SOCIETÀ
Mobilità attiva e sostenibile, le abitudini degli italiani e gli ostacoli agli spostamenti green
Rinunciare quando possibile all’automobile a favore dei mezzi pubblici oppure prediligere soluzioni come una pedalata in bici o una camminata per raggiungere la scuola o il proprio posto di lavoro, riducendo le emissioni e guadagnando in salute.
In tutta Europa si è appena celebrata la Settimana della mobilità, con iniziative in oltre 2.700 città di 43 Paesi, e l'evento, oltre a coinvolgere e sensibilizzare sul tema i cittadini, ha anche l'obiettivo di stimolare istituzioni e amministrazioni, enti e organizzazioni a interrogarsi su come incoraggiare stili di vita più sostenibili per l’ambiente e rimuovere gli ostacoli che scoraggiano un cambio di passo nelle abitudini legate alla mobilità quotidiana.
Uno sguardo agli ultimi dati forniti dal sistema di sorveglianza Passi - iniziativa dell’Istituto superiore di sanità che indaga, attraverso interviste campionarie stratificate per sesso ed età, gli stili di vita della popolazione italiana tra i 18 e i 69 anni - rivela che nel biennio 2021-2022 il 42% delle persone ha usato la bicicletta o si è spostato a piedi per andare al lavoro, a scuola o per gli spostamenti quotidiani nel mese precedente l’intervista.
E’ quella che viene definita mobilità attiva e che se raggiunge i 150 minuti settimanali (a patto che ogni "sessione" non sia inferiore ai 10 minuti) garantisce il raggiungimento dei livelli minimi di attività fisica raccomandati dall’OMS, indipendentemente dall’esercizio praticato nel tempo libero o durante le ore di lavoro, quando non è sedentario. Camminare o andare in bicicletta per un tempo di percorrenza sufficiente a raggiungere questa soglia, rivela ancora l'Oms, fa abbassare il rischio di mortalità del 10% e riduce significativamente il rischio di ipertensione, malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, osteoporosi, depressione e alcuni tipi di cancro. Le persone che con la mobilità attiva non arrivano ai 150 minuti complessivi di esercizio moderato (o 75 minuti di attività intensa o combinazioni equivalenti delle due modalità) possono invece considerarsi solo “parzialmente attive”.
Tornando ai dati recentemente diffusi dalla sorveglianza Passi le fasce della popolazione più attive, che raggiungono i 150 minuti di movimento moderato, sono soprattutto quelle degli individui tra i 18 e i 24 anni, ma anche delle persone dai 50 e ai 69 anni. A livello territoriale la Regione dove i cittadini dimostrano la maggiore propensione a camminare o andare in bici per i propri spostamenti abituali è la Liguria con il 64,3%, seguita dalla Sardegna (59,5%), unica tra le Regioni meridionali a presentare un dato migliore rispetto della media nazionale. Sul lato opposto troviamo Calabria e Umbria dove rispettivamente solo il 20,9% e il 21,2% dei cittadini ha dichiarato di aver fatto uso della bicicletta o di essersi spostato a piedi nel mese precedente l’intervista.
A livello nazionale il 39% delle persone ha affermato di aver percorso tragitti a piedi per andare al lavoro o a scuola o per gli spostamenti abituali, mentre ad usare la bicicletta sono stati 11 italiani su 100, un dato che è lievemente in calo rispetto al 2020 quando la pandemia e gli incentivi all’acquisto delle bici (elettriche e non) avevano fatto registrare picchi di popolarità nell’uso di questo mezzo.
Al sistema di sorveglianza Passi aderiscono attualmente tutte le Regioni italiane ad eccezione della Lombardia che ha interrotto la raccolta dati a partire dal 2017: per questo motivo nella mappa qui sotto non è accompagnata da nessuna percentuale.
