 45% dalla Francia, al 45% della Germania e per il restante 10% dall’Italia. Il primo impianto per la realizzazione dell’atomica sarà a Pierrelatte, in Francia. Ma, alla fine del 1958, il progetto dell’”atomica europea”, così come è nato improvvisamente, è tramontato.

Tre sono i fattori che ne determinano la fine.

Il primo è che si tratta di un progetto debole. Magari sufficiente nella sua organizzazione tecnica, ma senza le basi politiche necessarie. Non c’è una struttura di comando e controllo ben definita. Non si sa chi avrà “le chiavi”

Il secondo è che la Francia punta su un’alternativa: il generale Charles De Gaulle, non appena diventato presidente, inizia a coltivare l’idea (poi realizzata) di allestire un arsenale interamente francese: lo chiamerà force de frappe.

Il terzo motivo è l’opposizione manifestata dagli Stati Uniti (e forse anche dal Regno Unito, tenuto fuori dai giochi dei continentali). È un’opposizione piuttosto dura. Che anche Taviani, amico degli americani, sente. Ed è un’opposizione che avrà seri riflessi sulla storia d’Italia.

Il 3 settembre 1957, viene redatto un rapporto dell’Operations Coordinating Board, un comitato creato dal presidente americano Dwight D. Eisenhower, intitolato La minaccia di Mattei agli obiettivi degli Stati Uniti. Il titolo parla chiaro: Enrico Mattei con la sua ENI potrebbe «usare i suoi privilegi e la sua influenza per frustrare l'espansione dell'impresa privata in Italia attraverso l'espansione nel settore chimico e nucleare». Gli USA vogliono sviluppare il nucleare civile e portarlo in tutto il mondo, vendendo centrali chiavi in mano ai paesi amici. Mattei con la sua idea di indipendenza energetica dell’Italia rappresenta un ostacolo – anzi, una minaccia – al progetto. L’Italia è un piccolo paese. In più, ospita il più forte partito comunista d’occidente. La sua autonomia in campo nucleare – civile e militare – rappresenta un pericolo. Come spiega Paolo Cacace: «Non si può escludere che la cautela americana verso Mattei fosse connessa in qualche modo alla partita che contemporaneamente si svolgeva sul terreno delle iniziative nucleari». 

Le due vicende forse sono connesse. Il progetto militare tramonta. E in capo a pochi anni Enrico Mattei viene ucciso (da una bomba posta nel suo aereo da membri della mafia). Si aggiunga a questo il fatto che, nei medesimi mesi in cui si consuma la vicenda Mattei, il leader del progetto nucleare civile italiano, Felice Ippolito, e il mentore della ricerca farmaceutica di punta, Domenico Marotta, vengono arrestati con accuse che molti ritengono vistosamente esagerate se non del tutto infondate. E poi la morte in un incedente stradale dell’ingegnere Mario Tchou, il capo del Dipartimento Elettronica dell’Olivetti di Ivrea che aveva realizzato il primo computer elettronico a transistor al mondo. Il sogno di un’Italia tecnologicamente avanzata viene improvvisamente e fortemente eroso. 

Non vogliamo tirare conclusioni senza alcuna prova documentale. Ma forse una qualche labile relazione esiste tra il picco nelle relazioni tra Italia e Francia (e Germania) che si è manifestato con le “riunioni del caminetto” e la frana immediatamente successiva. La collaborazione con la Francia prosegue, nell’ambito del Mercato Comune Europeo e poi dell’Unione Europea. Ma l’Italia non è più la stessa. 

 

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