SCIENZA E RICERCA
Notre-Dame, serve un progetto contemporaneo, meditato e condiviso
Un progetto che sia espressione della contemporaneità, della collettività e non una semplice riproduzione dell’originale. Un progetto meditato, condiviso, anche visionario. Secondo Luigi Stendardo, docente del dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale dell’università di Padova e direttore del laboratorio ReLoad, la ricostruzione della cattedrale di Notre-Dame dovrebbe poter contare su una proposta di questo tipo. Dopo l’incendio divampato lo scorso 15 aprile, il primo ministro francese Édouard Philippe ha annunciato l’intenzione di lanciare un concorso di progettazione internazionale e le prime idee cominciano già a circolare. Dal pinnacolo di cristallo alla serra urbana, fino alle vetrate colorate. E il presidente Macron assicura che i lavori saranno conclusi nel giro di cinque anni.
“Quella di Macron è una dichiarazione politica prima di tutto – sottolinea Stendardo – ed è stata quantomeno azzardata, perché esistono dei problemi tecnici da affrontare. Devono essere consultati degli esperti, devono essere condotti studi adeguati ed è necessario capire effettivamente quali danni ci siano stati. Le indagini da fare sono molte e onestamente, sia per motivi tecnici che culturali, è opportuno che la ricostruzione si nutra di una riflessione, di un dibattito, di una costruzione di consenso che obiettivamente non si può fare in cinque anni”.
Riprese e montaggio di Tommaso Rocchi
Secondo il docente si tratta di un lavoro che non può essere svolto da un singolo esperto, ma deve essere condotto attraverso l’intersezione di molteplici discipline che vanno dalla chimica alla fisica applicate all’ingegneria, all’architettura, alle teorie del restauro, all’impiantistica. E questa multidisciplinarietà deve trovare la strada migliore per conservare ciò che è possibile e per restituire a Parigi e al mondo un’architettura straordinaria che cambierà dopo l’intervento e nel tempo, così come è mutata più di una volta dal XII secolo ad oggi.
“Alcune delle proposte di ricostruzione sono evidentemente delle provocazioni – sottolinea Stendardo –, mentre altre mettono la tecnologia prima dell’architettura. Si è detto che deve essere una soluzione tecnologicamente molto avanzata. Naturalmente ci sarà bisogno di tecnologia, perché sarà necessario essere molto delicati e molto attenti nell’accostare il nuovo all’antico. Non bisogna però invertire la logica delle cose: la tecnologia deve essere il mezzo per conseguire un fine che è quello della forma architettonica e degli usi a cui è adibito il manufatto”. In molte delle proposte circolate in queste settimane sembra invece che si debba fare sfoggio di tecnologia. Si tratta di un aspetto che nell’architettura è sempre esistito. La Torre Eiffel ad esempio, simbolo di Parigi, fu costruita anche per mostrare quanto la nuova tecnologia potesse essere ardita e conseguire dei risultati. Ma questo atteggiamento non deve prevalere sull’idea di architettura, di città, di paesaggio urbano.
Rifarsi all’antico, dunque, o guardare al presente per la ricostruzione della cattedrale? Secondo Stendardo l’architettura è una forma di pensiero che si deve confrontare con la contemporaneità. “Io credo che il progetto debba essere contemporaneo, e ciò non significa necessariamente ostentare tecnologia per il gusto di farlo. Deve essere una proposta meditata, su cui serve costruire un consenso, un dibattito”. Deve essere frutto di una partecipazione, in cui ognuno dà il proprio contributo sulla base delle proprie competenze. Deve essere il risultato di una grande espressione collettiva, così come è stato sempre nel tempo.
Un’architettura storica come Notre-Dame è un documento di storia dei materiali che va conservato per le future generazioni. Il cantiere di restauro e di progetto, però, deve essere inteso anche come occasione di studio, di dibattito, di uso e di riattribuzione di significati. “Siamo abituati a guardare al cantiere come a una specie di ‘buco nero’ e per questo si cerca di comprimerne al massimo i tempi. In realtà nella città è per eccellenza il luogo delle trasformazioni e l’architettura è qualcosa che si trasforma continuamente. Il cantiere di Notre-Dame può diventare una forma di architettura della città”. Le grandi cattedrali gotiche come Notre-Dame si costruivano in un periodo di tempo molto lungo e cominciavano a essere utilizzate, per officiare servizi religiosi ad esempio, quando ancora erano ben lontane dall’essere finite. La vita della collettività e la vita del cantiere che costruiva la cattedrale erano strettamente intrecciate. La cattedrale faceva parte della crescita della città, così come la sua costruzione. “Perché oggi non dovrebbe essere così? Trovo che il cantiere così concepito sia un’architettura della città, che cresce insieme ad essa, insieme alla cultura e al dibattito”.