SOCIETÀ

Polis-urbs-civitas. Dal passato al futuro

Molte delle diagnosi offerte dal contributo di storici della città e del territorio sono state essenziali ai geografi e agli analisti della città del nostro tempo: assai più di quanto non si creda, ma pure assai meno di quanto sarebbe necessario a giudicare dalla letteratura geografica e urbanistica che a volte ci sembra asettica e non sufficientemente radicata nel fecondo spessore della storia. Ma affinando l’indagine e aggiornandola, spostandola al di là del vecchio mondo ci si avvede che spesso sono entrate in crisi tutte le categorie di cui ci si è avvalsi. Chi ha una qual certa frequentazione con le ricerche più attendibili della geografia urbana può testimoniare che la scuola anglo-americana si è guadagnata un netto vantaggio. Ed è presto detto il perché. Sono gli Stati Uniti il grande motore di una dimensione metropolitana in cui l’innovazione tecnologica e le telecomunicazioni si sono imposte con una forza e una capacità di penetrazione senza precedenti: una tendenza che ha poi contagiato l’Estremo Oriente e la vecchia Europa. Il carattere della superville come Parigi, Londra o New York, della Weltstadt – la parola tedesca mi pare più efficace: significa alla lettera città-mondo – o della Global City è per sua natura sovranazionale e centro di un gorgo informatico. Oggi la rete è invisibile: i satelliti, le autostrade informatiche, i nuovi e ancora inesplorati fronti delle tecnologie più avanzate sono la vera maglia che tiene assieme questo sistema. Singapore città-stato è l’esempio più clamoroso di Global City esplosa nel corso soltanto di qualche decennio. Così ragionando si possono meglio capire tutte le difficoltà e le anomalie di una tassonomia del fenomeno metropolitano: ci si muove con grande destrezza nel creare un sistema classificatorio e poi nel sottolinearne la precarietà o la parziale inadeguatezza. Ma questo “mondo dei ricchi” è alla fin fine una piccola parte della realtà in cui si vive: le sterminate periferie delle metropoli d’Africa, Asia e America Latina non hanno satelliti, non hanno reti telematiche, non si avvalgono del telelavoro – perché il lavoro per loro è solo una parola priva di senso – né vivono le angosce della mobilità: al contrario, milioni di uomini sono costretti a muoversi il meno possibile dai loro giacigli perché l’alimentazione della sopravvivenza non consente soverchi sforzi muscolari. Esplode già agli esordi del ventesimo secolo il fenomeno delle città milionarie e poi multimilionarie: il filo statistico di questa crescita esponenziale è di per sé significativo e impressionante. Che oggi al mondo ci siano 27 città con più di 5 milioni di abitanti è un puro dato statistico: ma sarebbe difficile riconoscere a molte di esse la qualifica di Weltstadt o di Global City; 10 città hanno superato il club ristretto di quelle che contano oltre dieci milioni di abitanti. Tra esse Tokyo (25 milioni), New York (16 milioni), Città del Messico (15 milioni), Shanghai (13,5 milioni), San Paolo (14 milioni), Bombay (12 milioni), Los Angeles (11 milioni), Pechino, Calcutta, Buenos Aires, Seoul, Osaka tutte intorno ai 10 milioni. Le previsioni sono che tra 25 anni la popolazione urbana raddoppierà, superando i 5 miliardi e naturalmente il 90 per cento di questa esplosione investirà Africa, Asia e America Latina. Nei Paesi ricchi la popolazione si concentrerà ulteriormente in città, superando la soglia del 75 per cento del totale. 

Ma è possibile una lettura omogenea – motivatamente stringata – di un fenomeno come quello della città alla soglia del 2022? Sergio Bertuglia e Franco Vaio hanno curato molte ricerche in tal senso. I cambiamenti e le tendenze che condizionano gli aspetti e le funzioni delle metropoli del futuro sono di certo il piatto più piccante, ma ogni metropoli è sempre unica e questo conviene non dimenticarlo mai. Sulla mobilità e dunque sui problemi connessi del traffico, del consumo energetico ogni automezzo si servirà del Global Positioning System: il sistema – già operante oggi su alcuni automezzi, con un raggio geografico operativo ancora ridotto – avrà dei ricevitori collegati a un satellite capaci di dare la posizione del veicolo in ogni momento e di guidarlo per la strada meno trafficata così come fanno i controllori di volo con gli aerei. Lo stesso sistema potrà essere utilizzato per l’ottimizzazione del trasporto ferroviario di merci, dello smaltimento dei passeggeri nelle reti metropolitane. Il risparmio con questo sistema di ottimizzazione potrà essere notevole e potrà essere reinvestito per snellire tutti i traffici e attrezzare meglio i servizi. «La disponibilità pressoché illimitata di informazioni – scrisse Arno Penzias – e il loro controllo ci risparmierà gli aspetti più noiosi della vita quotidiana». Il costo di non sapere cosa accade intorno a noi è molto alto, si pensi solo alla congestione del traffico. Il governo dell’informazione conferirebbe alla società molte caratteristiche dell’essere vivente e in buona salute. 

 

Richard Florida è uno dei maggiori studiosi di città metropolitane e in un volume, L’ascesa della nuova classe creativa (pubblicato in Italia nel 2003), fa una diagnosi molto persuasiva sul presente. In una recente intervista a La lettura del Corriere della Sera insiste sul fatto che la pandemia ha accelerato le esigenze della classe creativa divenuta più consapevole di sé. L’equazione great projects, great people, great space si è amplificata. Taluni dati sono evidenti: le aziende non potranno costringere le persone a lavorare in torri sigillate e i quartieri del business saranno completamente ripensati. Ma questo non vuol certo dire che le città andranno scomparendo. I giovani tornano a New York con il calo dei fitti. L’Europa è più preparata a questo modo di vivere e lavorare. A Parigi, ma anche città come Barcellona e Milano la separazione tra luogo di lavoro, di commercio e di residenza non sono più così nette e il pendolarismo si è ridotto. L’Italia ha il vantaggio di avere tanti piccoli centri che sono sistemi di lavoro misti. Florida che, come dice il nome, è di origini italiane non esita a dire che la costiera amalfitana, pur non essendo una città, non va considerata solo una meta turistica ma piuttosto un paradigma del nuovo modo di lavorare “casual”: lavorare da remoto con la tecnologia del nostro tempo. Un paradigma e un modello, la costiera, e «Quando parlo con manager e dirigenti americani o australiani è diventato un mantra: Amalfi Coast, Amalfi Coast!».

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