SCIENZA E RICERCA

Marie Tharp, la scienziata che rivoluzionò la geologia

Quella di Marie Tharp è una storia inusuale e avvincente: racconta la perseveranza di una donna scienziata che, nonostante gli ostacoli della sua epoca, riesce ad affermarsi e a rivoluzionare l’orizzonte della disciplina che studia.

Marie Tharp è una geologa e una matematica. Mente brillante, è, nel 1949, una delle prime donne a lavorare al Lamont-Doherty Earth Observatory (allora denominato Lamont Geological Observatory) della Columbia University. Qui conosce il geologo Bruce Heezen, al quale viene affiancata fin da subito: tra i due si forma un sodalizio professionale che sarà ricordato, visti i risultati raggiunti, come una delle collaborazioni più fruttuose per la geologia del ventesimo secolo.

I due si dedicano allo studio dei fondali oceanici: dopo la seconda Guerra Mondiale, molte tecnologie sviluppate per scopi bellici vengono riutilizzate come strumenti di ricerca, e i dati sulle rilevazioni di profondità, raccolti anche da Heezen in numerose spedizioni nell’Atlantico, si accumulano. Tharp, in quanto donna, non può imbarcarsi: secondo le tradizioni marinaresche, la presenza di una donna a bordo è una sfida alla buona sorte. Così, la giovane scienziata si dedica al minuzioso compito di studiare e interpretare i dati numerici che arrivano all’Osservatorio.

I risultati dei primi mesi di calcoli e analisi sono sorprendenti: sembra che, nel mezzo dell’oceano Atlantico, vi sia una profonda faglia a partire dalla quale il fondale si espande. «Quando illustrai la mia scoperta a Bruce [Heezen] – racconta la stessa Tharp in una sua memoria –, lui replicò: “Non può essere. È troppo simile alla deriva dei continenti”. A quel tempo, dar credito alla teoria della deriva dei continenti era quasi un’eresia scientifica. Quasi tutti, negli Stati Uniti, credevano che la deriva dei continenti fosse impossibile. Inizialmente, Bruce liquidò la mia interpretazione come “chiacchiere femminili” [girl talk]».

Il mondo della geologia si trova, in quei decenni, inconsapevolmente alle porte di una rivoluzione scientifica. Come spiega Marco Romano, ricercatore al Dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Roma La Sapienza, la teoria della tettonica delle placche, proposta da Alfred Wegener già all’inizio del Novecento, era, negli anni ’50 e ’60, ancora molto osteggiata dagli ambienti accademici. «In effetti, accettare l’idea che i continenti si muovessero doveva sembrare, all’inizio del ventesimo secolo, tanto strano quanto, nel mondo antico, credere all’idea che la Terra potesse muoversi su se stessa e intorno al Sole. Per decenni, gli scienziati che aderirono all’ipotesi della deriva continentale vennero considerati come eccentrici dal mainstream geologico e geofisico sia in Europa che negli Stati Uniti. La teoria venne osteggiata in particolar modo dai geofisici, che consideravano impossibile dal punto di vista meccanico l’imponente movimento di continenti. Tra i critici più duri figura il geofisico Harold Jeffreys, che diede il via all’opposizione più tenace alla teoria di Wegener, la cosiddetta “scuola della Terra ultrasolida”, che considerava la Terra come caratterizzata da una tenacia troppo grande per permettere ai continenti di migrare sulla sua superficie».

Le dispute che, nei primi decenni del ’900, videro opporsi sostenitori e detrattori della teoria di Wegener persero progressivamente forza, e a prevalere furono le posizioni degli scettici, tra cui si annoverava, ad esempio, un eminente paleontologo statunitense, tra i padri della sintesi moderna del darwinismo, George Gaylord Simpson. «Negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso – continua Romano –, la teoria di Wegener era dunque ormai archiviata, e si erano affermate ipotesi alternative per interpretare le grandi strutture della Terra, che erano spiegate dalla teoria delle geosinclinali, insegnata nelle università italiane fino agli anni ’70. Il tassello mancante era una conoscenza approfondita dei fondali oceanici: la chiave di volta che avrebbe riscattato l’intuizione di Alfred Wegener era nascosta sotto il mare. Restava a una giovane donna il compito di scovarla».

I dati raccolti da Heezen e le interpretazioni che ne dava Tharp erano un segnale d’allarme, evidenze anomale che mostravano l’inadeguatezza del “paradigma scientifico” fino a quel momento dominante. La tettonica delle placche era una teoria profondamente rivoluzionaria – secondo il significato dato a questo termine da Thomas Kuhn – «perché costringeva a ripensare essenzialmente quasi tutti i grandi temi della geologia, dalla tettonica, all’orogenesi (la formazione delle montagne), alla biogeografia», afferma Romano. Ecco perché, in un primo momento, fu quasi naturale per Heezen ritenere le osservazioni della sua collaboratrice una sciocchezza di ragazza.

