SOCIETÀ

Presente e futuro della transizione energetica

Il 2021 è un anno molto importante per il clima del pianeta Terra, per almeno tre motivi.

Il primo e più importante di tutti è che a novembre si terrà a Glasgow, dopo essere stata rimandata di un anno, la 26ma Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico (Cop26) in cui i Paesi dell’Onu dovranno mettere in pratica gli Accordi di Parigi e presentare un piano d’azione coordinato per far fronte alla crisi climatica. Il Regno Unito sarà la nazione ospite in partnership con l’Italia: a Milano infatti si terranno gli eventi preparatori dal 28 settembre al 2 ottobre, tra cui un'assemblea per i giovani e il vertice Pre-Cop. L'Italia quest'anno avrà anche la presidenza del G20, all'interno del quale lo sviluppo sostenibile e la lotta ai cambiamenti climatici saranno i temi di lungo raggio di maggiore importanza.

Di cambiamento climatico si parla da più di trent'anni, mai come ora l'argomento è arrivato (finalmente verrebbe da dire) in cima all'agenda politica e mediatica. L'azione più urgente per cambiare la rotta che ci ha condotto all'odierno accumulo di CO2 in atmosfera è la dismissione di fonti fossili, come carbone, petrolio e gas, traghettando le grandi aziende energetiche verso fonti più pulite. Il tempo a nostra disposizione è scarsissimo, come ci ricorda, tra gli altri, lo scrittore e giornalista Bill McKibben intervistato da Elisabetta Tola. Le azioni contro il cambiamento climatico dovranno essere decise e non ammettere più esitazioni.

Il Bo Live offrirà al suo pubblico un percorso di avvicinamento alla Cop26 con una serie di approfondimenti dedicati alla transizione ecologica necessaria a decarbonizzare e a rendere sostenibili le nostre economie. La Transizione Energetica sarà uno dei tre filoni che seguiremo, assieme ai piani di mitigazione e adattamento e alle iniziative per un'economia circolare.


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Le emissioni di gas climalteranti sono responsabili dell’aumento della temperatura del nostro pianeta e la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è giunta a inizio 2021 a circa 415 parti per milione (ppm). È un trend che cresce da oltre un secolo: per tutto l’800 questo valore si è tenuto al di sotto delle 300 ppm, negli anni ‘50 del ‘900 si manteneva intorno a 310, negli anni ‘90 abbiamo sfondato quota 350 e nella scorsa decade abbiamo sforato oltre le 400 ppm, nonostante gli appelli e i tentativi di ridurre le emissioni.

L’obiettivo è quello di rendere le nostre società carbon neutral, ovvero azzerare le emissioni di gas climalteranti entro il 2050 per quanto riguarda l’Europa e gli Stati Uniti, entro il 2060 per quanto riguarda la Cina. Sono previste anche alcune tappe intermedie. Entro il 2030 l’Europa ad esempio vuole abbassare del 55% rispetto al 1990 le proprie emissioni. Siamo nel 2021: significa che nei prossimi 10 anni dovremo fare meglio di quanto non abbiamo fatto nei 30 anni precedenti. È una sfida enorme, epocale, generazionale e il tempo non è dalla nostra parte.

Questa transizione ecologica sarà in larga parte, ma non solo, una transizione energetica. Dobbiamo dipendere sempre meno dai carburanti fossili (carbone, gas, petrolio e suoi derivati), campioni di emissioni di gas climalteranti, affidandoci sempre più a fonti di energia pulita, libera da CO2 e rinnovabile: l’obiettivo europeo è arrivare almeno al 32% di utilizzo di energie rinnovabili entro il 2030.

