SCIENZA E RICERCA

La percezione del tempo: quegli orologi che non mettiamo al polso

Immaginiamo questa situazione: è sera e siamo al pub con i nostri amici. Ci stiamo divertendo, la luce è quella giusta, le chiacchiere sono interessanti e anche il gruppo sul palco non è male. Eppure verso le 11 cominciamo a sbadigliare, la nostra attenzione diminuisce e il vicino ci guarda piuttosto infastidito, visto che sta parlando di un argomento che gli sta molto a cuore.
A questo punto dobbiamo impegnarci e recuperare tutte le energie mentali rimanenti per spiegargli che il problema non è il suo eloquio, ma il fatto che da anni andiamo sempre a dormire alle 11, e quindi è entrato in gioco uno dei nostri orologi biologici. Ma esattamente cosa sono? E come ci permettono di registrare lo scorrere del tempo? Lo abbiamo chiesto a Gabriele Andreatta, biologo evoluzionista all'Università di Vienna.

Servizio e montaggio di Anna Cortelazzo

Andreatta ci spiega che un orologio biologico è un meccanismo interno alle nostre cellule che è costituito da un insieme di geni e proteine, quindi molecole, che interagendo tra di loro anche in modo complesso possono generare eventi molecolari che si ripetono nel tempo in modo ciclico, permettendo a cellule e organismi di organizzare alcune delle loro funzioni più importanti, come per esempio il ritmo sonno/veglia. "Per poter parlare di orologio biologico - aggiunge Andreatta - questo meccanismo deve avere alcune caratteristiche: deve essere in grado di riallinearsi e risincronizzarsi con i cicli ambientali del luogo in cui ci troviamo e allo stesso tempo deve essere in grado di mantenere la ritmicità caratteristica anche in assenza di questi cicli. Infine, deve funzionare in modo corretto alle diverse temperature che noi possiamo incontrare durante il giorno e durante la nostra vita".
Di solito, quando chiacchierando menzioniamo l'orologio biologico, facciamo riferimento a quello circadiano, che è quello più studiato e che però è solo uno degli orologi biologici esistenti: "L'orologio circadiano - precisa Andreatta - come suggerisce il nome stesso ha una ritmicità all'incirca di 24 ore, ma ce ne sono anche altri con periodi più brevi, come gli orologi circatidali che hanno dei ritmi all'incirca di 12.4 ore, simili a quelli delle maree, gli orologi circalunari o circaannuali che hanno rispettivamente una ritmicità di circa 29.5 giorni, cioè quasi un mese, e di circa 365 giorni, quindi un anno".Non  tutte le specie possiedono tutti questi orologi e ognuna può possederne diverse combinazioni in base alla propria storia evolutiva e ai propri adattamenti. Molte specie marine li possiedono tutti, mentre l'essere umano no.

In che modo possono aiutarci a percepire il tempo che passa? Tutto parte da alcune informazioni ambientali che si presentano in modo regolare e costante, e che vengono raccolte senza prestarci troppa attenzione. Alcune di queste informazioni sono indipendenti dalla nostra volontà, per esempio l'alternanza del giorno e della notte, ma su altre possiamo avere un relativo controllo: "Se siamo molto precisi nelle nostre abitudini - spiega Andreatta - anche il fatto di andare a letto sempre la stessa ora, il fatto di mangiare sempre alla stessa ora o di fare per esempio una corsa al mattino sempre alla stessa ora, in linea di principio ci possono fornire informazioni utili per sincronizzare i nostri orologi, in questo caso circadiani, sui ritmi della nostra vita e del nostro ambiente".
È uno dei motivi per cui a chi soffre di insonnia viene consigliato di andare a dormire sempre alla stessa ora, il più vicina possibile al tramonto del sole: la speranza è che, sviluppando questa abitudine, tra l'altro coerente con l'ambiente, alla persona venga sonno senza che si debba sforzare. Pazienza se per una volta va al pub e il suo amico non lo vede coinvolto dalla conversazione: un buon amico capirà, mentre i disturbi del sonno sono mediamente meno tolleranti (e tollerabili!).

