CULTURA

Michel Piccoli, un ritratto

Il giorno in cui è stata comunicata la morte di Michel Piccoli (avvenuta qualche giorno prima) un amico, animatore di una rivista on line, mi ha telefonato chiedendomi di indicare, a caldo, il film più indicativo da lui interpretato. Avrei voluto cavarmela dicendo che era quasi impossibile scegliere fra tanti (e molti capolavori) ma poi- costretto- ho detto Dillinger è morto, diretto da Marco Ferreri nel 1969. Un film con un unico protagonista, per molti versi “sperimentale”. In epoca di narratività (anche ottima) imperante esce un’opera quasi senza sviluppo narrativo e introspezione, tutta affidata a gesti, comportamenti, oggetti, spazi. Verrebbe da dire che è un film “astratto”.

Poi ho preso in mano la filmografia di Piccoli, e ho avuto subito conferma del gran numero di film interpretati ( sicuramente parecchi più di cento, anche se sui giornali sono apparsi numeri fantasiosi); non sono molti che gli possono stare accanto nella storia del cinema. Si dirà che è un dato quantitativo, ma al suo livello è anche qualitativo, perché significa capacità di sapersi adattare alla diversità delle opere, ai differenti modi di girare dei registi. È una dote che si trova solo nei grandi interpreti. Poi, guardando meglio, ci si accorge che con alcuni registi si è creato un vero sodalizio: con Ferreri (quattro film oltre a quello già citato, da L’udienza a La grande abbuffata), con Luis Buñuel (cinque, dal Diario di una cameriera a Il fascino discreto della borghesia), con Manoel de Oliveira (quattro, da Ritorno a casa a Bella sempre). Siamo nella zona impervia dei capolavori. Non si è trattato solo di apprezzamento per il grande mestiere di Piccoli ma di vere consonanze. L’attore che in qualche modo diventa coautore. E va notato che si tratta di registi che hanno praticato spesso l’ironia, come ingrediente necessario per andare a fondo delle situazioni.

Sodalizio con autori affermati? Certamente, ma Piccoli ha amato anche il rischio, sposando la causa di esponenti di quelle “nuove ondate” che hanno cambiato il modo di fare quel cinema che continuiamo a chiamare della modernità, da- per restare alla Francia- Agnès Varda a Jacques Rivette, da Claude Sautet a Louis Malle a Alain Resnais. E Jean-Luc Gordard; con lui ha girato, oltre a Passion, Il disprezzo , film massacrato dalla produzione, persino rimontato; l’abbiamo di recente visto come avrebbe dovuto essere, e ancora una volta abbiamo apprezzato il contributo di un attore disponibile alla diversità di recitazione. Tanti film, con tanti registi, e anche di successo.

Tutto avrebbe contribuito a farne un attore-divo. Così non è stato: Nanni Moretti (che lo ha diretto in Habemus Papam) e Marco Bellocchio (Gli occhi, la bocca) hanno confermato che il suo atteggiamento sul set era quello di cercar di capire e non di imporsi. Un attore esordiente in cerca di modelli potrebbe mettere Michel Piccoli tra i non molti che ci hanno dimostrato come leggerezza (che è l’esatto contrario della pratica della superficie) e profondità possono andare assieme.

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