SCIENZA E RICERCA

Agli oceani manca l’ossigeno: nel 2021 superato forse il punto di non ritorno

Potrebbe essere già tardi per intervenire. Ancora una volta, potrebbe essere stato superato un punto di non ritorno; ancora una volta, la procrastinazione potrebbe essere stata fatale. Si tratta, questa volta, della salute degli ecosistemi marini: la conoscenza della loro struttura e del loro funzionamento è ancora relativamente scarsa, così come sono poche le informazioni che abbiamo circa l’impatto dei cambiamenti climatici su questa parte della biosfera.

Quel che sappiamo con certezza è che gli oceani stanno già ora soffrendo gli effetti della crisi climatica: con l’innalzamento delle temperature atmosferiche, infatti, anche le acque si riscaldano, e questo riduce la capacità di mari e oceani di immagazzinare ossigeno, sostanza chimica essenziale anche per gli organismi acquatici. La deossigenazione degli oceani è – insieme ad altre alterazioni, come l’acidificazione e l’innalzamento della temperatura media delle acque – uno dei più gravi problemi causati dal cambiamento del clima: la riduzione della quantità di ossigeno dissolto nell’acqua porta al deterioramento degli ecosistemi, causa la perdita di funzioni ecologiche, e mette a rischio la sopravvivenza di gran parte delle specie acquatiche.

Secondo uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’università di Shanghai, comparso su Geophysical Research Letters, nel 2021 il processo di deossigenazione degli oceani potrebbe aver superato il punto di non ritorno, allontanandosi in maniera significativa dalla naturale variabilità locale della quantità di ossigeno.

Per comprendere la rapidità e l’estensione del fenomeno, gli autori hanno calcolato secondo quali pattern nei prossimi decenni la deossigenazione interesserà gli oceani in relazione a due diversi modelli climatici, lo scenario IPCC RCP8.5 (quello in cui si simula che le emissioni aumentino rispetto ai livelli attuali) e uno scenario di basse emissioni. In entrambi i casi, i risultati mostrano una risposta simile: ad essere maggiormente interessate saranno le zone mesopelagiche, cioè la fascia verticale tra i 200 e i 1000 metri di profondità, che, nelle simulazioni, risultano quelle in cui il segnale di deossigenazione si manifesta prima (prima del 2080 nel 72% delle aree mesopelagiche globali).

Questa fascia dell’oceano è naturalmente la più povera di ossigeno: a differenza della zona epipelagica (la più superficiale), nella quale avviene la fotosintesi, e di quella batipelagica, nella quale la luce solare non penetra, in quest’area – contenente lo strato di termoclino, nel quale la temperatura dell’acqua si abbassa progressivamente – avviene la maggior parte dei processi di decomposizione, che consumano una gran quantità di ossigeno.

Per questo motivo, tutte le proiezioni suggeriscono che, nei prossimi decenni, la deossigenazione potrebbe essere maggiormente accentuata proprio nella zona mesopelagica, pur non risparmiando anche le altre aree dell’oceano. La differenza è che nello strato mesopelagico un processo di deossigenazione anomalo rispetto alla variabilità naturale è previsto già per il 2021 (con uno scarto possibile di ±4 anni), laddove le previsioni (nello scenario di alte emissioni RCP 8.5) parlano del 2030 per la zona batipelagica (± 9 anni) e del 2043 per la zona epipelagica (± 7 anni). Ripetendo le analisi su una scala geografica più ristretta, si nota come vi sia una discreta variazione a livello regionale, legata alla latitudine e al clima.

In ogni caso, la drastica riduzione della disponibilità di ossigeno che, con ogni probabilità, si verificherà negli oceani di tutto il mondo nei prossimi anni è drammatica. Un simile evento, infatti, renderebbe questo vastissimo ambiente non adatto ad ospitare la vita. Lo studio firmato dai ricercatori di Shanghai conferma non solo che la probabilità che i livelli di ossigeno negli oceani diminuiscano rapidamente è molto alta, ma anche che questo fenomeno è una diretta conseguenza del cambiamento climatico antropogenico.

Ad innescarlo, infatti, concorrono una serie di fattori. L’aumento della temperatura delle acque superficiali determina una minore solubilità dell’ossigeno, e una conseguente riduzione della quantità di ossigeno atmosferico che penetra nello strato epipelagico. Anche il fatto che le acque superficiali si riscaldino molto più rapidamente rispetto agli strati sottostanti favorisce la deossigenazione, in quanto porta a una maggiore staticità degli strati di acqua che, avendo differenze di temperatura sempre più ampie, tendono a mescolarsi con più difficoltà e, di conseguenza, a non “scambiare” ossigeno tramite le correnti di circolazione, che stanno a loro volta rallentando.

Anche gli oceani, come ogni altro ecosistema della biosfera, sono sistemi complessi, il cui equilibrio dinamico dipende da una vasta rete di interrelazioni. Se troppi fattori si modificano rapidamente, al sistema nel suo complesso risulta difficile (se non impossibile) preservare le proprie funzioni, e di conseguenza si sposta verso una condizione di disequilibrio. Gli oceani, tuttavia, sono un elemento essenziale per l’omeostasi dell’intero sistema terrestre: da essi dipende non solo la stabilità climatica e meteorologica, ma anche la funzionalità di un gran numero di ecosistemi. Ancora una volta, sperimentiamo direttamente la controintuitività degli effetti del cambiamento climatico.

Ed è sempre più probabile che a farne le spese siamo anche noi.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012