SCIENZA E RICERCA

Le origini e l'evoluzione dell'attività vulcanica di Io

Io è uno dei quattro principali satelliti di Giove: assieme a Europa, Ganimede e Callisto, orbita attorno al gigante gassoso ad una distanza molto ravvicinata. I quattro satelliti sono anche conosciuti come galileiani, in quanto furono scoperti da Galileo Galilei nel lontano 1610: attraverso diverse osservazioni effettuate con il cannocchiale di sua invenzione, lo scienziato riuscì a studiare il movimento dei satelliti.

 Io risulta un corpo eterogeneo rispetto agli altri tre satelliti, poiché è costituito prevalentemente da rocce e da un’atmosfera rarefatta di anidride solforosa, mentre Europa, Callisto e Ganimede sono corpi ghiacciati. Inoltre, con i suoi circa 150 vulcani, Io si distingue per essere il corpo più attivo del sistema solare.

Ma a cosa è dovuta questa attività vulcanica tanto intensa? Ne abbiamo parlato con Francesca Zambon, ricercatrice dell’Inaf di Roma.

“L’intensa attività vulcanica su Io si verifica a causa di processi di riscaldamento: questi non sono spontanei, bensì indotti, e derivano da un tipo di risonanza orbitale detta risonanza di Laplace, la quale si ha quando due o più corpi hanno periodi orbitali esprimibili in numeri interi. Questo fenomeno coinvolge Ganimede, Europa e Io, i quali orbitano attorno a Giove in una risonanza di 1:2:4. Ciò vuol dire che nel tempo che Ganimede orbita una volta attorno a Giove, Europa lo fa due volte ed Io quattro. Questo processo provoca il riscaldamento mareale, che a sua volta genera l’attività vulcanica”.

Proprio grazie a questo elevato tasso di vulcanismo, la superficie di Io è sottoposta ad un continuo e rapido ringiovanimento, detto resurfacing. Infatti, a differenza per esempio della Luna, il satellite è praticamente privo di crateri da impatto, proprio perché questi ultimi, con le eruzioni vulcaniche, vengono continuamente nascosti e ricoperti. Pertanto, non è stato semplice comprendere da quanto tempo durasse l’interazione tra i tre satelliti e l’attività vulcanica che ne conseguiva. Zambon afferma che, attraverso alcuni modelli di riferimento, si è già compreso da tempo che la risonanza tra questi corpi celesti – e dunque l’intenso vulcanismo su Io -, continuano ininterrottamente da poco dopo la loro nascita, ovvero circa 4,5 miliardi di anni fa: stiamo parlando, quindi, di un processo molto lungo, che ancora oggi continua senza sosta.

Ma questa attività è sempre stata costante? O ha subito cambiamenti nel corso del tempo? È quello che cerca di comprendere uno studio, pubblicato su Science, svolto da alcuni ricercatori dell’università Caltech, in California. Ai fini dell’osservazione di Io, è stato utilizzato Alma, un telescopio dotato di 66 antenne e capace di recepire un range di lunghezze d’onda millimetrico sub-millimetrico. Il suo punto di osservazione è nel deserto di Atacama, in Cile, ed è utilizzato per studiare le atmosfere planetarie e nell’ambito degli esopianeti.

Le acquisizioni di Alma sono servite ai ricercatori per calcolare il rapporto tra due isotopi stabili dello zolfo – di cui è costituita in prevalenza l’atmosfera di Io -, e due del cloro, ottenendo, quindi, la distribuzione e il grado di abbondanza di questi composti. Ciò è stato calcolato sia per l’emisfero leading, ovvero quello che, per primo, va nella direzione del moto, sia per l’emisfero trailing, cioè quello che lo segue, ricavandone che la distribuzione di zolfo e cloro è quasi analoga in entrambe le zone del satellite.

Tuttavia, data l’elevata attività vulcanica su Io, lo zolfo e il cloro non vengono soltanto acquisiti, ma anche persi, in un ciclo chiamato outgassing.

“A venire rilasciati – afferma Zambon – sono composti volatili, come appunto quelli di zolfo, mentre gli elementi più pesanti rimangono all’interno del satellite. Ciò avviene a causa delle frequenti eruzioni vulcaniche, che provocano inevitabilmente la fuoriuscita di materiali”.

I ricercatori hanno dedotto che il tasso di perdita di questi composti sia molto alto, ma che in passato lo fosse ancora di più.

Cosa comporta, per Io, la diminuzione di questo tasso di perdita?

“Sicuramente l’attività vulcanica era maggiore un tempo – afferma la ricercatrice – “Anche se ancora oggi resta molto elevata”.

A detta di Zambon, i risultati di questo studio si possono descrivere su due livelli: uno più superficiale, che consiste nell’aver osservato con accuratezza l’atmosfera di Io e gli elementi che la costituiscono; un altro, più profondo, che si esplica nell’averci fornito maggiori dettagli sulla storia di Io e sull’evolversi nel tempo della sua attività vulcanica. Infatti, la ricerca ha avvalorato l’ipotesi che l’intenso vulcanismo su Io fosse presente fin dalla sua nascita, e, al contempo, ha compreso con più accuratezza a quali ritmi procedesse questa attività nel passato.

Le conclusioni dello studio potrebbero anche aiutare a studiare la possibile presenza di forme di vita sugli altri corpi celesti in orbita attorno a Giove. Certo, come spiega Zambon, Io è un satellite inospitale, perché è costituito da zolfo ed altri gas tossici, inoltre è molto vicino a Giove, dunque subisce in modo molto intenso le sue radiazioni: “Tutte queste caratteristiche – continua la ricercatrice – Rendono Io inadatto ad ospitare la vita. Diversa è, invece, la situazione sugli altri satelliti galileiani, poiché la loro conformazione farebbe pensare ad una possibile presenza di forme viventi. Ad esempio, è stato osservato che sotto la superficie di Europa e Ganimede c’è un oceano salato, cosa che potrebbe favorire la presenza di specie elementari”.

Missioni come Juice ed Europa Clipper mirano ad osservare l’atmosfera e la superficie di Ganimede, Europa, Giove e anche dello stesso Io; quindi in futuro, forse, ne sapremo di più. Nel frattempo, la scoperta dell’evoluzione dell’attività vulcanica riscontrata su Io ha rivelato dettagli di enorme interesse.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012