Oggi l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili, come il fotovoltaico, costa molto meno ed è al contempo molto più efficiente rispetto a solo pochi anni fa. Lo stesso dicasi per le batterie, diventate fortemente concorrenziali in settori quali i trasporti leggeri (dall’auto in giù fino alla bicicletta). Oggi la gran parte del sistema di riscaldamento è basato sulla combustione di gas metano, ma le pompe di calore elettriche potrebbero aumentare la loro percentuale di penetrazione nella domanda per le stesse ragioni di costi, efficienza e sostenibilità ambientale. Altre soluzioni, come l’idrogeno, potrebbero andare a sostituire fonti energetiche altamente impattanti come il carbone nell’industria pesante, il cui abbandono è previsto per il 2025, e il diesel nei trasporti pesanti. Bisogna però fare attenzione e distinguere tra soluzioni realmente sostenibili e altre solo apparentemente verdi: il greenwashing è sempre in agguato.

La transizione energetica comporta cambiamenti non solo tecnici ma anche culturali, di sistema: per ridurre gli sprechi, modelli come l’autoproduzione di energia e l’autoconsumo verranno incentivati, anche favorendo la creazione di comunità energetiche. Il che di conseguenza porterà a un cambiamento del mercato energetico, che dovrebbe porre al centro il consumatore, il quale potrà beneficiare della concorrenzialità di un mercato che dovrebbe passare da un assetto centralizzato a uno distribuito.

La transizione energetica dovrà essere sostenuta dalla ricerca, necessaria a portare al grado di sviluppo desiderato tecnologie sempre più efficienti e con sempre meno impatto ambientale. Occorrerà lavorare sia sui sistemi di produzione sia su quelli di accumulo. L'innovazione dovrà essere sostenuta da politiche lungimiranti, che incentivino le soluzioni sostenibili e disincentivino quelle che hanno contribuito a creare il problema che ci troviamo a dover risolvere. E soprattutto andrà accompagnata da una partecipazione attiva e consapevole della cittadinanza, e dunque da un ecosistema mediatico e informativo responsabile.

Il secondo motivo per cui il 2021 è un anno particolarmente importante per il clima del pianeta è che a quest’assemblea mondiale sul clima, la Cop26, siederanno anche gli Stati Uniti, che con la guida di Joe Biden sono rientrati all’interno degli Accordi di Parigi sottoscritti nel 2015 e hanno dato forti segnali di discontinuità rispetto alla precedente amministrazione Trump che da quegli accordi si era sfilata. Senza gli Stati Uniti, che sono ancora la prima economia mondiale (anche se la Cina sta riducendo anno dopo anno la distanza), non ci sarebbe stata alcuna speranza di raggiungere gli obiettivi prefissati. L’amministrazione Biden nei suoi primi mesi di lavoro ha messo la scienza e l’ambiente al centro dei propri piani di sviluppo. C’è da augurarsi che le aspettative non vengano disattese.

Allo stesso modo l’Italia ha inaugurato quest’anno un nuovo governo, il cui mandato è volto ad affrontare due problemi. Il primo, più immediato, è l’uscita dalla pandemia. Il secondo, che avrà ripercussioni sul lungo termine per gli anni a venire, è impostare i capitoli di spesa e gli obiettivi programmatici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) finanziato con i fondi europei del Next Generation EU.

Nel suo primo discorso programmatico di fronte all’aula del Senato, il presidente del consiglio Mario Draghi si è impegnato esplicitamente, confermando un’iniziativa già avanzata dal precedente premier Giuseppe Conte, a inserire i principi di uno sviluppo sostenibile in Costituzione, includendo quello di giustizia tra generazioni. I lavori per confezionare una legge costituzionale sono ancora in corso d’opera, ma le direttive economiche di quello sviluppo sostenibile sono già state tracciate nel PNRR, che dedica la seconda delle sue 6 missioni a “Rivoluzione verde e Transizione ecologica”.

In questo e in altri documenti governativi come il Piano Nazionale d’Intesa per l’Energia e il Clima (PNIEC) sono già o verranno a breve tracciate le azioni programmatiche per raggiungere gli obiettivi concordati con l’Europa.

