Credits Razor Film Al Mansour's Establishment for Audio
La condizione delle donne in Arabia Saudita è un tema su cui i media non si soffermano spesso. Insomma, farsi un’idea è difficile, ma per fortuna c’è il cinema, che offre l’occasione di avvicinarsi anche a culture molto diverse dalla nostra. Nel caso specifico, abbiamo la prima e unica regista donna dell’Arabia Saudita, Haifaa al-Mansour, che nel 2012 era sbarcata a Venezia con La bicicletta verde nella sezione Orizzonti e che quest’anno è tornata con A perfect candidate, questa volta in concorso. Durante la conferenza stampa dice che sì, di recente sono stati fatti dei passi avanti (nel 2018, per esempio, sono stati riaperti i cinema, che erano chiusi dal 1983), ma bisogna continuare, anche perché troppo spesso sono le stesse donne le più restie ad accettare il cambiamento. A perfect candidate è un po’ l’emblema delle storie che vorremmo ascoltare più spesso: Maryam è un medico saudita, che vive senza rassegnazione le ingiustizie legate al suo genere. Quando un paziente si rifiuta di farsi toccare da lei e un suo collega la invita a mandare un infermiere maschio con cui sicuramente il malato si sentirà più a suo agio, non si arrende e si ripresenta dall’uomo per dirgli che l’infermiere che stimava tanto aveva sbagliato la sua diagnosi, e che se lei non lo avesse operato avrebbe avuto guai peggiori. Il paziente accetta, ma solo a patto di essere sedato prima che la donna lo tocchi. Un’ipocrisia che si può riscontrare a tutte le latitudini: pochi pensano che le donne siano delle incapaci a prescindere, ma per molti non è appropriato che facciano notare le loro abilità.
A perfect candidate è un po’ l’emblema delle storie che vorremmo ascoltare più spesso: Maryam è un medico saudita, che vive senza rassegnazione le ingiustizie legate al suo genere. Quando un paziente si rifiuta di farsi toccare da lei e un suo collega la invita a mandare un infermiere maschio con cui sicuramente il malato si sentirà più a suo agio, non si arrende e si ripresenta dall’uomo per dirgli che l’infermiere che stimava tanto aveva sbagliato la sua diagnosi, e che se lei non lo avesse operato avrebbe avuto guai peggiori. Il paziente accetta, ma solo a patto di essere sedato prima che la donna lo tocchi. Un’ipocrisia che si può riscontrare a tutte le latitudini: pochi pensano che le donne siano delle incapaci a prescindere, ma per molti non è appropriato che facciano notare le loro abilità.
Haifaa al-Mansour con le protagoniste - Foto di Massimo Pistore
Ogni battaglia, però, alla lunga sfianca, e Maryam vuole andarsene, in un ospedale più grande in cui non si lavora solo in condizioni di emergenza e in cui, soprattutto, le auto possono portare i malati fino alla porta: la strada di fronte all’ospedale in cui lavora, infatti, non è asfaltata, e quando piove le auto non possono procedere. Dopo ripetute richieste di asfaltare la strada, Maryam si rende conto che nessuno le darà mai retta. Nel frattempo cerca di andare a Dubai per fare un colloquio per trasferirsi, ma il suo permesso di viaggio è scaduto. Non lo può rinnovare senza il consenso del suo tutore ma suo padre è in tournée, così decide di rivolgersi a un parente influente. Per essere ricevuta, però, deve candidarsi per il consiglio municipale. Il parente non vuole prendersi la responsabilità di firmarle il permesso di viaggio in assenza del padre, così Maryam fa buon viso a cattivo gioco: almeno, se viene eletta, potrà far asfaltare la strada di fronte all’ospedale.
Mila Al Zahrani nel film è Maryam - Foto di Massimo Pistore
A questo punto il film si rivela, inaspettatamente, una commedia: non viene più messo l'accento sulle ingiustizie di genere, ma sul rapporto di sorellanza che porta Maryam e le sue sorelle a organizzare una campagna elettorale prendendo spunto dalle guide su YouTube. Per quanto la condizione femminile in Arabia Saudita presenti ancora molte criticità, lo spettatore si rende conto che queste donne sono più vicine a quelle occidentali di quanto si potrebbe pensare e soprattutto che si può ridere anche di fronte a un'ingiustizia, grazie alla vena di ironia che contraddistingue le donne in gamba, indipendentemente dalla religione e dalla provenienza geografica.