La mostra a cura dell’Accademia Carrara si è chiusa a metà maggio a Bergamo e, date le circostanze, non la si è potuta prorogare. Peccato, perché l’hanno vista in pochi. Però l’esposizione resta degna di nota, a partire dal titolo: Tiziano e Caravaggio in Peterzano.
La mostra era dedicata a Simone Peterzano, un pittore del Cinquecento operativo tra Venezia e Milano. Nella città veneta l’artista poco conosciuto ha avuto per Maestro (la M maiuscola è voluta) Tiziano. Nella città lombarda Peterzano è stato il Maestro di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Ora è chiaro il titolo della mostra bergamasca: Simone Peterzano (1539-1599) è il ponte che unisce due grandissimi della pittura: Tiziano e Caravaggio, appunto. E tra i tanti meriti che l’esposizione ha avuto e ha tuttora c’è proprio quello di indurci a riflettere il ruolo che hanno i maestri (o meglio, i Maestri con la M maiuscola) nel pensiero creativo.
Pensando a Peterzano la domanda è possibile un’arte senza maestri? Gian Lorenzo Bernini nelle note autobiografiche dettate al figlio si vanta di non averne avuto, di maestri. E anche Michelangelo ha tentato di accreditarsi come un “artista senza maestri”. Eppure Michelangelo dei maestri – anzi, dei Maestri – li ha avuti. Primo fra tutti, maestro per via diretta, è stato il Ghirlandaio. Ma il Ghirlandaio ha avuto a sua volta come Maestro il Verrocchio. Il quale è stato Maestro anche di Leonardo da Vinci e del Perugino, il Maestro diretti di Raffaello Sanzio. La bottega del Verrocchio è dunque capofila di una catena di artisti e di Maestri. Una vera e propria scuola artistica, fucina di creatività.
Più indietro nel tempo, non ha forse Giotto avuto per maestro Cimabue? E più avanti, non ha forse Picasso avuto diversi maestri, compreso il padre (d’altra parte anche Raffaello ha avuto per maestro il padre). Non esiste nessun genio creativo fiorito in un deserto. Tutti hanno avuto uno e più maestri. Resta da decidere se si è trattato di maestri o di Maestri. Per esempio, lo stesso Peterzano è stato un Maestro come Tiziano o un maestro che ha solo coltivato il fiore giovanile del Caravaggio? Lasciamo la risposta agli storici dell’arte. E torniamo a una domanda più generale: il genio creativo ha bisogno di maestri?
E rivolgiamo questa domanda all’ambito scientifico. Si diventa grandi scienziati se si hanno grandi Maestri?
Non c’è dubbio che dopo la riforma dell’università proposta e realizzata all’inizio del XIX secolo a Berlino da Wilhelm von Humboldt la figura del Maestro è diventata dominante e lo è stata a lungo. Nelle università europee intorno si sono create vere e proprie scuole di pensiero scientifico intorno alla figura di un Maestro. Talvolta queste scuole hanno avuto un’estensione temporale piuttosto lunga. Per tornare ad Amaldi, ha avuto per Maestro Enrico Fermi ed è diventato a sua volta maestro di un nugolo di fisici di svariate generazioni di fisici, compresa quella di Bernardini. Quella nata a via Panisperna a Roma è stata (è ancora) una catena lunga di creatività.
Qualche altra volta queste scuole sono state un’esplosione di luce improvvisa che poi si è dispersa. Prendiamo a esempio il chimico italiano di origini siciliane Stanislao Cannizzaro, che ha avuto come Maestro a Pisa il calabrese Salvatore Piria, e che appena dopo l’Unità d’Italia ha fondato a Roma una scuola formidabile, avendo radunato intorno a sé i giovani più brillanti d’Italia. Nella città eterna quella scuola è durata relativamente poco, perché gli allievi del Maestro sono andati a occupare le principali cattedre di chimica in moltissime città italiane. La scuola si è dispersa. Ma a sua volta ha generato altre scuole, come quella di Giacomo Ciamician a Bologna.
Dunque, sembrerebbe che anche nella scienza non c’è creatività senza Maestri. E tuttavia non è sempre così. Prendiamo proprio il caso di Enrico Fermi, che ha inaugurato la scuola di fisica che in pochi anni è diventata la principale al mondo nella scienza dell’atomo (tra il 1934 e il 1938, almeno). Ebbene Fermi non ha avuto Maestri. E tutto sommato neanche maestri. È stato un autodidatta, che ha appreso da sé la “nuova fisica”: la relatività e la fisica quantistica.
E che dire di Albert Einstein, che la teoria della relatività se l’è costruita tutta da solo e che è stato anche uno dei tre padri fondatori della fisica dei quanti? Non solo non ha avuto Maestri, ma nel suo periodo giovanile prima dell’”anno mirabile” del 1905 è stato lontano dall’università e ha lavorato in solitario (con la moglie Mileva e alcuni amici con cui confrontarsi) a Berna mentre era impiegato presso l’Ufficio Brevetti.
D’altra parte lo stesso Galileo Galilei è stato un genio “senza Maestri”, anche se di maestri ne ha avuti alcuni (come Ostilio Ricci, presso l’Accademia delle Arti del Disegno a Firenze). Ma nessuno dei maestri di Galileo può essere considerato la figura di riferimento di una scuola cui il genio toscano ha aderito. Galileo si è portato alla frontiera della conoscenza e nel fare questo è stato, in buona sostanza, un autodidatta. Come Einstein e Fermi.
Allora, tornando a Simone Peterzano – sia allievo di un grande Maestro e maestro (o Maestro) di un grande Allievo – cosa ci dice intorno alla figura del Maestro? E cosa ci dicono gli esempi di creatività scientifica che abbiamo citato?
Beh, ci dicono che la figura del Maestro è molto utile. Non siamo in grado di dire se Simone Peterzano è stato un artista grande quanto il suo Maestro e quanto il suo Allievo: tocca ai critici d’arte più esperti dirlo. Certo ha saputo coltivare e non inibire la capacità creativa del Caravaggio, avendola respirata alla scuola di Tiziano.
Pur non essendo stato un Allievo ma solo un allievo, Simone Peterzano è stato un Maestro e non solo un maestro.
Allora in questo sta il segreto sia del Maestro: stimolare la creatività dei suoi allievi e non inibirla. In questo secondo caso il Maestro cessa di essere tale e diventa semplicemente il Barone che come Cronos divora i suoi figli. Senza maestri o addirittura inibiti da un barone la creatività di molti viene gelata. Ma la storia ci dice che i (o, almeno, alcuni) geni assoluti – come Galileo, Einstein o Fermi – riescono comunque a emergere. E fanno della loro solitudine una virtù.