SOCIETÀ

La morte di Berlinguer quaranta anni fa a Padova

Dal 7 giugno 1984, quaranta anni fa, si svolsero a Padova gli ultimi giorni della vita di Enrico Berlinguer (Sassari, 25 maggio 1922). La sera di giovedì 7 Berlinguer, che aveva appena compiuto 62 anni, si sente male durante un affollato comizio in Piazza della Frutta connesso alla campagna elettorale per le elezioni europee previste per il 17 giugno. La manifestazione è in pieno svolgimento, è buio. Il segretario del Pci si trova sul palco, sta parlando e improvvisamente viene colpito dall’ictus. Il susseguirsi delle immagini è entrato nell’immaginario collettivo sgomento di tanti cittadini. Si blocca di continuo provato dal malore, suda, si fa sempre più pallido, incespica con le parole, ma continua il discorso fra i cori di sostegno, nonostante via via anche la maggior parte dei presenti stia comprendendo il dramma in diretta, batta le mani ma gli urli di smettere. Dopo il comizio, chiuso in fretta, Berlinguer viene ricoverato e va presto in coma. Pochi giorni dopo, lunedì 11 giugno muore nell'ospedale della città.

Probabilmente oggi sanno bene chi era Berlinguer solo quelli che hanno superato i cinquantacinque anni, o chi un po’ si occupa di storia e di politica fra i più giovani. Non era uno scrittore, non era uno scienziato, ha lasciato tracce soprattutto orali ed emotive, pur essendo straordinariamente amato fra i giovani della sua generazione e restando forte il ricordo di uno stile pacato nel modo di intendere le istituzioni e i partiti, deputato dal 1968 alla morte, segretario del Partito Comunista Italiano dal 1972 al 1984. Faceva poche battute pubbliche e limitava gli slogan social, ma non si riteneva e non fu uomo triste; fu certo introverso, la politica gli fu sempre tormentata e spigolosa compagna di vita, esercitata con un carisma crescente. Era “figlio” della tradizione del Pci, mostrando coerentemente una significativa laicità di fronte alla lezione dei fatti e una tensione ideale verso un effettivo cambiamento. Le caratteristiche della sua personalità e il legame speciale con la base comunista spiegano sia gli elementi di continuità nell’azione politica sia le svolte apparentemente improvvise. Di fronte ai dati della realtà e ai processi oggettivi, Berlinguer non si limitò a essere uno zelante custode della tradizione, in vari momenti cercò di scuoterla, di forzarne la natura inerziale e i comportamenti: iniziò a cogliere la novità ecologista, assunse precocemente dal movimento femminista il concetto politico di “liberazione”, avviò il suo partito sulla strategia dell’alternativa. Una caratteristica di Berlinguer fu poi la sensibilità culturale e scientifica, la capacità di riflessione, lo sforzo di rielaborazione, la ricerca di pensieri lunghi, riuscendo talora a ottenere intuizioni feconde.

Torniamo a Padova quaranta anni fa. Se ne sta parlando molto con testi e foto sugli organi di informazione (scritti, video, audio) già dai primi di giugno e forse per l’intero mese. Sono stati organizzati convegni e confronti pubblici. Sono state, inoltre, previste una serie di iniziative in tutt’Italia per ricordare il segretario del Pci, discuterne la personalità e il ruolo storico. A Padova grazie all'amministrazione comunale è stato per esempio restaurato, attraverso una ditta specializzata, il cippo di marmo che oggi è ben visibile in piazza della Frutta, realizzato nel 2014 dallo scultore Elio Armano. A Bologna viene oggi presentato il docufilm Prima della fine, gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer e presto allestita la mostra già vista a Roma alcuni mesi fa (già qui recensita lungamente:). Stanno poi uscendo volumi di ricostruzioni storiche e di memorie personali che arricchiscono criticamente il quadro delle celebrazioni.

