SCIENZA E RICERCA

La corrente del Golfo sta rallentando (e non è un bene)

Il clima terrestre è un sistema complesso, regolato da molti fattori interdipendenti. Fra questi vi sono le correnti marine: enormi flussi d’acqua che scorrono negli oceani di tutto il mondo influenzando le temperature e i modelli climatici di tutte le regioni della Terra. Fra le più vaste correnti che compongono la circolazione termoalina vi è il capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (Atlantic Meridional Overturning Circulation, AMOC), un flusso che trasporta acqua calda dall’equatore verso le regioni settentrionali dell’Oceano atlantico, flusso del quale fa parte anche la corrente del Golfo. Quest’ultima, lunga circa 10.000 km, è una delle più ampie e potenti (avanza a una velocità di circa 2 m/s) correnti oceaniche del pianeta: la sua presenza è di vitale importanza soprattutto per le regioni dell’Europa centrale e settentrionale, che dipendono da questo flusso di acqua calda equatoriale per mantenere la propria condizione climatica relativamente mite.

Negli ultimi mille anni, la grande cella convettiva che muove le acque dell’Atlantico tra l’Equatore e il Polo Nord è rimasta relativamente costante, garantendo una certa stabilità climatica soprattutto alle regioni temperate dell’emisfero boreale. Uno studio recentemente pubblicato da Nature Geoscience avverte, tuttavia, che nel prossimo futuro questa stabilità potrebbe diventare solo un ricordo: analizzando una gran quantità di dati pubblicati, gli autori hanno ricostruito l’evoluzione dell’AMOC dal 400 d.C. ad oggi, e hanno dimostrato come, negli ultimi duecento anni (e in particolare negli ultimi 70, cioè dalla metà del XX secolo), la corrente atlantica abbia subìto un generale rallentamento, che, dagli anni 2000 in poi, appare sempre più evidente. «Vi sono prove – sostengono gli autori dello studio – del fatto che l’AMOC stia rallentando in risposta al riscaldamento globale antropogenico – così come era stato previsto dai modelli climatici – e che sia, oggi, nelle condizioni più deboli da più di 1.000 anni».

La quantificazione delle variazioni è avvenuta prendendo in considerazione diversi proxies tra loro indipendenti, raccolti in numerosi luoghi dell’Oceano Atlantico, che sono stati utili per ricostruire le variazioni storiche di diverse caratteristiche delle acque oceaniche (dalle temperature superficiali medie, ai livelli di ossigeno, alle popolazioni di microrganismi). I dati offrono un quadro decisamente coerente, che dimostra come, prima del XIX secolo, il sistema della Corrente del Golfo abbia mantenuto valori stabili per moltissimo tempo. Dopo una prima fase di rapido declino, documentata nel corso degli anni ’60 del Novecento, da circa due decenni stiamo assistendo a una nuova, importante fase di decelerazione.

Sulle cause di questo fenomeno, gli studiosi sono d’accordo: è uno dei tanti effetti non lineari del cambiamento climatico generato dalle attività umane. Come spiega a Il Bo Live Antonello Pasini, fisico climatologo del CNR e docente di Fisica del clima all’Università Roma Tre, l’AMOC è un esempio di circolazione termoalina: il suo flusso è cioè regolato dalle variazioni della densità e della salinità delle colonne d’acqua in movimento.

L'intervista completa ad Antonello Pasini. Montaggio di Elisa Speronello

«Studi recenti hanno evidenziato la presenza di un cold blob nell’Atlantico settentrionale, a sud della Groenlandia: si tratta di una zona dell’oceano caratterizzata da temperature molto più basse del normale. A generare quella massa di acqua fredda è il ghiacchio della Groenlandia che, sciogliendosi, si mescola all’acqua marina, portandola a temperature molto vicine allo zero e, soprattutto, immettendo acqua dolce. L’acqua meno salina presenta anche una densità inferiore: questo impedisce alle correnti d’acqua così modificate di inabissarsi e causa il rallentamento della corrente che alimenta la cella atlantica».

Si tratta di una notizia decisamente preoccupante: la comunità scientifica, infatti, non è in grado di prevedere come il sistema climatico potrebbe reagire alla modificazione repentina di una delle sue componenti essenziali – in questo caso, una delle più importanti correnti oceaniche. Gli effetti del cambiamento climatico sono non lineari, e spesso difficili da comprendere, perché controintuitivi. Quanto sta accadendo nell’Oceano atlantico è un perfetto esempio della controintuitività di questo processo: «L’aumento delle temperature medie annuali, causato dalle attività antropiche, non comporterà un riscaldamento costante e uniforme in tutto il mondo», spiega Pasini. «Al contrario, come potrebbe accadere al nord Europa qualora la Corrente del Golfo continuasse a rallentare ancora (o se addiriturra si dovesse fermare), in intere regioni del globo potrebbero verificarsi drastici cali delle temperature».

Un’altra ricerca, pubblicata da Science Advances a giugno 2020, evidenzia come il rallentamento dell’AMOC – secondo le proiezioni, entro la fine del XXI secolo la forza dell’AMOC potrebbe diminuire di un terzo rispetto alla potenza registrata nel periodo 1961-1980 – potrebbe determinare un raffreddamento delle temperature oceaniche superficiali nell’emisfero boreale e, al contempo, il loro riscaldamento nell’emisfero australe. Inoltre, il rallentamento dell’inversione della circolazione atlantica meridionale potrebbe alterare il regime globale delle piogge, a causa della ridotta evaporazione delle acque oceaniche nelle zone divenute più fredde. Verrebbero profondamente modificati, in generale, i flussi energetici atmosferici, con evidenti impatti sulla distribuzione e la frequenza degli eventi meteorologici estremi.

«Spesso – conclude il professore – tendiamo a trascurare l’interconnessione che unisce ogni punto del nostro pianeta: quello che accade in una parte del mondo non ha mai effetti soltanto locali, ma ha sempre ripercussioni più o meno globali. È in atto, in altri termini, una vera e propria globalizzazione climatica. Ad esempio, il rallentamento della corrente del Golfo causato dalla fusione dei ghiacci del Polo Nord potrebbe anche instabilizzare il monsone africano, determinando periodi di grandi siccità nella regione del Sahel. In un sistema complesso come quello climatico globale ogni parte è sempre collegato a tutte le altre: è importante, dunque, cercare di comprendere l’“effetto cascata” che questi eventi possono generare. Non è solo una questione di conoscenza scientifica: eventuali mutamenti di vasta portata sugli equilibri climatici possono essere all’origine di instabilità sociale, migrazioni e conflitti. Dobbiamo esserne consapevoli».

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