Eppure le evidenze si accumulavano, ed era sempre più difficile ignorarle. Il lavoro di Marie Tharp, infatti, consisteva nel trasporre le misurazioni di Heezen in immagini e mappe: veniva così svelata, poco a poco, la morfologia dei fondali oceanici. «Heezen passava lunghi periodi in mare per raccogliere dati e, anche a causa dei corsi che doveva tenere alla Columbia University, non aveva tempo per elaborarli e analizzarli. Tharp, quindi, metteva mano ai dati, faceva i calcoli essenziali alla loro interpretazione e produceva i diagrammi fisiografici: fu realmente la prima a trasformare questi dati in forma visuale. La culminazione del lavoro fu la “World Ocean Floor Panorama, pubblicata da Heezen e Tharp nel 1977».

Questa mappa – disegnata a mano da un pittore austriaco, Heinrich Berann – segna un punto di svolta, come Marco Romano afferma anche in un ritratto di Tharp pubblicato su Science. «Il grande merito di Tharp – sostiene il ricercatore – è stato quello di trasformare i fondi oceanici in oggetti tangibili, osservabili e dunque accessibili a interpretazioni concettuali diverse, a volte anche contrastanti. Proprio grazie alla realizzazione visuale dei fondi oceanici, il lavoro di Heezen e Tharp ha contribuito senza dubbio a rintrodurre in geologia un concetto mobilista, dando nuova linfa alla teoria della deriva continentale come proposta da Wegener all’inizio del secolo. Le ricerche condotte dai due geologi sulle zone di fratturazione nelle dorsali oceaniche, successivamente identificate e descritte come “faglie transformi” da Tuzo Wilson, hanno inoltre fornito un grande supporto alla successiva teoria della tettonica delle placche, la cui affermazione costituisce una vera e propria rivoluzione scientifica in campo geologico».

È curioso, tuttavia, come Tharp e Heezen non si fecero direttamente partecipi di questa rivoluzione, ma ne furono dei precursori in parte, forse, inconsapevoli. Romano puntualizza che «quando Tharp, nel 1952, si accorse dell’esistenza di un movimento di apertura al centro delle dorsali oceaniche, sia lei che Heezen non lo interpretarono come evidenza a favore della deriva continentale, ma spiegarono il fenomeno essenzialmente come una semplice espansione del fondo oceanico. I due scienziati erano fermamente contrari alle ipotesi di deriva continentale, considerate troppo radicali; tuttavia, proprio l’enorme mole di dati da essi raccolta, e la traduzione di questi in rappresentazioni visuali fino a quel momento inedite, ispirò altri geologi, tra cui il già citato Tuzo Wilson, aprendo la strada alla rivalutazione delle ipotesi di Wegener e, in seguito, alla rivoluzione della tettonica delle placche. Questo aspetto della vicenda ha portato storici come Cathy Barton a considerare Heezen e Tharp i Tycho Brahe della “rivoluzione copernicana” delle Scienze della Terra: proprio come il famoso astronomo, infatti, misero a disposizione dati empirici essenziali per il mutamento di paradigma, senza riuscire tuttavia a rompere definitivamente con le vecchie concezioni».

Tharp ha contribuito a rinnovare dalle fondamenta la sua disciplina, ma può essere considerata un’innovatrice anche per la sua capacità di affermarsi precocemente, grazie alla sua abilità e competenza, in un ambito, come quello della ricerca scientifica, molto conservatore e poco aperto alle donne. Romano sottolinea che «a partire dal 1965, le venne finalmente concesso di partecipare a diverse campagne oceanografiche, e divenne ricercatrice a bordo della Eastward, una nave della Duke University. In un periodo storico in cui le donne erano essenzialmente escluse dalla carriera scientifica in gran parte delle istituzioni e dei centri di ricerca, Marie Tharp riuscì invece a farsi strada in un ambiente molto competitivo e offrì un importante contributo alla cartografia geologica e alla geologia, producendo le prove visive essenziali per la successiva rivoluzione della tettonica delle placche.

Storie come quella di Marie Tharp e di tante altre donne di scienza – Marie Curie, Rita Levi Montalcini, Rosalind Franklin, Maria Goeppert-Mayer, Jane Goodall, Lynn Margulis, Gertrude Elion, Margaret Hamilton e molte altre – hanno dimostrato l’importanza del lavoro e della ricerca condotta dalle donne in tutti gli ambiti dello scibile umano. Dalla fisica all’immunologia, dall’astronomia alla medicina, dal comportamento animale all’invenzione delle reti wireless, dagli studi sul cancro allo sviluppo del software per portare l’uomo sulla Luna, le donne hanno ricoperto un ruolo fondamentale nell’avanzamento della conoscenza umana. Dopo molti anni, questo grande contributo è ormai largamente apprezzato: non più relegate in un lavoro “dietro le quinte”, le donne stanno finalmente divenendo attrici consapevoli e di primo piano nello spettacolo della scienza».

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