CULTURA

La morte di Berlinguer 40 anni fa a Padova, intanto una mostra a Roma

2024-1984: quaranta anni. A Padova ci sono ancora molti attempati signori e signore che ricordano quel pomeriggio, quella sera e quella notte nella propria città. Forse basta chiedere in giro nella cerchia di chi ha superato mezzo secolo di vita. Il 7 giugno 1984 Enrico Berlinguer si sente male durante un affollato comizio in Piazza della Frutta connesso alla campagna elettorale per le elezioni europee previste per il 17 giugno. Muore a Padova quattro giorni dopo. La manifestazione è in pieno svolgimento, è buio. Il segretario del Pci si trova sul palco, sta parlando e improvvisamente viene colpito dall’ictus. Il susseguirsi delle immagini è entrato nell’immaginario collettivo triste di tanti sapiensoccidentali. Si blocca di continuo provato dal malore, ma continua il discorso fra i cori di sostegno, nonostante via via anche la maggior parte dei presenti stia comprendendo il dramma in diretta, batta le mani ma gli urli di smettere.

“Vi invito a impegnarvi tutti in questi pochi giorni …” (a questo punto la voce si incrina, inforca gli occhiali, la mano corre aperta verso la bocca, il volto sofferente) “… che ci separano dal voto con lo slancio che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali della vita politica”. Alcuni cominciano a dire “Basta, basta Enrico”. Ormai Berlinguer sillaba le parole, porta il fazzoletto bianco alla bocca, impasta le parole, sente dietro di sé la preoccupazione dei presenti sul palco che si stringono. Lentamente, a scatti non retorici: “Lavorate tutti casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini, con la fiducia”. Prende fiato, le persone nella nota piazza di Padova guardano l’immagine del volto sul grande schermo e si rendono conto della drammaticità della situazione, ancora meglio di chi sta sul palco. Riguardate foto e video se vi capita, anche coloro che allora non erano nati o erano troppi piccoli, tuttavia sono curiosi di un pezzo di storia di Padova e d’Italia.

Quel dì di fronte alle immagini in diretta e sullo schermo, migliaia di militanti e cittadini cominciano a gridare “Basta, Enrico, basta!” e applaudono più forte. Il collaboratore e amico Antonio Tatò, convinto che il malore possa essere legato a una qualche indigestione della cena consumata la sera prima da tutt’altra parte (a Genova), cerca di suscitare l’entusiasmo della folla applaudendo lui stesso per incitare Berlinguer a trovare energie per concludere. Dalla piazza sale, insieme agli applausi, un coro da stadio: “En-ri-co, En-ri-co, En-ri-co…”. Lui reagisce con un sorriso dolce. In qualche modo mette via definitivamente gli occhiali, non legge più, chiude a braccio, come in trance: “Per quello che siamo stati e siamo è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà”. L’ultima parola s’intuisce appena. Lo fermano, lo portano via.

La manifestazione si chiude nello sconcerto. Berlinguer viene fatto rientrare in albergo a Padova, va presto in coma. Dopo il consulto con un medico, venne trasportato all’ospedale Giustinianeo e ricoverato in condizioni drammatiche. Muore l’11 giugno, a causa di un’emorragia cerebrale. Pochi giorni dopo a Roma, ai suoi funerali partecipano in molto più di un milione. Riguardate foto e video se vi capita. Vedrete che se ne parlerà un poco nel nuovo anno appena iniziato, a Padova e a Roma, in Italia e in Europa. L’evento va al di là della “commemorazione”. Nel giugno 1984 Enrico Berlinguer aveva soltanto 62 anni. Il presidente della Repubblica Sandro Pertini farà trasportare la salma sull’aereo presidenziale dichiarando: “Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta”. Partono da Venezia, in laguna le barche stracolme di fazzoletti rossi e bandiere, ognuno esprime sentimenti, emozioni, condivisione al passaggio della salma. Qualcuno di noi ancora si commuove, rievocando.