Il docufilm di Samuele Rossi viene proiettato alla ventesima edizione del Biografilm Festival in programma proprio dal 7 (al 17) giugno a Bologna, frutto di un lungo lavoro di ricerca volta a raccontare un momento cruciale della storia del nostro Paese. I giorni narrati riguardano l’intera settimana a partire dall’arrivo a Padova giungendo fino al 13 giugno, quando ebbe luogo a Roma il funerale politico più imponente della storia della Repubblica: quasi due milioni di cittadini scesero in piazza per i suoi funerali, qualcosa di mai visto prima, un abbraccio collettivo, il saluto commosso a un uomo che aveva lottato apertamente per un ideale e lo aveva fatto sempre nei toni miti e composti. Il funerale fu seguito da una cronaca in diretta di proporzioni eccezionali, tra autorità politiche provenienti da tutto il mondo, in un’onda emotiva che dilagò senza pari in tutta Italia. Il film prodotto da Echivisivi consiste in uno storytelling costruito con il solo utilizzo di materiale d'archivio proveniente da archivi nazionali e internazionali, la “fine” di un politico amato, di un intero partito, di un’idea di Paese, forse addirittura la fine di un’epoca.  Sempre a Bologna proprio l'11 giugno viene poi inaugurata la mostra multimediale "I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer" al Museo Civico Archeologico.

Fra i volumi disponibili ora in libreria vi è quello di un agente di sicurezza, uno di quegli uomini della scorta di Berlinguer, a lui fedelissimi e legati da un vincolo quasi familiare. In anni difficilissimi e spesso tragici, con il terrorismo che sembrava essere in grado di colpire chiunque e dappertutto, quegli uomini assicurarono l’incolumità del segretario con una dedizione e un impegno febbrili e instancabili: Roberto Bertuzzi, “Io, guardia del corpo di Berlinguer(Compagnia Editoriale Aliberti, pag. 288 euro 18.90). Assunto nel Servizio di Sicurezza del PCI dopo un’infanzia e un’adolescenza tormentate, Bertuzzi fu “ombra” fedele e rassicurante del “segretario” per anni, condividendo con lui ogni momento della giornata o quasi. Quel 7 giugno del 1984 era a Padova, ovviamente, e visse in diretta e in prima persona l’epilogo.

Scrive fra l’altro: “Eravamo partiti da Roma in aereo per Genova, la macchina blindata guidata da Alberto Menichelli ci aveva raggiunto all’aeroporto. Nel pomeriggio c’era stato il comizio in piazza e da lì andammo a Riva Trigoso per l’inaugurazione di una Casa del Popolo. La sicurezza era sempre molto bene organizzata, perché, oltre ai compagni del partito, avevamo sempre la scorta della Digos. Durante il viaggio notai che le macchine della polizia evitavano di farci fermare agli incroci bloccando il traffico; non utilizzammo le sirene perché sapevamo che Berlinguer non amava, anzi odiava, questi spettacoli. Nel frattempo Alberto e io avevamo disdetto le camere perché saremmo partiti per Milano a fine comizio: dopo l’episodio di Lavagna la polizia aveva bonificato tutta la piazza e, con i carabinieri, la presidiava. Arrivammo in piazza a Padova con un corteo di varie macchine…

La piazza era gremita, dietro il palco un grosso schermo riportava il volto di chi parlava. Berlinguer vestiva sempre in modo molto sobrio; sotto il vestito portava una camicia bianca con cravatta ma non indossava il maglioncino rosso con lo scollo a V che gli avevano regalato le compagne del Bottegone. Parlò prima Zanonoto, poi Lalla Trupia, che era candidata al Parlamento europeo. Fu quindi la volta di Berlinguer. Cominciò a parlare e come al solito gli avevamo preparato un bicchiere di acqua e un altro di acqua con un goccio di Glen Grant. Niente di quei primi minuti faceva presagire la tragedia che si sarebbe abbattuta sulla piazza… A un certo punto, improvvisamente, rinfrescò e cadde qualche goccia di pioggia… Dalla mia posizione non vedevo lo schermo, così mi spostai e vidi il volto di Berlinguer sofferente, non riusciva a parlare e dava dei colpi di tosse portandosi il fazzoletto alla bocca. Tornai alla macchina per avvisare gli altri. Tonino Tatò salì di corsa sul palco e insieme a Menichelli si misero ai lati del Segretario supplicandolo di smettere. Stava molto male, sullo schermo il suo volto era una maschera di sofferenza, la gente dalla piazza gridava di farlo smettere, c’era chi invitava un medico a intervenire. A niente servì tutto questo… Terminato il discorso … gli chiesero cosa si sentisse, nel frattempo era arrivato anche un medico, rispose che aveva nausea e sentiva freddo…

