CULTURA

Mastroianni, la mostra-chimera e l’omaggio mancato di Roma

Come si racconta la vita di un grande attore con una mostra? La sfida è complicata. Ricreare le sue interpretazioni, le ambientazioni e i contesti dei suoi lavori richiede un enorme sforzo di sintesi temporale e spaziale: sale più o meno anguste devono sostituirsi a un palco, a una sala cinematografica, e divenire esse stesse luogo di spettacolo. Vanno selezionati i momenti chiave: accanto ai cult, a sequenze iconiche irrinunciabili, si dovrebbe dare spazio a opere minori ma rappresentative di una fase, di un carattere del protagonista, o al contrario preziose testimonianze di eccezioni, cambi di passo, ombrosità o cadute. In una parola, nell’impossibilità di ripercorrere una carriera artistica in spazi e tempi comunque inadeguati, non resta che evocare, suscitando emozioni e ricordi.

Se poi l’attore è legato a una città al punto di diventarne un simbolo, un elemento del paesaggio reale e della memoria, organizzare una mostra nei luoghi cui lo assoceremo per sempre è quasi un azzardo. E Marcello Mastroianni sta a Roma (e Cinecittà), per rimanere in ambito cinematografico, come Woody Allen sta a Manhattan o Truffaut alla Rive Droite. Per chiunque ami la capitale, e non detesti il cinema, è impossibile attraversarne gli incroci, visitarne i quartieri, senza che la voce, il viso di Marcello non compaiano naturalmente, suscitati dalla visione di una piazza o un monumento. Non è solo l’inflazionatissima Fontana di Trevi della Dolce vita: sono l’edilizia popolare fascista di Una giornata particolare, le periferie dei Soliti ignoti, il Testaccio di Dramma della gelosia, ma anche la festa a Trastevere nell’episodio tagliato della Roma felliniana. Una capitale di cui Mastroianni è stato l’interprete ironico, trasognato, sensibile, laddove Sordi ne incarnava l’animo borghese, cinico e furbesco. Per un vero omaggio di Roma a Mastroianni basterebbe questo, e sarebbe già un’opera ambiziosa: un viaggio per i rioni, i sobborghi, il litorale, illustrando la magia di ogni angolo della città trasfigurato, eppure riconoscibile, attraverso storie e sogni cui Marcello ha dato vita insieme ai maggiori maestri del cinema italiano.

La mostra al Museo dell’Ara Pacis, allestita fino al 17 febbraio, sceglie un approccio tradizionalmente biografico-cronologico. Parte dall’infanzia in Ciociaria e si conclude con le riflessioni sulla morte tratte dal documentario Mi ricordo, sì, io mi ricordo, girato dalla compagna Anna Maria Tatò poco prima della scomparsa dell’attore. Ogni sala rappresenta una fase della vita e della carriera di Mastroianni: gli esordi a teatro, le prime esperienze cinematografiche, la consacrazione, l’evoluzione dello stile e delle scelte d’attore. L’impostazione è torrenzialmente fotografica. Centinaia di immagini, spesso splendide, a volte inedite, campeggiano sui muri a costituire il nerbo della mostra, a testimoniare la cavalcata di Marcello lungo cinquant’anni di capolavori del cinema (e ottimo teatro, all’inizio). Le didascalie si risolvono in scarni, solitari pannelli; le sequenze cinematografiche prescelte, troppo poche, troppo brevi, troppo viste, pretendono di essere autosufficienti, senza che ne venga giustificato l’inserimento, quando avrebbero dovuto essere la colonna portante della narrazione. Niente sulla ricezione critica, sul fenomeno sociale. Qualche costume di scena, qualche (bellissimo) manifesto; una spruzzata di aneddoti, alcuni già sentiti, un pizzico di testimonianze, e ancora foto, foto, foto.

Ma una mostra che vuole raccontare l’attore più famoso del Paese, spiegare cosa abbia significato per il nostro cinema e, in generale, la nostra società, non può limitarsi a esibirlo in un’alluvione di magnifiche immagini, e ritenere con questo di avere esaurito il proprio compito. Sorprende che regista dell’operazione sia la Cineteca di Bologna, una delle più serie istituzioni di cultura cinematografica italiane: sembra quasi che, consapevoli dell’entità dello sforzo richiesto, si sia optato per un’impostazione minimale, di facile impatto, rinunciando a ogni intento critico e didattico. Si esce dalla mostra con l’amaro in bocca: chi ama i film di Mastroianni non è riuscito a sorprendersi; chi è affascinato dal suo corpo, ma non ha idea di cos’abbia rappresentato, ha potuto ammirarlo in ogni espressione possibile. Ma del suo cinema sa quanto prima.

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