Durante il funerale, il corteo con la bara sfila dalla sede del Pci, in via delle Botteghe Oscure, a Piazza San Giovanni: occhi lucidi di pianto, segni della croce, pugni chiusi. Un grido collettivo risuona in continuazione: “Enrico, Enrico”. A rendere omaggio alla salma vanno subito i principali leader e rappresentanti di tutte le istituzioni, delle forze politiche, dei sindacati e delle forze sociali, accanto a tantissimi militanti e persone comuni. Per capirci, va anche Giorgio Almirante, segretario del Msi, che Enrico in linea di massima evitava (“Io coi fascisti non parlo” disse in una tribuna politica del 1972). Almirante andrà lo stesso, senza scorta, mettendosi in fila come gli altri. Risponderà a un giornalista: “Sono venuto a rendere omaggio a una persona onesta che credeva nei suoi ideali”. Gli va incontro Giancarlo Pajetta, con garbo e attenzione, senza nessuna protesta per la sua presenza: nel momento della dipartita occorre saper piangere con tutti. Il 17 giugno alle elezioni europee il Pci non può che lasciare Berlinguer come capolista. Il Pci raggiunge il 33,3% superando la Democrazia cristiana. Sarà forse un ultimo regalo di Berlinguer a quel partito che lo rispettava e amava, che era già riuscito a portare al massimo storico, il 34,4% nel 1976.

Nel 2024 saranno quaranta anni dalla morte, ancora una volta a Padova il 7 giugno qualcosa accadrà. Fra l’altro, saremo nel pieno del voto europeo, le elezioni 2024 previste dal 6 al 9 a seconda delle diverse abitudini sulle settimane elettorali fra paese e paese nei ventisette stati membri dell’Unione Europea. In Italia si voterà probabilmente solo domenica 9 giugno e verranno quel giorno eletti 73 dei complessivi 705 deputati del Parlamento Europeo. Ci sarà ovviamente occasione per riparlarne e prepararsi al meglio. L’omicidio dell’allora 61enne Moro nel 1978 (ucciso dalle Br) e la “morte sul lavoro” dell’allora 62enne Berlinguer nel 1984 hanno segnato la storia politica e istituzionale italiana ed europea in tutti i decenni successivi, anche oggi. Intanto, su Berlinguer si può vedere una bella mostra al Mattatoio di Testaccio a Roma inaugurata a metà dicembre 2023. L’ingresso è gratuito, resterà aperta fino all’11 febbraio 2024. Questi i link se ci si vuole documentare un attimo prima o da consultare eventualmente a distanza se non si può andare di persona prima della chiusura. Una visita vale davvero l’impegno di tempo.

L’insieme degli edifici, dei padiglioni, dei tragitti dell’ex mattatoio, alle pendici della collina (“monte”) di Testaccio, tra le mura aureliane e la sponda sinistra del Tevere, non lontano da Trastevere o da Porta Portese, risente della identità originaria di fine Ottocento: la macellazione e la distribuzione delle carni per gli abitanti dell’intera capitale. Dall’inizio del nuovo millennio sono divenuti un centro polifunzionale e policulturale (c’è anche una facoltà universitaria). La bella mostra I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer è collocata nei due grandi padiglioni centrali dell’area, due mila metri quadrati. Si inizia con il padiglione A, la documentazione con un taglio storico, distribuita in cinque sezioni: gli affetti (“Berlinguer si iscrive al Pci nel 1943, aderendo alla sezione giovanile di Sassari. Come altri giovani della sua generazione, diviene comunista attraverso l’antifascismo…”), il dirigente di partito, nella crisi italiana (“Berlinguer è eletto segretario del Pci il 17 marzo 1972. La società italiana è attraversata da forti istanze di cambiamento, sollecitate dal ’68 studentesco e dall’“Autunno caldo” operaio del ’69, ma è anche scossa dallo stragismo neofascista…”), la dimensione globale, attualità e futuro. La parte conclusiva dell’esposizione è dedicata alle leggi approvate con il contributo determinante del Pci di Berlinguer nella stagione “riformatrice” fra il 1969 e il 1982: l’equo canone, il Servizio sanitario nazionale, il divorzio, la legge Basaglia per la chiusura dei manicomi, il piano degli asili nido comunali, fra le altre.

Il padiglione B ha un’impostazione più iconografica: immagini e manifesti, vignette e satire, cinema e televisione, sempre con una prospettiva sia dall’interno che dall’esterno, per esempio una parte delle foto è intitolata al libero mirato “sguardo del reporter”. Davanti a ogni parete con sintesi e mappe (per esempio i viaggi di Berlinguer in Europa e nel mondo) si trovano installazioni con oggetti come occhiali e orologio, carteggi e foto del suo archivio, la spoglia scrivania del segretario, una “biblioteca” di libri usciti nel cinquantennio scorso di e su Berlinguer, da sfogliare e leggiucchiare. Vi sono molte postazioni fisse di approfondimento per ricerche o consultazioni al computer, diverse campane sonore e touchscreen appoggiate sui muti all’altezza giusta, consentendo con le cuffie visione di comizi, spezzoni video, estratti audio, interviste. La colonna sonora delle sale è in tema, soffusa e leggera. I soffitti sono ovviamente molto alti, il contesto è arredato in modo sobrio e gradevole.