E veniamo al terzo motivo per cui il 2021 è un anno decisivo per il clima del Pianeta. Il 2020 verrà ricordato come l’anno della pandemia da COVID-19 e il 2021 come quello delle vaccinazioni di massa. Il fatto di essere riusciti a mettere a punto un vaccino contro un virus fino a poco più di un anno fa sconosciuto rappresenta una conquista scientifica e sociale senza precedenti. Nonostante ognuno di noi abbia trascorso mesi interminabili chiuso in casa, la pandemia è stato uno straordinario acceleratore, nel bene e nel male, di molti processi sociali.

Nel male, molte disuguaglianze sono state acuite e sono venute a galla. Nel bene, l’Europa per la prima volta nella sua storia ha attivato un meccanismo di debito comunitario da cui ha creato un fondo, il Next Generation EU, con cui ha programmato la lotta alla pandemia e la ripresa economica del Vecchio Continente.

Il Green Deal europeo è stato messo al centro di questa programmazione: L’ambiente dovrà essere il motore dello sviluppo sostenibile del mondo post-pandemico. I governi potranno scegliere di accelerare il distacco da fonti di approvvigionamento energetico non sostenibili e favorire un sistema economico-energetico alternativo a quello del secolo scorso basato sui combustibili fossili. I governi potranno favorire la nascita di nuovi mercati e nuovi posti di lavoro creati dal nuovo modello di sviluppo. La fretta che ci mette la società colpita dalla pandemia può allearsi alla fretta che ci mette il clima del pianeta.

Uscire dalla pandemia significa far ripartire l’economica, ma non quella di prima, un’economia diversa, sostenuta da ricerca e sviluppo e la cui colonna portante sia l’ambiente.

Secondo le stime correnti, il debito pubblico italiano ha raggiunto il 158% del PIL nel 2020. Nel PNRR viene esplicitato che la programmazione finanziaria “punterà a conciliare l’esigenza di mantenere la dinamica del debito su un sentiero virtuoso con quella di dare un forte e duraturo impulso alla crescita del PIL. Quest’ultima è fondamentale per garantire sia la sostenibilità del debito sia la stabilità socio-economica del Paese e richiede un solido programma di investimenti in beni pubblici quale quello disegnato nel PNRR”.

Secondo le proiezioni del Ministero di Economia e Finanza, riusciremo a far tornare il debito pubblico ai livelli pre-pandemici (circa il 135% del PIL) non prima di 10 anni.

Ai tempi del governo tecnico presieduto da Mario Monti dal 2011 al 2013, il debito era minacciato dai tassi di interesse, ritenuti troppo alti: ricordiamo tutti lo Spread quale termometro dell’andamento dei tassi di interesse. Oggi invece si ritiene che il debito pubblico, che nel frattempo è lievitato, sia minacciato dai tassi di crescita del Pil troppo bassi.

È il tasso di sviluppo che determina la crescita di un Paese e il modello di sviluppo sostenibile che l’Italia e l’Europa vogliono e devono adottare si dovrà far necessariamente carico della responsabilità di generare crescita economica. Altrimenti il debito che graverà sulle future generazioni sarà sempre più pesante.

Storicamente però, la tutela dell'ambiente è stata generalmente percepita come un freno alla crescita economica, specialmente da alcune elite produttive e industriali. Il caso della siderurgia dell’Ex Ilva di Taranto è ancora tragicamente lì a ricordarci come la produzione industriale di acciaio nel nostro Paese abbia considerato la tutela dell’ambiente e di conseguenza della salute dei cittadini un ostacolo alla produttività.

È in prima istanza contro questa cultura della produttività a tutti i costi che il modello di sviluppo sostenibile dovrà prevalere e dovrà al contempo vincere la sfida cruciale di aumentare il tasso di crescita economica.

Non saranno scelte semplici perché dalle sole industrie del petrolio e dell’automotive dipendono milioni di posti di lavoro nel mondo. Lo strappo ci sarà. Ma più si aspetta ad avviare questa transizione più grandi saranno i costi che dovremo pagare.

È bene quindi rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare. Noi, nel nostro piccolo, tenteremo di fare la nostra parte e di farla al meglio delle nostre possibilità.

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