SCIENZA E RICERCA

Le recenti scosse in California alimentano l'attesa del "Big One"

La California è da tempo considerata una zona ad alto rischio sismico in quanto lungo tutta la sua lunghezza si incontrano due enormi placche terrestri: la placca nordamericana e la placca pacifica. Ad inizio luglio si sono verificate alcune scosse nel cuore della California che nonostante la magnitudo 7 non hanno causato ingenti danni. In seguito a quest’evento l’attenzione si è però spostata ad ovest, sulla costa, una zona sulla quale incombe da anni l’ombra di un sisma talmente forte da meritare un appellativo a sé; stiamo parlando del Big One, evento che è stato pronosticato a partire dagli anni ’70 con i primi studi approfonditi sulle principali faglie dello Stato. Alessandro Amato, sismologo dell’Ingv, ci aiuta a fare chiarezza sull’argomento.

“La San Andreas e la Cavaleras, due tra le faglie più note della California, hanno causato in passato grandi terremoti, come quello di San Francisco nel 1906; eventi di grossa portata che sommati a scosse minori avute nel corso dell’ultimo secolo hanno spostato le faglie per lunghezze di almeno 300 km. È inoltre noto che le due placche principali - placca pacifica e placca americana – si spostano una rispetto all’altra di quasi 5 cm all’anno, quindi nell’ultimo secolo c’è stato uno spostamento di circa 5 metri.”

Alla luce di questi dati è emersa la necessità di aggiornare continuamente le mappe di pericolosità della zona interessata, con la versione più recente che stima come le probabilità di avere terremoti più forti di quelli avvenuti tra il 4 e il 6 luglio siano più alte di quanto rilevato in precedenza. “Nel contempo sono state leggermente ridimensionate le probabilità che si verifichino eventi sismici di magnitudo inferiore (tra 6 e 7 circa).”

Amato sottolinea inoltre come il Big One venga spesso descritto con termini sensazionalistici come un evento gigantesco che secondo alcuni potrebbe arrivare anche a magnitudo 10 (il che sarebbe impossibile sulla Terra); “uno scenario più plausibile è quello per cui si rompano più faglie nello stesso momento con una sorta di effetto a catena che propagherebbe la rottura da una faglia all’altra”. In questo caso eventi sismici che presi singolarmente risulterebbero nella media andrebbero a costituire un unico terremoto dalle conseguenze potenzialmente gravi.

Ma quando si potrebbe verificare il Big One? Secondo Amato è difficile stabilirlo con precisione dato che le stime di pericolosità sono fatte su lunghi periodi (circa 30 anni), ma una volta che si verifica un terremoto come quelli di inizio luglio si prova a calcolare se quello spostamento può in qualche modo aver accelerato l’occorrenza del terremoto su altre faglie e quindi iniziare a cautelarsi rispetto a possibili scosse future.

Va inoltre detto che di fronte all’oggettiva presenza di un forte rischio sismico, le istituzioni della California si sono tutelate al meglio per quanto riguarda la prevenzione: “Si sta tuttora lavorando su un’ulteriore messa in sicurezza di edifici sì moderni, ma costruiti quando le norme antisismiche erano meno stringenti rispetto ad oggi  – continua Amato – Inoltre a Los Angeles è stato recentemente redatto un piano con l’obiettivo di ridurre la vulnerabilità di alcuni edifici e rinforzare le infrastrutture critiche, dalla distribuzione dell’acqua alla rete elettrica”; accorgimenti di questo tipo sono infatti di cruciale importanza poiché, nel caso di un sisma più forte del normale, potrebbe non esserci un bilancio di vittime clamoroso ma le città sarebbero messe in ginocchio dai danni a livello infrastrutturale.

Nel frattempo si continuerà ad aspettare un evento che probabilmente chiunque si augurerebbe possa non accadere mai.

 

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