CULTURA

Morin: evitiamo una guerra mondiale, sarebbe peggio della precedente

Edgar Morin ha centouno anni. Potrebbe essere definito come un eccellente studioso “straordinario”, non accademico e non etichettabile, fra i più stimati e influenti al mondo, autore di ben oltre un centinaio di volumi, iniziando al rientro dal fronte con L'An zéro de l'Allemagne (1946) e continuando fino a l’altro ieri, con lo stimolante Changeons de voie. Les leçons du coronavirus, 2020; traduzione di Rosella Prezzo, Cambiamo strada. Le 15 lezioni del Coronavirus, Raffaello Cortina, Milano 2020, e a ieri, con il recentissimo De guerre en guerre (2023). Famiglia ebrea sefardita originaria di Livorno, padre commerciante originario di Salonicco, a Parigi l’8 luglio 1921 Edgar nasce Nahoum (Morin è uno pseudonimo scelto come nome di battaglia, poco più che ventenne) e perde la madre a dieci anni, figlio unico. Cresce fra studi e sport, diventa marxista, ottiene la licenza in diritto e partecipa alla Resistenza francese (tenente delle forze combattenti). 

Morin aderisce al partito comunista francese (PCF) e prende parte alla liberazione di Parigi nell’agosto 1944. Sposa Violette Chapellaubeau e parte militare per la Germania. Comincia a scrivere libri già durante l’ultimo anno di guerra e, al ritorno, nel 1946 abbandona un’eventuale carriera militare. Il fatto è che diventa pure prestissimo antistalinista, anticipando di oltre un decennio dinamiche di altri partiti comunisti europei, fino a essere espulso dal PCF nel 1951. Dal 1950 ha iniziato a lavorare al Centre national de la recherche scientifique (CNRS), il centro nazionale francese della ricerca, come antropologo sociale, e quello resterà sempre il suo principale impegno scientifico professionale, poi insieme all’École des hautes études en sciences sociales (EHESS), con contatti interdisciplinari in tutto il mondo, soprattutto in America Latina e in California. Politicamente si avvicina al partito socialista francese, mantenendo sempre un autonomo acuto laico punto di vista, sulla Francia e sul pianeta, e collaborando a ricerche e in riviste con i maggiori intellettuali europei (anche italiani). 

Qualsiasi cosa leggiate di Morin vi colpirà, condividiate o meno tutto il merito; discipline e argomenti sono i più vari; il linguaggio chiaro e sapiente. Impossibile qui una compiuta biobibliografia, bastano ora i pochi cenni di sintesi, utili a capire perché a inizio 2023 è uscito il suo esile essenziale libro sulle guerre: Edgar Morin, Di guerra in guerra. Dal 1040 all’Ucraina invasa, traduzione di Susanna Lazzari, prefazione di Mauro Ceruti, Raffaello Cortina Milano, pag. 104 euro 12. Morin cita tanti studi e vari autori ma non gli servono le note e gli apparati, vuole trasmetterci un filo complesso di alcuni pensieri lunghi su quanto è accaduto e sta accadendo fra i sapiens in terra, sul continente europeo in particolare. Prende in considerazione con stile lucido e appassionato oltre un secolo di guerre, concludendo che ormai quella umana è una comunità di destino (anche per le altre crisi in atto, a partire da quella climatica ed ecologica) e che servono responsabilità individuali per radicare la libertà collettiva.

Il primo bombardamento aereo in Europa per terrorizzare le popolazioni civili fu quello della Luftwaffe che annientò Rotterdam nel maggio 1940, altri seguirono. Poi ci furono i bombardamenti alleati sulle città tedesche e l’orrore del nazismo e dei suoi abomini nei paesi occupati, soprattutto nell’URSS, talora occultò ai resistenti e agli antinazisti l’orrore di bombardamenti “nostri” che distruggevano città intere, colpendo donne, bambini, anziani più che i combattenti. Il nazismo fu criminale per la sua natura razzista e dispotica, questo non vale per le democrazie alleate, pur se restava e resta vero che, durante le loro (nostre) conquiste coloniali e nelle repressioni contro i colonizzati, abbiano commesso ciò che, a posteriori, bisogna definire crimini di guerra. Quei crimini sono stati certamente compiuti dalla Russia in Ucraina negli ultimi tredici mesi, lo ha denunciato pure la Commissione internazionale indipendente d'inchiesta Onu sull'Ucraina in un nuovo rapporto reso noto il 16 marzo 2023 a Ginevra, portando prove e sollecitando ulteriori indagini.

I crimini di guerra, secondo Morin, sono forse distinguibili in base a tre criteri: occasionali violazioni del diritto internazionale umanitario (senza istruzioni dal comando); strutturali crimini e violenze (decisi da ufficiali o generali); crimini di guerra sistemici, che nel conflitto fanno parte della strategia militare del governo, il quale ne è il decisore iniziale. Nel condurre motivatamente una guerra contro l’ignobile nazismo, accadde di occultare la barbarie dei bombardamenti americani, la barbarie del Gulag e dello stalinismo. C’è stato bisogno che passassero anni e decenni perché diventasse chiaro che, per quanto giusta fosse la resistenza al nazismo, la guerra del Bene comporta in sé del Male. Ora che la Russia ha ignobilmente aggredito e invaso l’Ucraina, paese che va giustamente aiutato e sostenuto nelle sue indipendenza e sovranità nazionale, non è comunque peccato (capitolazione) parlare di cessate il fuoco, di negoziati e di pace.