Non tutte le nostre reazioni all'ambiente esterno, però, sono mediate da un orologio biologico. Andreatta ci ricorda che in alcuni casi la risposta è diretta, come succede all'essere umano di fronte all'alternanza delle stagioni, che ha degli effetti oggettivi sulla nostra biologia (noi ce ne accorgiamo per esempio quando ci troviamo ad avere sbalzi di umore o un aumento o diminuzione di appetito) anche se nella nostra specie non sono ancora state trovate evidenze di un orologio stagionale: se eliminassimo queste informazioni ambientali, questi effetti sulla nostra biologia probabilmente sparirebbero. Ci sarebbe quindi un cambiamento molto veloce, e non ci porteremmo dietro gli effetti dell'ambiente esterno come accade invece nel caso del jetlag. Come quasi tutti sanno, se viaggiamo in aereo, in particolare verso est, e attraversiamo diversi fusi orari, nei giorni successivi possiamo essere più stanchi e sentire un certo malessere. "Questo accade - spiega Andreatta - perché l'orologio circadiano ha una sua ritmicità endogena. Può certamente sincronizzarsi con i ritmi ambientali di una certa località, ma se il cambiamento è improvviso e i tramonti non avvengono più nello stesso momento si sviluppa una situazione di conflitto in cui il nostro orologio biologico cerca di riallinearsi con le nuove condizioni ambientali, ma allo stesso tempo una parte del nostro corpo risponde ancora a quei ritmi su cui eravamo sincronizzati prima di partire."
Eppure alcune persone prendono voli intercontinentali senza troppi problemi, e, superata una certa invidia, potremmo chiederci se esiste un modo per essere come loro. Purtroppo no, perché è una questione genetica, e anche se ci sono degli accorgimenti per tamponare il problema è come quando indossiamo delle lenti a contatto azzurre pur avendo gli occhi castani: non è la stessa cosa.

Tra l'altro il jet lag è un problema relativamente sopportabile quando si parla di orologio circadiano, perché si risolve in fretta. Molto peggio, ricorda Andreatta, è quello che accade quando siamo costretti a lavorare con turni che troppo si discostano dal ritmo dell'ambiente in cui ci troviamo. Vari studi hanno dimostrato che questo può favorire l'insorgenza di problemi di salute anche gravi, a cui può andare incontro anche chi di sera si espone costantemente a fonti luminose artificiali come la luce dello smartphone o del tablet. Idealmente dovremmo andare a dormire al tramonto e svegliarci all'alba, ma questo, soprattutto in inverno, non è possibile nella nostra società. Sicuramente, però, la maggior parte di noi può sforzarsi di spegnere il cellulare alle nove di sera, o almeno di togliere la suoneria e tenerlo girato sul tavolo, contando di sentire la vibrazione se dovesse esserci un'emergenza (no, l'ultimo gossip postato su Facebook dal vicino di casa non è catalogabile alla voce "emergenze").

Del resto gli orologi biologici hanno aiutato sia noi sia altri animali nel viaggio evolutivo, fornendoci grandi vantaggi. Andreatta usa come esempio le specie per cui potrebbe essere importante andare alla ricerca di cibo poco dopo l´alba, quindi in condizioni di buona illuminazione ma quando le temperature non sono troppo elevate durante il giorno. Grazie all'orologio circadiano, gli individui possono prevedere l´arrivo del momeno opportuno e cominciare ad attivare in anticipo specifici processi metabolici che consentono loro di sfruttare al meglio il tempo a disposizione. Questo eseplifica il vantaggio di questiquesti orologi, e come hanno favorito gli esemplari che li possedevano, mentre la loro origine resta più enigmatica, anche perché potrebbe dipendere dal tipo di orologio in questione.
Quello che è certo è che questi meccanismi sono presenti non solo nell'uomo e negli altri mammiferi, ma in quasi tutte le specie, comprese quelle acquatiche. Anche per questo, modificare artificialmente l'ambiente esterno, che sia con uno smartphone o con delle luci sempre accese in città e periferie, può alterare drammaticamente i ritmi della vita di moltissime specie, mettendo in pericolo l´esistenza stessa di interi ecosistemi, con danni irreparabili per la biodiversità.

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