In strada serve più sicurezza per pedoni e ciclisti
I rischi collegati a un'eccessiva sedentarietà sono noti e incoraggiare un cambiamento degli stili di vita che sia maggiormente orientato al movimento è senza dubbio importante anche in chiave di promozione della salute pubblica. Tuttavia, parlare di propensione o abitudine agli spostamenti a piedi o in bicicletta richiede necessariamente anche qualche riflessione su un tema centrale come quello della sicurezza e sotto questo profilo, come mostrano i dati dell'Osservatorio ciclisti di Asaps, la Lombardia è la Regione con la maglia nera in Italia per numero di ciclisti che hanno perso la vita in incidenti stradali. L’ultima rilevazione è aggiornata al 27 agosto e indica che nel corso del 2023 sulle strade italiane sono morti 125 ciclisti, 27 dei quali in Lombardia. Il problema è fortemente sentito a Milano dove dall’inizio dell’anno ad oggi sei ciclisti e otto pedoni sono rimasti vittime di incidenti mortali che hanno portato al centro del dibattito la questione della sicurezza per gli utenti vulnerabili della strada.
La percezione di pericolo, osserva uno specifico osservatorio guidato dal professor Mario Abis dello IULM, negli ultimi mesi ha indotto un ciclista su cinque a rinunciare alla bici a favore di altri mezzi di trasporto e proprio nei giorni della settimana della mobilità si sono svolte manifestazioni e flash-mob organizzati dalle associazioni che chiedono una maggiore attenzione a questo tema e misure concrete come l’istituzione del limite dei 30 chilometri orari, l’estensione delle piste ciclabili e più severità verso il parcheggio selvaggio.
Come affermato in un’intervista al Corriere della sera da Paolo Bozzuto, professore di urbanistica del dipartimento di architettura e studi urbani (Dastu) del Politecnico e ideatore e coordinatore dell’«Atlante italiano dei morti (e dei feriti gravi) in bicicletta, “esiste la possibilità che l’incidentalità ciclistica, purtroppo in crescita, finisca per fermare o addirittura invertire una dinamica positiva che si era manifestata con una crescente propensione all’uso della bicicletta da parte dei cittadini”.
Il rapporto MobilitAria 2023, che ha calcolato il deficit di mobilità sostenibile di 14 città italiane, aveva indicato Milano come la città più virtuosa. Un risultato che il capoluogo lombardo ha raggiunto soprattutto grazie alle strategie adottate in questi anni sul versante della mobilità condivisa e dello sviluppo del trasporto pubblico, mentre sul lato della mobilità attiva i dati sono meno lusinghieri e la percezione di insicurezza rischia di sfavorire fortemente la scelta di spostarsi rinunciando ai veicoli a motore.
Il dibattito in corso non riguarda naturalmente solo Milano. I dati preliminari sui decessi a seguito di incidenti stradali relativi al 2022 e presentati dalla Commissione europea indicano che nei centri urbani il 70% dei morti per incidenti stradali sono stati utenti vulnerabili (inclusi, in questo caso, anche i motociclisti). La Commissione europea ha espresso forte preoccupazione sui dati relativi al numero di ciclisti uccisi sulle strade dell’Ue e ha affermato che “tra i vari utenti della strada i ciclisti sono l'unico gruppo non interessato da un significativo calo di incidenti mortali nell'ultimo decennio”, attribuendo la causa del fenomeno soprattutto all’assenza di infrastrutture adeguate.
Le città del futuro
La mobilità attiva, come abbiamo visto, ha ripercussioni positive sulla salute ma anche le migliori intenzioni sono difficilmente applicabili nella pratica quotidiana se i luoghi cardine della proprie giornate sono troppo lontani. A volte, insomma, prendere i mezzi pubblici, la propria automobile o servizi di car-sharing è una scelta quasi obbligata.
Dopo la pandemia le città hanno ricominciato a interrogarsi sulla visione che dovrà guidare il loro futuro (ne abbiamo parlato approfonditamente anche qui su Il Bo Live) e il modello di pianificazione urbana che mira a garantire a ogni abitante la possibilità di accedere a tutti i servizi essenziali per la propria vita quotidiana senza dover costringere a lunghi spostamenti ha ricevuto un nuovo impulso. Nei giorni del lockdown il passaggio temporaneo (quando è stato possibile) a forme di smart-working ha portato a una riflessione sul tanto tempo perso durante gli spostamenti nel tragitto casa-lavoro e, più in generale, ha rivoluzionato ritmi, abitudini e priorità delle persone.
