Cesare Pavese al liceo d’Azeglio nel 1927. Foto: Angelo Palma/A3/Contrasto
Sono passati 70 anni dalla morte di Cesare Pavese e sono quindi scaduti i diritti d'autore: molte case editrici lo stanno ripubblicando, declinando prefazioni ed estetica a seconda del target di riferimento. In questo modo si riesce a intercettare collezionisti e habitué ma anche lettori occasionali, che possono così apprezzare contenuti per certi versi ancora molto attuali. Ma quali sono i temi ricorrenti nell'opera di Pavese, e cosa può trasmetterci un autore così radicato nel suo tempo? Ne parliamo con Luigi Matt, giurato del Premio Campiello e professore di storia della lingua italiana all'università di Sassari.
Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Elisa Speronello
La vita di Pavese è caratterizzata da una profonda difficoltà a trovare il proprio posto nel mondo: come un novello Tonio Kröger, non riesce a sentirsi a suo agio né nella campagna della sua infanzia, né nella grande città. Il rapporto con i luoghi si riflette su quello con le persone: pur avendo avuto legami di amicizia molto intensi e storie d'amore che di volta in volta gli avevano dato nuove speranze, un senso di invalicabile estraneità lo aveva sempre tenuto in qualche modo separato dai luoghi in cui abitava, dalle persone, dal resto del mondo e probabilmente anche da se stesso.
"Questo - spiega Matt - emerge un po' a tutti i livelli: innanzitutto dal punto di vista del radicamento geografico, perché lui era nato in un piccolo paese delle Langhe, ma poi, orfano di padre, era stato costretto a trasferirsi a Torino e in questa nuova collocazione non si era mai sentito del tutto a casa: in una pagina del diario, per esempio, parla di Torino come una possibile amante ma mai come una sorella o una madre, quindi sono i luoghi della sua infanzia ad assumere una connotazione più familiare. Anche in ambito politico è successa la stessa cosa: Pavese era stato incarcerato e poi mandato al confino per antifascismo, anche se in realtà non è che fosse stato particolarmente impegnato in attività antifasciste: aveva pagato alcuni aiuti prestati ad amici antifascisti militanti. Poi dopo la Seconda Guerra mondiale si era iscritto al Partito Comunista, ma neppure lì aveva trovato veramente una casa, perché i vertici del partito hanno sempre guardato con un certo sospetto la scrittura di Pavese, in particolare per certi aspetti di irrazionalismo che non erano congruenti con la linea del partito".
“ Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti Cesare Pavese
Matt spiega poi che questa estraneità si estrinsecava anche sul piano culturale: mentre la poesia italiana viaggiava compatta sulla linea dell'ermetismo, lui pubblicava la sua prima raccolta di poesie Lavorare stanca, decisamente più narrativa. In generale poi Pavese è sempre stato più influenzato dalle opere americane, di cui tra l'altro era traduttore, che da quelle italiane.
Fatta questa premessa, è facile comprendere perché uno dei temi più ricorrenti in Pavese è la dicotomia campagna/città: "Questa opposizione - spiega Matt - si può declinare in vari modi, per esempio c'è quella tra l'infanzia e la maturità e, più in generale, tra il passato e la modernità". Un rimpianto a cui Pavese non vorrebbe arrendersi, e questo spiega la sua tendenza a farsi abbagliare dalla speranza di un futuro che poi si rivelerà sempre deludente, contribuendo a quella sensazione di non essere mai all'altezza delle altre persone né tantomeno della storia che gli scorreva intorno. Un altro dei temi a cui questo autore è molto affezionato è quello del ritorno, visto in chiave mitica: "Il mito - dice Matt - è fondamentale, ed è uno degli aspetti che rende la sua scrittura diversa da quella dei contemporanei. Un mito in particolare è quello su cui è basata tutta l'Odissea, cioè il nòstos, il ritorno, da cui anche la parola nostalgia. C'è sempre un tentativo di ritorno alle origini, per esempio ne La luna e i falò il protagonista torna nel luogo di nascita, ma come sempre in Pavese è un ritorno in parte deludente, perché dell'infanzia non ci si può mai davvero riappropriare, e poi, rispetto all'Odissea, è un mito in qualche modo scaduto, non è rimasto più niente di eroico".
Di contro, invece, c'è una certa dose di realismo, in apparente antitesi con la sua tendenza classica. Questo emerge quando Pavese rappresenta la cruda realtà dei fatti, per esempio quando descrive il modo di vivere delle persone disagiate e in generale il conflitto tra le classi sociali, "ma tutti questi aspetti - aggiunge Matt - sono trasfigurati nel mito. Le due cose vanno insieme, spesso fondendosi, in alcuni casi divaricandosi. Per esempio impressiona che nel 1947 Pavese faccia uscire due libri praticamente opposti: Il compagno, forse l'unico dei suoi romanzi che si può considerare a suo modo neorealista, e Dialoghi con Leucò, un testo difficilmente inquadrabile in un genere letterario, che guarda invece alla Grecia antica. Questi libri ci fanno vedere una direzione diversa, ma in generale i testi di Pavese cercano una possibile conciliazione tra questi due aspetti e forse l'impossibilità di conciliare gli opposti rappresenta tutta la cifra di Pavese, letteraria ma forse anche mentale".
Ma cosa può trovare in Pavese il lettore di oggi? "Credo - dichiara Matt - che il lettore di oggi, in particolare quello giovane, possa trovare in Pavese un'attualità paradossale: è evidente che i modi di vita che Pavese rappresenta nei suoi romanzi sono di fatto arcaici, ma alcuni temi sono costanti della storia dell'umanità, per esempio la difficoltà di trovare un ruolo definito nel mondo a livello sociale e a livello dei rapporti personali, e questo è qualcosa che caratterizza tutti gli adolescenti da sempre. Molte delle cose che troviamo nel diario Il mestiere di vivere potrebbero essere scritte da un giovane di oggi, ed è d'altronde quello che Pavese cercava nella letteratura antica: anche nell'Odissea vengono descritti modi di vita lontanissimi dai nostri e quasi incomprensibili, ma alcune dinamiche psicologiche sono universali. Calvino già 10 anni dopo la morte di Pavese suggeriva di riappropriarsi della sua opera tenendo una certa distanza, senza cercare di attualizzarla a tutti i costi. Non si può cercare una rappresentazione del mondo di oggi nei romanzi di Pavese, ma si possono trovare le risposte alle domande fondamentali che tutti si pongono, ed è questo che fa la grande letteratura".