Quasi tutti probabilmente conoscono il quartiere romano di Testaccio, l’indirizzo cui fare riferimento comunque è in Piazza Orazio Giustiniani, 4. Ovviamente, a Roma si possono fare anche molte altre cose, visitare innumerevoli grandi mostre e musei, dipende da quanto tempo vi si resta. La mostra su Berlinguer già nelle prime due settimane ha suscitato un vasto interesse di critica e di pubblico, ne troverete tracce negli organi di informazione e sul web. L’afflusso è ampio e costante, presenze di un po’ tutte le generazioni. Il 19 dicembre ho visto gruppi di ragazzi e coppie, appuntamenti di vecchi militanti e passaggi di dirigenti politici contemporanei. Lunedì è il giorno di chiusura. Gli orari martedì mercoledì e giovedì prevedono l’apertura dalle 14 alle 20, venerdì sabato e domenica dalle 11 alle 19. L’ingresso al pubblico è consentito fino a un’ora prima della chiusura.

Enrico Berlinguer era nato a Sassari il 25 maggio 1925, la madre Maria era figlia del medico igienista Giovanni Loriga. Finì il liceo nel 1940 e si iscrisse a Giurisprudenza. Insieme a Enrico (come il nonno paterno) e al fratello Giovanni (due anni più piccolo) vivevano nel villino bifamiliare, accanto alla sorella del padre. La madre morì presto per encefalite epidemica, fu un trauma. All’inizio del 1944 Enrico partecipò da protagonista ai «moti del pane» (per i quali fece oltre tre mesi di carcere e venne prosciolto in istruttoria). In quell’anno fu lungamente ospitato a Salerno dalla zia Ines. Lì il padregli presentò il compagno di liceo Palmiro Togliatti. Presto Enrico si era iscritto al Pci (mentre il padre al Partito d’azione), Si trasferì a Roma e divenne funzionario di partito, entrò nel Comitato centrale del Pci già nel 1948 (mentre il padre diveniva senatore socialista). Si sposò trentacinquenne nel 1957 con Maria Letizia Laurenti, ebbero quattro figli: Bianca, Maria, Marco, Laura. Divenne deputato dal 1968 con oltre 150.000 preferenze (mentre il padre cessava dopo quindici anni di essere deputato socialista), vicesegretario del Pci dal 1969 (il 5 settembre morì il padre) fino al 1972. Rimase poi segretario nazionale fino alla morte.

Non si riteneva e non fu uomo triste; fu certo introverso, la politica gli fu sempre tormentata e spigolosa compagna di vita, esercitata con un carisma crescente. Fu una peculiarità del Pci italiano la capacità di metabolizzare lentamente novità e pensieri lunghi, il rifiuto (talora esagerato) di contaminazioni episodiche e rapide, la capacità permanente di assimilazione e “digestione”. Il Pci era sempre stato un partito prudente, abituato a un’accorta navigazione. Aveva maturato una visione “progressiva” della democrazia, come un lento e non traumatico avanzamento, come conquista di “casematte”, come effetto dell’interazione fra lotte sociali e iniziative istituzionali (centrali e locali). Berlinguer era “figlio” della tradizione del Pci, un partito restio ad accettare accelerazioni politiche e stimoli inconsueti (esempi in tal senso furono i timori sul divorzio o la chiusura verso il Manifesto). Pur essendo stato anche lui un politico prudente, mostrò una significativa laicità di fronte alla lezione dei fatti e una tensione ideale verso un effettivo cambiamento. Le caratteristiche della sua personalità e il legame speciale con la base comunista spiegano sia gli elementi di continuità nell’azione politica sia le svolte apparentemente improvvise.

Di fronte ai dati della realtà e ai processi oggettivi, Berlinguer non si limitò a essere uno zelante custode della tradizione comunista, ma in vari momenti cercò di scuoterla, di forzarne la natura e i comportamenti. Ha rappresentato e espresso la soggettività del comunismo italiano in modo profondo e intenso, ha iniziato a cogliere la novità ecologista, ha assunto laicamente dal movimento femminista il concetto politico di “liberazione” (nonostante rigidità del partito), ha avviato il Pci sulla strategia dell’alternativa. Una caratteristica di Berlinguer fu poi la sensibilità culturale e scientifica, la capacità di riflessione, lo sforzo di rielaborazione, la ricerca di pensieri lunghi, riuscendo talora a ottenere intuizioni feconde. Non è un caso che a Oriana Fallaci rispose che, se non si fosse “dato” totalmente alla politica, gli sarebbe piaciuto fare filosofia, conciliandovi la matematica.

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