Non è un caso se da quel momento la cosiddetta "città dei 15 minuti", espressione coniata nel 2016 dall’urbanista della Sorbona Carlos Moreno per indicare un modello di iper-prossimità in cui la città non sia più divisa in aree funzionali ma sia pensata per offrire a ogni persona i servizi e le opportunità di svago a una distanza facilmente percorribile anche a piedi o in bicicletta, sia tornata ad incontrare l'interesse degli amministratori pubblici. La Sindaca di Parigi Anne Hidalgo già prima della pandemia aveva fatto della “città dei 15 minuti” un pilastro della propria campagna di rielezione dopo il primo mandato e a ottobre del 2022 durante il C40 Summit di Buenos Aires la rete delle aree urbane green ha trovato la sua consacrazione globale. Il Cities Climate Leadership Group è un'alleanza tra 97 centri urbani del mondo (alla nascita della rete, nel 2005, erano solo 18) che hanno l'obiettivo di combattere la crisi climatica attraverso l'adozione di strumenti e soluzioni per abbattere le emissioni di CO2 ed evitare che la temperatura nel mondo superi il grado e mezzo. Comprende grandi metropoli come New York, Tokyo, Parigi, Londra, Rio e Los Angeles e tra le città italiane figurano Roma, Milano e Venezia. Uno dei pilastri dell'associazione è proprio la città dei 15 minuti, anche per le ricadute positive in chiave ambientale visto che il 60-70% delle emissioni inquinanti proviene dai centri urbani.
Affinché questo modello di città si traduca in realtà occorre ovviamente che gli abitanti abbiano a disposizione scuole, spazi verdi, ospedali, negozi, centri sportivi e ricreativi in spazi raggiungibili anche senza ricorrere necessariamente all'automobile e al tempo stesso è fondamentale poter contare su una rete efficiente di trasporto pubblico.
Se restringiamo lo sguardo all'Italia può essere utile avvalerci delle informazioni contenute nell'ultimo Osservatorio sulla mobilità urbana sostenibile, curato da Kyoto Club, in collaborazione con la Clean Cities Campaign e focalizzato sulle nove città italiane selezionate dalla Commissione europea per la missione "100 città intelligenti e a impatto climatico zero entro il 2030“, a cui sono stati aggiunti anche i dati relativi ai capoluogo di città metropolitana (alcuni dei quali fanno anche parte della missione europea).
Rimandiamo al documento e ai grafici in esso contenuti per una analisi puntuale dei diversi indicatori (e dei contenuti enunciati nei Piani Urbani della Mobilità Sostenibile, gli strumenti pianificatori delle amministrazioni), limitandoci qui a sottolineare alcuni dei principali elementi contenuti nel report. Il primo è il "tasso di motorizzazione” dove emerge che "in quasi tutte le città nel 2021 si è verificato ancora un incremento del numero di auto circolanti per abitante, una tendenza, cioè, opposta a quella auspicabile". La tipologia di mezzi impiegati, con particolare riguardo alla motorizzazione ed alla classificazione inquinante, indica inoltre "un ulteriore aggravamento della situazione".
Un focus sulle piste ciclabili mostra che i capoluoghi delle 14 città metropolitane hanno in media appena 1,5 km di ciclabili per 10mila abitanti. Venezia, Bologna, Firenze, Cagliari, Torino e Milano si collocano al di sopra del dato medio, ma - precisa l'Osservatorio - sono comunque lontane da un livello ottimale che potrebbe essere quello di almeno 10 km di piste ciclabili per 10.000 abitanti (per fare un confronto, Helsinki ha circa 20 km di piste ciclabili per 10mila abitanti; Amsterdam e Ghent intorno ai 15 km).
Non c’è mobilità sostenibile senza un trasporto pubblico di massa efficace e non inquinante, ricorda il report. Da questo punto di vista emerge che Milano è la città con la dotazione di linee su ferro o filoviarie più significativa e il primato è confermato anche rapportando la dotazione infrastrutturale al territorio. Ma se si guardano le flotte di autobus nel complesso dei 14 comuni capoluogo delle città metropolitane sono composte per il 62% di mezzi più inquinanti, considerando tali quelli omologati fino a Euro 5.
Complessivamente il target al 2030 di mobilità sostenibile indicato dal Governo (DPEF 2016-2017) per le aree urbane e metropolitane (40% di trasporto pubblico e 10% di mobilità ciclabile) è ben lontano da essere raggiunto. A conferma di quanto ci sia ancora da fare per avere città più salubri, vivibili e attente ai bisogni delle persone.