Potere alle piante? Anche no si intitolava il 10 luglio scorso l’articolo di Daniele Mont D’Arpizio che prendeva spunto dal libro da poco uscito di Alessandra Viola Flower Power edito da Einaudi. In questo libro, tra le molte altre importanti cose, l’autrice sostiene l’opportunità del riconoscimento del diritto alla vita delle specie vegetali. Un diritto che “vale per le piante, che hanno una loro forma di intelligenza, compiono delle scelte, hanno relazioni e possono soffrire, anche se ovviamente in modo molto diverso da noi”.
Mi sembra opportuno ritornare su questo argomento in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi, il 21 novembre, istituita nel 2013 per valorizzare l'importanza degli alberi per la vita dell'uomo e per l'ambiente. Mi sembra opportuno farlo perché l’albero è certamente una delle più importanti tra le specie vegetali e ha il “potere” di regolare molto della vita umana.
Come ricorda Lorenzo Ciccarese - responsabile dell’Area per la conservazione delle specie e degli habitat e per la gestione sostenibile delle aree agricole e forestali dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) - “Ogni albero sostiene la vita sul pianeta, offre riparo, cibo, acqua, legname, fibre, medicine, gomme, resine. La Fao stima che oltre un miliardo e mezzo di persone, tra cui la maggioranza dei popoli indigeni, dipendano dalle foreste per la loro sussistenza. Ogni albero assorbe anidride carbonica, contribuendo a mitigare l’effetto serra, e restituisce ossigeno all’atmosfera. Attraverso le radici e le chiome, specialmente nelle regioni montuose e collinari, gli alberi limitano l’erosione del suolo, controllano le acque meteoriche superficiali, prevengono le inondazioni, consolidano le sponde dei fiumi e dei torrenti, regolano la propagazione di parassiti e patogeni, guidano il riciclo di nutrienti come azoto e fosforo.”
Si tratta di funzioni fondamentali svolte, peraltro, da centinaia di milioni di anni.
Mentre si celebra questa giornata ciascun abitante della Terra dispone di circa 400 alberi. Ma poiché se ne perdono 15 miliardi all’anno, questo numero è destinato a diminuire: a 386 entro i prossimi dieci anni, a 260 per fine secolo.
Prima della discesa dagli alberi degli esseri che sarebbero diventati umani le foreste coprivano una enorme superficie della Terra. Oggi si contano tremila miliardi di alberi, ma erano almeno il doppio alla comparsa del genere umano. E prima che vi provvedessero gli ex scimmioni, furono soprattutto fulmini e eruzioni vulcaniche a ridurne la estensione. Poi è cominciata la deforestazione. Direi che era naturale e inevitabile che ciò avvenisse. Altrimenti vivremmo in otto miliardi in mezzo agli alberi e non avremmo avuto lo spazio per l’agricoltura e l’urbanizzazione. Il fuoco fu certamente di grande aiuto: «Stavolta l'hai fatta grossa, Edward» è il commento di Vania quando si rende conto che il fratello si appresta ad “addomesticare” il fuoco. Potresti bruciare la foresta. Che fine farei io allora?”. Questo dialogo tra i due fratelli che rappresentano il “progressista” e il “conservatore”, è solo il frutto della bella fantasia di uno scrittore, (Roy Lewis, Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, Adelphi, 1992) ma è anche così che è cominciata la deforestazione.
Dunque hanno il diritto di vivere gli alberi? Certamente sì. E noi abbiamo il dovere di tutelarne la presenza? Certamente sì perché senza o con meno alberi la nostra vita ne risentirebbe molto negativamente. È questa una risposta molto antropocentrica, se si vuole così giudicarla, ma poiché quello che conta è il risultato, fa comodo agli alberi (alle piante in genere) e all’umanità che se ne giova.
La storia ce lo ricorda con molti dei suoi dimenticati insegnamenti.
Il grande storico Fernand Braudel annoverava la deforestazione del Mediterraneo della quale i Romani erano stati grandi protagonisti per rendere sempre più numerosa la propria flotta navale, tra le cause della decadenza romana sino alla definitiva caduta dell’Impero romano d’occidente nel 476 d.C.