Venne accompagnato giù per la scaletta del palco, mentre avevo predisposto la macchina e dato indicazioni alle altre auto che saremmo tornati in albergo… Davanti all’ascensore, insieme lo rassicurammo che avremmo avvisato la Federazione di Milano e che saremmo andati il giorno dopo. Nell’ascensore Berlinguer ci chiese se avessimo recuperato i fogli del discorso, gli dicemmo di sì e gli chiedemmo cosa sentisse. Lui ci rispose che si sentiva come se non avesse digerito e aveva mal di testa. Ricordando quello che aveva mangiato pensai che fu un errore non mettersi il maglioncino e che avesse preso freddo allo stomaco. In quei momenti non è stato facile decidere il da farsi… Berlinguer … era riservatissimo. Le rare volte che ci chiedeva delle cose lo faceva sempre con molta educazione e umiltà.Nel frattempo era stata chiamata un’ambulanza. Arrivati in camera, Berlinguer ci disse che avrebbe riposato un po’. Lo aiutammo a togliersi il trench e a sdraiarsi, poi uscimmo perché era arrivato il professor Fieschi che ci aveva seguiti dalla piazza. Il corridoio si era riempito di gente. L’espressione sul volto del professore non faceva presagire nulla di buono: Berlinguer era stato colto da un ictus e dovevamo allertare l’ospedale per preparare la sala operatoria. Andava operato subito! ...”.

Il ricordo della morte di un famoso importante dirigente politico può essere l’occasione per affrontare un dilemma morale, per accennare a un rovello che potrebbe coinvolgere ogni persona, ovunque convivente, quantunque colta, comunque pensierosa. Quali sono i “metri” di giudizio su un personaggio pubblico, metri (livelli parametri criteri) tendenzialmente estendibili a chiunque si affacci nelle nostre vite individuali. Antropocentrismo ed egocentrismo impazzano, anche per legittime ragioni biologiche. Noi vi abbiamo aggiunto dilemmi morali, “principi” etici meno o più condivisi e, ormai da millenni, strutture e arti della politica, oltre che necessità e opportunità, disastri e disgrazie di un presuntuoso (talora violento e inquinante) potere di comando (non necessariamente “alfa”) verso individui, gruppi, comunità, popoli ed ecosistemi.

Il segretario di un partito politico come va giudicato sia mentre è in carica, sia successivamente sul piano storico? Il successo può essere misurato solo in termini dell’andamento degli iscritti e dei voti? E possono esistere fasi (diacroniche) nel suo percorso intellettuale e culturale, si può tener conto di errori novità intuizioni? Contano solo le opinioni di chi lo ha eletto o votato oppure, in differente modo, anche quelle di chi lo avversava ed era comunque contrario alle sue idee e alla sua “esistenza” politica di successo? Contano le cose positive fatte riferite a quale platea: i propri iscritti, i propri votanti, i votanti del suo paese, i cittadini del mondo o i suoi interessi personali? A chi e quanti ha fatto del bene, ha reso un pochino migliore l’esistenza? Quanti è riuscito comunque a far godere della sua esistenza biologica al mondo, delle sue qualità, in forme dirette e in presenza (anche ai comizi) o indirettamente per averne conosciuto opinioni e scritti condivisibili, oppure interessanti? E possono pesare gli elementi di aver costituito un esempio morale ed espresso idee “fertili” nel futuro? Contano eventualmente un poco pure le scelte e i comportamenti privati, nel tempo affettivo o comunque libero, lontano dall’esercizio del suo mandato politico o istituzionale?

Queste domande non sono esclusive di dirigenti politici, a diversi titoli e maniere potrebbero riguardare il successo di uno scrittore o il reddito di ogni benestante. Berlinguer otterrebbe una valutazione favorevole su gran parte di quei “metri” di successo, addirittura anche quelli parzialmente alternativi, probabilmente perché ha fatto abbastanza bene all’Italia ed è un “peccato” sia morto relativamente giovane, non solo per i suoi cari. Molte sue opzioni politiche non ebbero il dovuto seguito: una collaborazione effettiva tra ovest ed est, una risposta condivisa alle sfide del degrado ambientale e delle novità tecnologiche, una questione morale condivisa in ogni attività politica. Altre sue opzioni politiche, più di “parte” o di partito, vanno con garbo e pazienza valutate, sia nel contesto della geopolitica complessiva (di paci e di guerre) e della lotta politico-istituzionale italiana dei suoi decenni, sia della storia del movimento comunista novecentesco e del suo stesso peculiare partito, il Partito Comunista Italiano ereditato da Gramsci, Togliatti, Longo e intriso di specificità culturali e organizzative.

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