SOCIETÀ

Nuove forme del vivere urbano

Da qualche anno a Vienna i segnali luminosi pedonali di alcuni semafori sono stati cambiati e il canonico omino stilizzato e apparentemente universale, perché solitamente pensato come maschile, è stato sostituito da segnali luminosi con coppie etero, gay e lesbiche. Piccoli cambiamenti che però indicano l’accettazione da parte dei politici locali di forme di convivenza che si sono diversamente articolate nel corso degli ultimi anni acquisendo legittimità sociale (e politica). Si tratta di un segnale preciso non tanto che la città è gay friendly come hanno gridato accorati politici e piattaforme omofobe più o meno sovvenzionate, quanto la presa d’atto di una sensibilità diffusa nella società.

La distanza rispetto a quanto accade 600 chilometri più a sud, a Padova, non potrebbe essere più stridente: cartelli che al minaccioso “zona controllo del vicinato” affiancano un’immagine apparentemente tranquillizzante che segnala una visione arcaica della pur tradizionale società italiana. Il poliziotto (municipale?) in compagnia di una sana famiglia eterosessuale composta da due genitori (uomo e donna) affiancati da una bambina e da due altri bambini, di cui uno in braccio, fornisce una rappresentazione limpida di un tipo di società ormai minoritaria – solo l’8% delle famiglie italiane ha tre figli – e terribilmente stereotipata.

Il messaggio scritto e l’immagine veicolano una rappresentazione che manipola e incute paura più che rassicurare. Il controllo del vicinato deve avvenire perché ci sono figure inquietanti nell’area, che siano spacciatori, o prostitute o disturbatori vari. In una città e in un Paese dove complessivamente i reati sono in calo da anni e dove aumentano prevalentemente le frodi informatiche e le violenze sessuali compiute largamente all’interno delle mura domestiche, rimane perlomeno discutibile lanciarsi in campagne che ricordano regimi solitamente poco democratici. Mi pare si tratti di una iniziativa nell’ambito di politiche di gestione di micro-comportamenti che dovrebbero fornire conforto e rassicurazione a quanti sono quotidianamente bombardati da social network, televisioni e quotidiani sulla pericolosità della vita moderna. Soprattutto è la categoria fondamentale nella vita moderna di fiducia che pare essere messa in discussione.

L’Arcella, che è tra i quartieri in cui questa sperimentazione del controllo del vicinato ha preso avvio, è un’area che negli ultimi anni aveva cominciato a riprendere fiato con iniziative importanti che avevano riportato gli abitanti negli spazi pubblici. Un quartiere che, diversamente dal racconto di disordine sociale, ha evidenziato una certa vitalità e capacità di confrontarsi e innovarsi rispetto alla composizione dei suoi ‘nuovi’ abitanti. Alcune iniziative comunali e l’attività del tessuto associativo diffuso hanno così permesso che alcuni piccoli spazi siano diventati luoghi di ritrovo e di socialità, sebbene spesso connessi alle attività commerciali. Iniziative quali il controllo di vicinato paiono però andare in direzione opposta, poiché costruiscono un’idea di legalità claustrofobica con un’opacizzazione delle competenze: per quanti commettono reati già operano infatti regolarmente le forze dell’ordine. Di quale legalità quindi stiamo parlando? 

La legalità sbandierata come il fondamento della democrazia e del diritto pare valere solo per quanti sono visibili nei loro micro-comportamenti delittuosi o semplicemente non in linea con l’idea piuttosto fantasiosa di una classe media decorosa e rispettabile. Il rigore e l’intransigenza riservate a questi comportamenti, sembrano stemperarsi quando devono essere applicate a quanti lasciano all’incuria edifici pubblici e privati quando non sono più redditizi. Mentre avanzano queste nuove legalità, Padova, una città con quasi 60 mila giovani studenti universitari che ambisce a strutturarsi come polo culturale di forte attrazione ben oltre i confini regionali e nazionali, riprende vecchie iniziative che mi pare puntellino, più che risolvere, i sentimenti di insicurezza sociale. La capacità di attrattività di una città non è infatti connessa tanto con il mantenimento di un ferreo ordine urbano, quanto con la tolleranza verso le forme di innovazione sociale che portano con sé comportamenti non collocabili nel conservatorismo convenzionale. Non deve quindi sorprendere che una parte consistente dei giovani universitari si fermi solo il tempo strettamente necessario per completare gli studi, cercando poi nuove strade dove poter esprimersi.

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