Ribadiamolo: il grande sociologo e filosofo Edgar Morin ha 101 anni e ha fatto materialmente la seconda guerra mondiale. Nel novembre 2022 ha così scritto questo breve denso bellissimo saggio di storia contemporanea sulle guerre, partendo dalla propria esperienza personale. Inizia ricordando proprio che, mentre era assegnato allo Stato maggiore della prima armata francese, a inizio 1945 si recò a Pforzheim poco prima della effettiva ufficiale capitolazione di una Germania già vinta e trovò la cittadina totalmente distrutta da un raid di 367 bombardieri della Royal Air Force con 17.000 civili uccisi (un terzo della popolazione) e altrettanti feriti, praticamente in contemporanea con l’annientamento della città d’arte demilitarizzata di Dresda (300.000 morti) e poco prima dell’uso dell’arma nucleare su due grandi città giapponesi (“solo Albert Camus ha compreso l’orribile importanza storica di quel gigantesco massacro”).

Lungo tutta la narrazione, frequenti sono sovrapposizioni e intrecci personali, per esempio spesso richiama la guerra d’Algeria: le premesse con lo storico rifiuto della Francia di ascoltare le aspirazioni algerine; la prima insurrezione del 1954, sfociata comunque in una guerra civile interna in seno alla guerra d’indipendenza; il colpo di Stato dei generali francesi del 1958; le ripercussioni tragiche delle due parallele radicalizzazioni. Ognuno degli altri dodici rapidi capitoli mostra un titolo significativo, nella prima parte: isteria di guerra (riferendosi già al 1914-1918), menzogne di guerra (le peggiori quelle di attribuire al nemico i propri crimini), la “spionite” (la diffidenza ossessiva che individua ovunque dei sospetti), la criminalizzazione del popolo nemico (attribuzione delirante di una assoluta responsabilità collettiva), la radicalizzazione dei conflitti (il cuore del problema: tutti i “noi” solo e contro tutti gli altri), le sorprese dell’inatteso (avvengono cose inconcepibili, i loro effetti sono comunque nell’insieme imprevisti).

Ecco i titoli della seconda parte, dopo l’autocritica sui alcuni propri errori e illusioni: appunto l’errore e l’illusione (quelli che spesso hanno rovinosamente regnato nelle menti dei governanti e dei governati), la contestualizzazione (che impone sempre una visione articolata e complessa rispetto all’ideologia della vittoria), la dialettica delle relazioni fra Stati Uniti e Russia (conflitto internazionalizzato), Ucraina (descrizione informata e sintetica, sottolineando cruciali nodi storici e il 2014), la guerra (o meglio le tre guerre in corso), per la pace (mobilitiamoci). A un certo punto scrive: “durante tutto questo lungo periodo di ottant’anni, ho potuto verificare la pertinenza di ciò che ho chiamato l’ecologia dell’azione: ogni azione entra in un gioco di interazioni e retroazioni che possono modificare il senso dell’azione, se non invertirla, e farla ricadere sulla testa del suo autore”.

Morin riesce a dare basi razionali e argomenti efficaci a un urgente pacifismo condiviso (con a caso cita Andrea Riccardi e l’impegno cattolico). Nella prefazione Mauro Ceruti (fra i suoi principali amici italiani, recente curatore di due volumi su Morin nel 2022 per Mimesis) riassume il senso della pubblicazione: “Edgar Morin è uno dei pensatori più importanti del nostro tempo, un’autorità intellettuale e morale riconosciuta in tutto il mondo…Questa nuova guerra riporta alla sua memoria i terribili ricordi delle guerre che hanno segnato la sua lunga vita… è urgente (ci ammonisce) dotarci di un pensiero capace di comprendere quanto siano accecanti il manicheismo assoluto, le propagande menzognere, le criminalizzazioni non solo degli eserciti ma anche dei popoli nemici… individua nelle radicalizzazioni il tratto comune e più pericoloso delle guerre del suo secolo”. 

La prima parte del volume contiene acuti e precisi spunti di riflessione in qualche modo generali, che riguardano un po’ tutte le guerre del Novecento e tutte le parti in conflitto; via via che il coerente ragionamento prosegue crescono i riferimenti alla guerra in corso nel 2022-2023. Senza indulgenze: se la Russia putiniana è l’autrice di questa guerra, lo è al termine di un processo di radicalizzazione reciproca. Come spesso accade nella storia, il nemico fortifica l’identità di una nazione e l’odio per il nemico è un cemento di unità nazionale. Morin scrive il testo a fine 2022, in piena escalation militare, ma prova ad accennare ai termini di un negoziato credibile, certo che solo la pace alla lunga porterebbe pacificazione. Oggi che risulta addirittura potenziata la diffusione e la sofisticazione delle armi, in un contesto interconnesso ma non solidale, evitiamo una guerra mondiale. Sarebbe peggio della precedente (quando ancora non esisteva il pervasivo decisivo rischio nucleare). 

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