Ma, ricorda sempre Braudel, la deforestazione ancora più spinta fu verosimilmente la causa della decadenza del Mediterraneo nel XVI e ancora di più nel XVII secolo.
Oggi, dove più, dove meno, l’esempio romano si è diffuso in tutto il bacino e in tutto il Mediterraneo la superficie forestale ha subito gravi e talora irreversibili modifiche e distruzioni. Ne è un esempio evidente, in Italia, la Lucania che non a caso si chiamava così – terra di boschi - e che oggi, Basilicata, è una delle regioni più spoglie del Paese dopo essere stata diboscata prima dai romani poi dagli altri popoli che conquistarono queste terre.
Ancora oggi il bacino del Mediterraneo perde mediamente ogni anno circa un milione di ettari di foreste. Ma oggi non si costruiscono più navi di legno e questa perdita è dovuta soprattutto agli incendi. Incendi di tipo colposo ma ancor più doloso dal momento che spesso è questa la pratica utilizzata per guadagnare spazio all’agricoltura, al turismo, all’urbanizzazione incalzante. Soprattutto esposti sono i Paesi della sponda sud e di quella orientale (Marocco, Algeria, Tunisia, Siria, Libano e Turchia).
In più, oggi c’è un altro pericolo, un'altra aggressione al residuo patrimonio forestale, proveniente dai mutamenti climatici. Ne è un esempio significativo proprio il bacino del Mediterraneo, dove sono già in atto aumento delle temperature medie ed un aumento della frequenza e dell'intensità di eventi metereologici estremi (siccità prolungate, precipitazioni violente, inondazioni).
Perciò è particolarmente importante anche impegnarsi per prevenire e lottare contro i rischi naturali. Infatti un ambiente deforestato è anche un ambiente sguarnito nei confronti del verificarsi di fenomeni naturali calamitosi, primo fra tutti quelli legati al dissesto idrogeologico.
Poiché anche le foreste hanno la loro “giornata internazionale” organizzata dalle Nazioni Unite anche questa dal 2013, l’ONU nell’organizzarla ricordò che le foreste rappresentano il più importante serbatoio di biodiversità per l'80% delle specie animali e vegetali della Terra; garantiscono la protezione del suolo, la qualità dell'aria e delle acque e forniscono importanti beni e servizi pubblici per ben oltre 7 miliardi di persone. Inoltre, mitigano gli effetti dei cambiamenti climatici, poiché funzionano come serbatoi di assorbimento del carbonio, e forniscono una protezione naturale contro gli effetti del dissesto idrogeologico.
Di più, come sostengono alcuni ricercatori brasiliani sulla importante rivista americana PNAS, la deforestazione e la conseguente riduzione del manto forestale possono mettere in crisi la produzione di energia elettrica perché riduce l’apporto di acqua alle centrali idroelettriche. Questa osservazione è il risultato di uno studio sulla diga di Belo Monte in costruzione in Amazzonia nel bacino dello Xingu (Senza alberi c’è meno acqua, “l’internazionale”, 24 maggio 2013). Sono molti i Paesi in via di sviluppo come Brasile, Malesia, Perù, Vietnam nei quali la produzione di energia elettrica avviene con la costruzione di centrali alimentate da grandi dighe. Ebbene, queste dighe vengono costruite in zone tropicali a spese della deforestazione realizzata per fare spazio alla loro costruzione. In questo modo si riduce il vapore acqueo prodotto dagli alberi che provoca un aumento della piovosità e della portata dei fiumi che alimenterebbero le dighe. In sintesi e con riguardo allo Xingu che costituisce un importante esempio, secondo i ricercatori brasiliani, la deforestazione potrebbe provocare una diminuzione di afflusso di acqua oscillante tra il 6 e il 36% e la produzione di energia potrebbe ridursi del 60%.
È un elemento in più per sottolineare ulteriormente il ruolo insostituibile delle foreste per l’ambiente in generale e per il territorio sul quale sorgono in particolare.
Il 21 novembre e il 23 marzo capitano una volta all’anno e in queste giornate si celebra quanto ho sinteticamente ricordato. Poi? È sugli altri 363 giorni che bisogna insistere ed agire perché non si perda la memoria.